Un documento si sofferma sull’alimentazione e gli stili di vita per la prevenzione di alcuni rischi e la promozione della salute. Focus sul rischio chimico e cancerogeno, sulle allergie e sul bioaccumulo delle sostanze chimiche nel tessuto adiposo.

Come ricordato nei moltissimi documenti che riguardano la promozione della salute nei luoghi di lavoro, con riferimento, ad esempio, ai programmi di WHP (Workplace Health Promotion), il comportamento alimentare può rappresentare sia un fattore di rischio che un fattore protettivo nell’insorgenza di numerose patologie. E, dunque, attraverso l’alimentazione è possibile favorire la prevenzione di molti rischi a cui i lavoratori possono essere soggetti nei luoghi di lavoro.

A sottolinearlo e a fornire diverse informazioni utili in materia è anche il documento AiFOS Mi tutelo mangiando”, a cura di Silvia Pellegrino, che raccoglie i risultati di un’indagine sulla corretta alimentazione e sugli stili di vita sani come parte integrante della prevenzione di alcuni rischi lavorativi legati alla salute.

Se nelle scorse settimane ci siamo soffermati sugli alimenti per rinforzare il sistema immunitario e su come contrastare i danni dello stress lavoro correlato, ci soffermiamo oggi sulla prevenzione del rischio chimico che può essere favorita, attraverso l’alimentazione, “in diversi modi, diretti ed indiretti”.

A questo proposito il documento si sofferma, riportando brevemente i risultati di alcuni studi, su “come aiutare il corpo a difendersi dall’effetto delle sostanze chimiche cancerogene, che purtroppo sono spesso presenti nel settore sanitario, così come in altri settori lavorativi”.

Successivamente affronta i seguenti argomenti connessi al rischio chimico:

Il rischio chimico, le allergie e l’alimentazione

Il documento sottolinea che si può approfondire il rapporto tra alimentazione e rischio chimico anche nei confronti di un tema importante, ad esempio per la salute delle persone del settore sanitario, che è quello delle allergie”.

Con particolare riferimento al comparto sanitario, la pubblicazione ricorda che “sono diverse le sostanze sensibilizzanti utilizzate in sanità, uno su tutti, soprattutto negli anni passati, è il lattice”. Ed infatti “questa sostanza ha creato negli ultimi periodi non pochi problemi al personale sanitario”.

Se apparentemente questo argomento “sembra non avere alcuna correlazione con l’alimentazione”, in realtà il lattice “ha una vasta possibilità di cross reattività con diversi alimenti”.

Parlando di allergie è, infatti, necessario affrontare anche il tema della cross reattività. Ad esempio secondo “l’Istituto Federale per la valutazione dei rischi (tedesco), l’80% delle persone che sono sensibilizzate al polline di betulla, presentano anche una cross-reattività agli alimenti come mele, ciliegie, noci del Brasile, sedano, nocciole, kiwi, arance, pomodori, carote e pesche e in alcuni casi anche alla soia (BfR, 2006). La cross-reattività rappresenta un vantaggio nella difesa contro le infezioni, poiché rende più attivo e pronto il nostro sistema immunitario, ma in alcuni disturbi, come le allergie, è responsabile di effetti negativi”.

Il documento, che riporta molte informazioni e approfondimenti sul tema, indica che la cross-reattività “è stata descritta:

  • tra specie filogeneticamente vicine
  • tra specie filogeneticamente lontane”.

E diversi studi indicano che “la probabilità di portare cross reattività, di due specie filogeneticamente vicine è maggiore quanto è minore la loro distanza tassonomica. Invece per quanto riguarda le specie filogeneticamente lontane, si può dire che la responsabilità di cross-reazione sembra essere imputata a proteine omologhe appartenenti a specifiche famiglie di molecole. Queste proteine sono ubiquitarie e per questo sono chiamate panallergeni. Tali panallergeni causano reazioni allergiche molto comuni e quindi, data la loro presenza così diffusa, è giustificata la ragione per cui, anche specie filogeneticamente distanti sono in grado di cross-reagire tra di loro”.

In particolare le principali cross-reazioni avvengono tra:

  • “Polline di diverse piante-alimenti di origine vegetale;
  • Acari-gasteropodi/crostacei;
  • Lattice-frutta come banana e avocado (García BE, 2011)”.

Torniamo al lattice e ai problemi del settore sanitario ricordando come in questo settore, “l’impiego di guanti e altri oggetti a base di lattice” abbia provocato “sensibilizzazione allergica a diversi operatori del settore” e con essa si sia registrata anche la “comparsa di allergie alimentari”.

Riprendiamo dal documento una tabella che riporta le cross-reattività specifiche per questa sostanza:

Dunque chi diventa allergico al lattice “si sensibilizza anche a diversi tipi di alimenti (pressoché frutti) e gli alimenti più frequentemente coinvolti sono: banane (28%), avocado (28%), castagno (24%), e kiwi (20%)”.

In seguito alla relazione lattice-alimenti vegetali “si parla di reazioni crociate lattice-frutta”. Quindi “se l’allergia al lattice deriva da una reazione esagerata dell’organismo alle proteine contenute nel lattice di gomma naturale, la sindrome lattice-frutta deriva dalla somiglianza strutturale di alcune proteine di alimenti vegetali con le proteine del lattice, le Hevine”.

È evidente quindi come l’alimentazione “può in questo caso essere un rischio aggiuntivo ad un rischio chimico lavorativo (lattice)”. Quindi per gli operatori sanitari allergici al lattice diventa utile evitare alcuni alimenti (il documento riporta ulteriori indicazioni sugli allergeni del lattice).

Il bioaccumulo delle sostanze chimiche nel tessuto adiposo

Un altro tema legato al rapporto tra rischio chimico e alimentazione è legato, seppur in modo indiretto, al “bioaccumulo delle sostanze chimiche nel tessuto adiposo”.

In questo senso “mangiare troppo ed essere sovrappeso comporta un aumento del tessuto adiposo che è la parte del nostro corpo dove si accumulano diverse sostanze chimiche presenti in ciò che respiriamo causa lavoro o mangiamo”.

Il documento fornisce ulteriori informazioni sul tessuto adiposo e sulla localizzazione della massa adiposa negli uomini e nelle donne, ricordando come le masse adipose dipendano “anche dallo stato di nutrizione, aumentano in caso di eccessiva assunzione calorica (obesità) e diminuiscono in presenza di deficit nutrizionali cronici”.

Nel tessuto adiposo si possono dunque, in alcune condizioni, “accumulare sostanze chimiche”.

Ad esempio nel particolato atmosferico, “così come in alcune attività produttive, sono presenti metalli di varia natura. I principali sono Cadmio, Zinco, Rame, Nichel, Piombo e Ferro. Non solo, nelle zone più inquinate possono essere presenti altri metalli o altre sostanze chimiche anche molto pericolose. A causa dell’inquinamento in generale, a causa dei fumi emessi da fabbriche, inceneritori, automobili, ecc., elementi tossici, spesso anche sotto forma di nanoparticelle, quindi ancor più dannosi per l’organismo, vengono inalati o assorbiti dalla pelle. Questi elementi una volta penetrati nell’organismo umano vi rimangono per molto tempo, poiché il nostro corpo può eliminarne solo piccole quantità al giorno”.

Tuttavia “il continuo accumulo, a lungo andare, porta facilmente le persone ad ammalarsi di varie patologie, le più disparate a seconda di quali organi del corpo siano interessati dall’accumulo, a seconda degli elementi accumulati, a seconda del fatto se il soggetto sia più o meno allergico ai metalli, a seconda della costituzione dell’apparato immunitario di ogni operatore”.

Senza dimenticare che gli elementi tossici “non sono presenti solo nell’aria, ma spesso riescono ad introdursi nel fisico per contatto o inalazione nei luoghi di lavoro, attraverso le condutture dell’acqua, dai residui di detersivo sul bucato, manipolando detergenti per pulizia in genere, smacchiatori, ecc., mangiando cibi cucinati o lasciati in recipienti a facile rilascio di agenti tossici, attraverso prodotti per l’igiene personale”.

Il documento, che ricorda anche alcune sostanze con cui è possibile entrare in contatto nei luoghi di lavoro, indica che “una volta che queste sostanze nocive si accumulano nel corpo (tessuto adiposo o no) diventa necessario disintossicare l’organismo. La dieta può aiutare questo procedimento, così come il controllo del peso può evitare la formazione di tessuto adiposo dove possono accumularsi le sostanze pericolose. Peraltro un corpo appesantito dalle tossine può presentare una grande varietà di sintomi quali stanchezza, costipazione, difficoltà nella digestione, aumento di peso, gas, gonfiore, irritabilità”.

Ed è quindi fondamentale bere molti liquidi durante il processo di disintossicazione come acqua minerale non gassata, tisane e acqua calda”. Ed è “consigliabile limitare il fumo e l’alcool al minimo”: “è proprio attraverso l’acqua che i materiali di scarto del metabolismo vengono eliminati”.

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento che riporta utili indicazioni su come affrontare un processo di disintossicazione. E segnaliamo, infine, che riguardo alla prevenzione dei rischi attraverso l’alimentazione, il documento si occupa anche di rischi biologici, di rischio stress e di rischi ergonomici.

Fonti: Puntosicuro.it