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Due modi sostanziali per difendersi da questa aggressione e per riportare i clienti-bulldog a più miti consigli: una risposta organizzativa e una personale. Di Antonio Zuliani.

Una delle esperienze più temute da parte di chi lavora in un ufficio o in uno studio professionale è quella di imbattersi in utenti/clienti che fanno dell’aggressività la loro modalità di relazione con gli altri: che fare?

Tutti abbiamo notato o sperimentato come tra gli utenti o i clienti di un ufficio o di uno studio professionale si annidino dei veri e propri bulldog: ovvero persone che ritengono alzando la voce otterranno attenzione e risposte alle proprie domande.

Fortunatamente queste persone sono abbastanza rare perché se dovessimo incontrarle più volte al giorno, lo stress sul lavoro sarebbe veramente intollerabile. Proprio per questo ci restano tanto impresse e il loro numero sembra più grande di quanto non lo sia nella realtà.

Ciò detto, una domanda sorge in tutti (quante volte ci è stata fatta nell’attività di consulenza e formazione): come facciamo a eliminare o almeno a neutralizzare questi soggetti?

Ritengo che vi siano due modi sostanziali per difendersi da questa aggressione e per riportare i clienti-bulldog a più miti consigli: una risposta organizzativa e una personale.

Risposta organizzativa
La prima è una risposta organizzativa che compete a chi ha la responsabilità dell’ufficio o dello studio e che prevede nel migliore dei casi di affrontare direttamente questi soggetti comunicando loro che tale comportamento non è gradito e dimostrando, contemporaneamente, che anche loro avranno, come tutti, le debite attenzioni e risposte.

Molto probabilmente all’inizio una risposta di questo genere produrrà l’effetto di aumentare l’aggressività di questi clienti, ma si può realisticamente attendere di avere concreti segni di miglioramento entro breve tempo. Quando il cliente-bulldog costata che il suo atteggiamento aggressivo non gli porta alcun vantaggio è spinto a tralasciarlo.

A volte non c’è sufficiente energia nell’organizzazione per riuscire ad affrontare la questione in termini così netti (la preoccupazione di perdere un cliente è sempre forte in questo periodo di crisi!). In questo caso è pur sempre possibile attivare una risposta organizzativa per così dire indiretta; essa consiste nell’appoggiare e nel favorire quella che possiamo chiamare risposta personale messa in campo dalla persona aggredita.

Senza questa “scelta di campo” risulta ben difficile che la singola perdona abbia la forza di “mettere la museruola” al cliente-bulldog.

Risposta personale.
La risposta personale è la più difficile perché spesso l’organizzazione aziendale non la favorisce, come d’altra parte non trova piena solidarietà dagli stessi colleghi dell’ufficio.

La risposta personale consiste sostanzialmente nel dimostrare al bulldog di non aver paura di lui, di non lasciarsi intimidire. Questo può essere fatto direttamente stigmatizzando il suo comportamento aggressivo arrivando a rafforzare tale annotazione con gesti anche clamorosi come quelli di lasciare la stanza o di chiudere la conversazione telefonica.

In buona sostanza così facendo si reagisce in modo severo ma giusto, come farebbe un adulto di fronte alle bizze e ai capricci di un bambino.

È presumibile che il cliente-bulldog arrivi presto a stancarsi del suo comportamento perché verifica la sua inefficacia: capirà gradatamente che sta perdendo la sua battaglia.

Ma non illudiamoci una persona di questo tipo sposterà la sua mira da un’altra parte, perché c’è sempre un bersaglio da colpire quando si sposa l’aggressività.

Antonio Zuliani

Fonte: StudioZuliani, Puntosicuro.it