Il perdurare della pandemia di COVID-19 ha prodotto nelle popolazioni notevoli segni di stanchezza e stress. Il ruolo delle imprese nel contrasto della pandemic fatigue e nella promozione del benessere.

Parlare in questo momento di benessere può sembrare irrealistico. Persino inopportuno. Ma certo tutti desideriamo che si ripristino al più presto condizioni migliori.

Con benessere si indica uno stato psicofisico complesso determinato da varie componenti materiali e immateriali.

Si tratta di uno stato per natura instabile che richiede una costante attenzione per mantenerlo.

Si fonda sul soddisfacimento dei bisogni di base e si mantiene trovando un punto di equilibrio tra l’interesse individuale e quello collettivo. Costituisce il presupposto per passare dal soddisfare i bisogni, cioè dal compensare mancanze, al generare desideri.

Il raggiungimento di una condizione di benessere in azienda presuppone sempre una regia che coordini relazioni che non possono essere paritetiche e che ne arresti la naturale tendenza al deterioramento.

Presuppone dunque da parte delle figure apicali un’attività intensa, ma ben distribuita e organizzata, che permetta a ciascuno di adattarsi plasticamente agli eventi esterni in continuo mutamento e di essere sottoposto solo a una fatica fisica e mentale sostenibile.

Mirare a un diffuso stato di benessere costituisce un obiettivo molto ambizioso e la ricerca del benessere in questo momento potrebbe coincidere con l’attuazione di misure di contrasto alla pandemic fatigue, espressione con cui l’OMS ha denominato la naturale reazione a una pandemia che dura da molto e di cui non si vede la fine.

Un’indagine, commissionata dalla Commissione Europea ha rilevato che il perdurare della pandemia di Covid-19 ha prodotto nelle popolazioni notevoli segni di stanchezza e stress da cui sono derivati atteggiamenti disfunzionali quali la ridotta attuazione dei comportamenti protettivi e del rispetto delle regole, vissute da molti come inefficaci o rifiutate come troppo onerose e limitanti delle libertà individuali.

Stress, solitudine e noia hanno un impatto negativo sul benessere e sulla salute mentale di molti, soprattutto di chi si trova in situazioni già di per sé svantaggiate. La qualità richiesta a tutti in questo frangente è l’“adattabilità”. O, per usare una parola di moda, la “resilienza” cioè l’abilità intrinseca di mantenere o riguadagnare uno stato dinamicamente stabile che consenta di continuare le proprie attività dopo un grave evento o in presenza di stress continuo.

Forse, peraltro, piuttosto che essere resilienti, cioè in grado di tornare uguali a come si era prima, sarebbe ora utile essere “antifragili”, neologismo introdotto da Nassim Taleb, che descrive le caratteristiche di chi non solo è capace di sopportare il caos, ma anche di migliorare sotto lo stress di agenti esterni.

Qualunque cosa tragga più vantaggi che svantaggi dagli eventi casuali (o da alcuni shock) è antifragile; in caso contrario è fragile”, scrive Taleb.

L’antifragilità dunque va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e ciò che è fragile è soggetto a distruzione a seguito degli eventi esterni; ciò che è antifragile invece trae forza da questi.

Nel breve periodo la maggior parte delle persone è riuscita ad attivare reazioni di adattamento mentale e fisico finalizzate alla sopravvivenza, ma il perdurare dell’emergenza ha richiesto cambiamenti significativi nel proprio modo di pensare e nel proprio stile di vita, nelle prospettive stesse dei propri progetti esistenziali e ha causato stanchezza, affaticamento, fisico e mentale e una sottovalutazione del rischio derivante dall’assuefazione a esso. Ora è il momento di diventare antifragili.

Per contrastare gli effetti della pandemic fatigue, l’Oms, su commissione degli Stati membri dell’Unione europea, ha elaborato delle linee guida finalizzate principalmente a sensibilizzare le persone al rispetto delle norme di sicurezza anti-Covid. “La fatica dovuta alla pandemia è una risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica – si legge nella relazione – soprattutto perché la gravità e la dimensione dell’epidemia da COVID-19 hanno richiesto un’implementazione di misure invasive con un impatto senza precedenti nel quotidiano di tutti, compreso di chi non è stato direttamente toccato dal virus”.

Le indicazioni indirizzate ai governi contenute nel documento dell’Oms possono costituire un riferimento anche per i Datori di lavoro e ispirare loro azioni concrete da attuare nelle imprese per contribuire al contenimento del virus. D’altra parte il documento stesso suggerisce di decentrare il più possibile le azioni di contrasto e di coinvolgere e motivare le persone a livello locale.

Il contributo imprenditoriale può risultare dirimente qualora nelle imprese non ci si limiti all’applicazione delle misure tecniche contenute nei protocolli, ma ci si impegni concretamente a contrastare gli effetti della pandemic fatique e a fornire un sostegno sociale, emotivo e culturale continuo.

I luoghi di lavoro sono infatti luoghi naturali di aggregazione, i team, correttamente orientati, possono attuare efficaci azioni di influenzamento sui singoli componenti di essi e, contemporaneamente, sviluppare spontanee azioni di contenimento dei disagi individuali da cui possono derivare rabbia e frustrazione. La conoscenza diretta delle persone permette di elaborare comunicazioni mirate a gruppi specifici di destinatari e a influenzarle con rinforzi positivi piuttosto che biasimarle, spaventarle o minacciarle.

Una comunicazione interna chiara, coerente e ripetuta aiuta i dipendenti a fare proprie poche misure semplici ma incisive da adottare per tutelare. La ripetizione dei contenuti è una potente strategia di persuasione, che può essere amplificata grazie all’autorevolezza delle fonti (Datore di lavoro, RSPP, Medico competente, RLS) e dalla riprova sociale cioè dalla condivisione nei gruppi dei pari. Essere prevedibili in circostanze imprevedibili, chiari, precisi e coerenti nelle scelte ne aumenta l’efficacia delle strategie adottate.

L’azione informativa deve essere estesa anche i dipendenti che non operano in presenza ( smart worker). In questo modo l’impresa non solo contribuisce alla diffusione capillare e diffusa dei messaggi erogati, ma dà prova di coerenza organizzativa e impegno, per quanto di competenza, alla risoluzione di un problema che riguarda tutti.

Al di là dello specifico, mantenere stretti legami con chi lavora da remoto produce effetti positivi sia per l’impresa che per i lavoratori in quanto conferma il contratto psicologico tra le parti, rinsalda il senso di appartenenza e i rapporti di fiducia reciproca.

Anche la formazione in azienda può costituire uno strumento per coinvolgere le persone,
presentare l‘impegno richiesto in modo positivo, evidenziando il ruolo che i singoli possono assumere per il benessere dell’intera comunità. Promuovere l’auto-efficacia, il senso di appartenenza e l’utilizzo della narrazione attraverso le storie di testimonial della comunità rafforza il coinvolgimento dei singoli ed evita che i comportamenti raccomandati siano vissuti come sottomissione all’autorità.

Link all’articolo “ Nuovi rischi: la pandemic fatigue e l’impatto di genere

Fonti: Puntosicuro.it