L’associazione ANMA in relazione all’emergenza Coronavirus, alla normativa e al protocollo condiviso tra le parti sociali propone utili prassi per la gestione dei lavoratori “fragili” e per la misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro.
Molte indicazioni della copiosa normativa di queste settimane in materia di emergenza COVID-19, nonché il contenuto del “ Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, siglato dalle parti sociali, in più punti impattano su quella che è l’attività del medico competente nei luoghi di lavoro.
A offrire un supporto ai medici competenti in questa fase di nuovi adempimenti e richieste in relazione ai rischi di contagio del virus Sars-CoV-2, sono alcuni documenti dell’Associazione Nazionale Medici d’Azienda e Competenti ( ANMA) che intervengono sia sulla gestione dei lavoratori “fragili”, con riferimento a quanto contenuto nel DPCM del 8 marzo 2020 e nel “Protocollo condiviso” del 14 marzo 2020, sia riguardo alla gestione della misurazione della temperatura in accesso al luogo di lavoro.
L’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:
- Il nuovo coronavirus e i lavoratori “fragili”
- La gestione dei lavoratori “fragili” nelle aziende
- La misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro
Il nuovo coronavirus e i lavoratori “fragili”
Nel documento ANMA “COVID-19: gestione del lavoratore ‘fragile’” viene proposta una prassi per la gestione dei lavoratori “fragili”, una linea di comportamento che è “ovviamente declinabile” a seconda della realtà in cui il medico competente (MC) si trova ad operare.
L’articolo 3, comma 1, lettera b) del Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 marzo 2020 indica che “è fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Il documento sottolinea poi che è evidente “per motivi di privacy e di segreto professionale che non può essere il MC a segnalare all’azienda “situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti” come indicato nel ‘ Protocollo condiviso’ dello scorso 14 marzo”. Infatti la raccomandazione del DPCM dell’8 marzo indicata sopra “è rivolta direttamente alla persona ‘fragile’ ed è quindi questa che deve farsi parte attiva”. E tra l’altro – continua il documento – bisogna considerare anche il fatto “che la ‘fragilità’ è in genere dovuta a situazioni cliniche non correlabili all’attività professionale e di cui non sempre il MC è a conoscenza, perché il lavoratore non le ha riferite in occasione della vista preventiva o perché emerse tra una visita periodica e la successiva, senza che il lavoratore ne abbia messo al corrente il MC”.
È dunque necessario condividere una linea di comportamento comune e da questa considerazione nasce la proposta di una prassi che coinvolge MC, organizzazione aziendale e SSN:
- “il MC informa per iscritto il Datore di Lavoro sulle disposizioni contenute nell’art. 3, comma 1, lettera b) del DPCM 8 marzo 2020 (elaborare un’unica comunicazione da inoltrare a tutte le imprese che si segue);
- il MC collabora con il Datore di Lavoro per l’elaborazione di una comunicazione finalizzata ad informare i Lavoratori della raccomandazione disposta dall’art. 3 del DPCM 8 marzo 2020. Nella comunicazione si invitano i lavoratori che ritengono di rientrare nelle tipologie di pazienti previste dalla norma di rivolgersi al Medico di Medicina Generale (MMG) che, a loro tutela, potrà giustificare il periodo di ‘isolamento’;
- nella comunicazione ai Lavoratori si specifica che nei casi in cui il MMG non prescriva (o non possa prescrivere) il periodo di malattia, il Lavoratore può contattare il MC informandolo della situazione, conferendogli in tal modo, anche questo specificato nella comunicazione ai Lavoratori di cui al punto 2., il consenso alle azioni successive che lo stesso dovrà mettere in atto per la sua tutela;
- nei casi in cui il MC sia a conoscenza del quadro clinico che determina la condizione di fragilità del Lavoratore, comunica al Datore di Lavoro, limitandosi alle informazioni strettamente necessarie, la richiesta di adottare nei confronti del Lavoratore le misure idonee per ottemperare alla raccomandazione disposta dal citato articolo 3;
- nei casi in cui il MC non sia a conoscenza del quadro clinico che determina la condizione di fragilità del Lavoratore, invita lo stesso a rivolgersi nuovamente al MMG al fine di ottenere un certificato attestante la sua condizione, in alternativa, richiede al Lavoratore di trasmettergli la documentazione clinica comprovante la sua condizione;
- il MC, verificata la documentazione prodotta dal Lavoratore (certificato del MMG o documenti clinici), comunica al Datore di Lavoro, limitandosi alle informazioni strettamente necessarie, la richiesta di adottare nei confronti del Lavoratore le misure idonee ad ottemperare alla raccomandazione disposta dall’articolo 3”.
La gestione dei lavoratori “fragili” nelle aziende
Rimandiamo alla lettura integrale del documento che riporta una tabella con alcune patologie e condizioni di immunodepressione che possono configurare una maggiore sensibilità al contagio.
Riportiamo, invece, dal documento uno specchietto riassuntivo riguardo alla gestione dei lavoratori “fragili”:
La misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro
In riferimento al “Protocollo condiviso” ANMA pubblica anche il documento “COVID-19 – Misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro”, una prassi per la gestione della misurazione della temperatura in accesso al luogo di lavoro. Anche in questo caso è la proposta di una linea di comportamento “declinabile a seconda della realtà in cui il MC si trova ad operare”.
Si indica che nel “ Protocollo condiviso” al punto 2 (Modalità di ingresso in azienda) si legge: “Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5° non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro. Le persone in tale condizione – nel rispetto delle indicazioni riportate in nota – saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherine, non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio Medico curante e seguire le sue indicazioni”.
Si ricorda che il protocollo “non è stato concepito né in una logica vincolante né quale documento universalmente valido, ma quale strumento che contiene una serie di indicazioni che Governo e firmatari ritengono idonee a garantire la salute delle persone senza interrompere le attività produttive”. Offre indicazioni generali che ciascuno deve adattare alle proprie specificità e “si muove nella logica della precauzione per tutelare i Lavoratori da un rischio biologico generico (eguale per tutta la popolazione), per cui le indicazioni di riferimento sono quelle cautelari indicate dalle Autorità Sanitarie. L’intesa si colloca, dunque, al di fuori della prevenzione regolata dal D. Lgs. 81/08 (in questa logica, come evidenziato da più parti l’azienda non è tenuta ad aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi)”. Ed è responsabilità del singolo Datore di Lavoro adattare le misure indicate nel Protocollo condiviso, “tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali”.
Riguardo al tema del documento si indica che “il primo atto, rimesso alla determinazione di ciascun Datore di Lavoro, è la misurazione della temperatura al momento dell’accesso al luogo di lavoro delle proprie risorse umane e questa indagine, per quanto non decisiva potendo una persona asintomatica essere portatore del virus e trasmetterlo, può costituire uno screening importante per contenere l’infezione da COVID-19”.
In particolare l’acquisizione del dato relativo al rilievo della temperatura corporea può seguire procedure differenti:
- la misurazione in loco in ingresso in azienda;
- la raccolta quotidiana dell’autocertificazione del monitoraggio della temperatura corporea da parte di ogni lavoratore (come previsto, ad esempio, da alcune ATS della Lombardia in attuazione del combinato disposto delle ordinanze n. 514 – 515 – 517/2020 di Regione Lombardia)”.
Rimandiamo, anche in questo caso, alla lettura integrale del documento che riporta le indicazioni operative per la misurazione in loco in ingresso in azienda, rispettose delle disposizioni dettate dalla “privacy”. Segnaliamo alcuni aspetti trattati nelle indicazioni operative:
- Allestimento check point
- Operatore di check point
- Dotazione DPI – istruzioni per l’uso – igiene delle mani – smaltimento dei DPI
- Caratteristiche del termometro – avvertenze d’uso
- Registrazione della temperatura e modalità di comunicazione della rilevazione al Lavoratore e al Datore di Lavoro
- Auto-misurazione della temperatura corporea in ingresso
- Gestione della persona che presenta febbre alla misurazione in check point o che lamenti febbre mentre è al lavoro
Il documento riporta, in conclusione, anche alcune indicazioni ed esempi di autocertificazione per la misurazione in automonitoraggio.
Scarica i documenti da cui è tratto l’articolo:
Associazione Nazionale Medici d’Azienda e Competenti “ COVID-19: gestione del lavoratore ‘fragile’”.
Associazione Nazionale Medici d’Azienda e Competenti “ COVID-19: gestione del lavoratore ‘fragile’ – Allegati”.
Associazione Nazionale Medici d’Azienda e Competenti “ COVID-19 – Misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro”.
Scarica la normativa di riferimento:
Fonti: Gazzetta ufficiale, Puntosicuro.it, Associazione Nazionale Medici d’azienda e competenti