Un rapporto sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’emergenza COVID-19 riporta anche utili indicazioni per la sanificazione dei materiali tessili. La disinfezione con prodotti chimici, i trattamenti fisici e l’abbigliamento di lavoro.

La sanificazione è oggi uno degli elementi portanti delle misure precauzionali e di prevenzione del contagio del virus SARS-CoV-2 richieste alle attività lavorative per poter continuare o riprendere le attività in sicurezza.

E in questa fase si può prospettare anche la necessità di fare sanificazioni in ambienti, come i negozi di abbigliamento, contenenti materiali tessili con esigenze di disinfezione diverse da quelle delle superfici inerti.

Le linee guida attualmente disponibili “riguardano esclusivamente il trattamento di biancheria da letto, asciugamani e vestiti sporchi di pazienti con COVID-19” riassunte nella Circolare del Ministero della Salute del 22 febbraio 2020, e il trattamento di biancheria da letto, asciugamani e vestiti sporchi all’interno degli hotel, secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità – WHO (“Considerazioni operative per la gestione del COVID-19 nel settore Alberghiero”).

A ricordare tali linee guida e a fornire informazioni sulla sanificazione dei materiali tessili è un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020) dal titolo “ Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento. Versione del 15 maggio 2020”.

L’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:

Criteri e caratteristiche dei trattamenti di sanificazione e igienizzazione

Nel rapporto, “considerate le criticità legate ai differenti materiali”, si indica innanzitutto che un trattamento di sanificazione/igienizzazione sugli articoli tessili “dovrà presentare caratteristiche quali:

  • compatibilità: non deve causare rilevanti cambiamenti delle proprietà delle fibre, dei materiali e delle sostanze chimiche presenti sul tessuto (es. coloranti) anche in seguito a ripetuti trattamenti;
  • rapidità di azione: efficacia raggiunta in breve tempo;
  • penetrazione: intesa come capacità dei disinfettanti di raggiungere il materiale trattato considerando diversità di spessore dei tessuti, cuciture, risvolti e pieghe del capo confezionato;
  • sicurezza per l’operatore, l’utilizzatore finale e l’ambiente,
  • costo-efficacia: costi ragionevoli per attrezzatura, installazione ed utilizzo”.

La disinfezione degli articoli tessili con prodotti chimici

Veniamo subito alla possibilità di disinfettare con prodotti chimici.

Si indica che il trattamento con disinfettanti chimici dei materiali tessili “generalmente non è consigliato, se non nel caso di tessuti che possono essere lavati in lavatrice ad almeno 60 °C con prodotti detergenti e disinfettanti. Infatti alcuni prodotti, pur idonei per la loro efficacia contro SARS-CoV-2, potrebbero causare degradazione o rigonfiamento dei tessuti e danni irreversibili agli stessi riducendone in alcuni casi le capacità protettive. In ogni caso, è sempre buona norma valutare l’effetto del prodotto prescelto su una parte nascosta del tessuto che si intende trattare”.

Questi alcuni prodotti citati:

  • Alcoli: “sia l’etanolo che il propanolo possono interagire con le fibre naturali provocando fenomeni di rigonfiamento, ma anche il loro utilizzo su fibre sintetiche, normalmente più resistenti all’alcool, potrebbe causare danni irreversibili ai capi colorati dando origine a fenomeni di scolorimento o scioglimento. Inoltre, l’impiego di prodotti a base di alcool, soprattutto se utilizzati in forma nebulizzata, rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo legato all’infiammabilità.
  • Ipoclorito di sodio e acqua ossigenata: sono sconsigliati poiché potrebbero danneggiare i capi colorati causandone il rilascio di colore e la formazione di macchie.
  • Ozono: pur essendo capace di agire in tempi rapidi sui virus, e pur disponendo sul mercato di appositi armadi o box o altri contenitori per poter eseguire il trattamento, il suo impiego andrebbe valutato con attenzione poiché il suo potere ossidante potrebbe alterare i colori dei capi ed i tempi di esposizione risulterebbero un fattore molto critico da controllare.
  • Altre sostanze chimiche: sono fortemente sconsigliate quelle in grado di abbassare/ innalzare il pH per denaturare le proteine dei virus. Le fibre naturali, ma anche alcune fibre sintetiche infatti, potrebbero essere soggette a fenomeni di degradazione o rigonfiamento al di sotto di pH 3 e al di sopra di pH 10-11; inoltre, le caratteristiche di resistenza, aspetto e quelle ecotossicologiche del capo potrebbero irrimediabilmente risultare compromesse (i maggiori capitolati eco tossicologici prevedono un pH per i tessuti compreso fra 4,0 e 7,5)”.

I consigli per i trattamenti fisici dei materiali tessili

Veniamo, invece, ai trattamenti di tipo fisico.

Il primo considerato nel rapporto è il calore (vapore secco) per 30 minuti, “utilizzato anche secondo le prescrizioni del Koch Institute per la sanificazione delle mascherine chirurgiche”.

Si indica che il vapore secco, “in linea di massima, non rappresenta un problema poiché viene già utilizzato nelle operazioni di finissaggio dei tessuti. Il trasferimento del vapore, quale mezzo di contrasto al virus in un contesto commerciale, potrebbe essere praticabile dagli stessi addetti alle vendite con vaporizzatori portatili anche se non è standardizzabile il tempo necessario affinché il calore risulti realmente efficace per la complessità dell’articolo, ovvero la presenza di pieghe, cuciture, risvolti, ecc., che potrebbe richiedere un maggior tempo di vaporizzo. Da sottolineare che l’eventuale uso di vaporizzatori dovrebbe essere effettuato in locali separati, da ventilare abbondantemente dopo l’applicazione del vapore al fine di evitare il trasferimento di eventuali contaminanti dai tessuti trattati all’operatore mediante aerosol”.

Un altro trattamento considerato riguarda le radiazioni UV, in particolare quelle dello spettro UV-C fra i 207-222 nm che “sono risultate in grado di debellare i virus dell’influenza di tipo A (virus H1N1) (62) e si può ipotizzare che pochi minuti di applicazione sarebbero sufficienti per inattivare anche il SARS-CoV-2 su indumenti ed abiti”.

Tuttavia, anche se l’uso di lampade germicide è diffuso da decenni e già utilizzato in processi di sanificazione, “devono essere attentamente considerati i seguenti fattori critici per un suo potenziale utilizzo in ambito tessile:

  • “scarsa penetrazione; non penetra carta, vetro, indumenti e, se il virus è annidato nel tessuto, rischia di non essere raggiunto;
  • distanza minima sorgente UV – materiale trattato;
  • costo energetico e delle lampade (sostituzione ogni 8.000 h);
  • dipendenza dalle condizioni ambientali (umidità relativa);
  • contenimento dell’esposizione dell’operatore considerata la mutagenicità per l’uomo (cute, occhi): in questo caso la radiazione 222 nm, quella più attiva sui virus, è la meno penetrante nella pelle e pericolosa per l’uomo ma gli occhi andrebbero comunque protetti;
  • degradazione dei colori, soprattutto per le tinte meno solide, poiché ogni minuto di esposizione alla luce ultravioletta della lampada corrisponde a qualche ora di esposizione alla luce solare”.

Il rapporto, che vi invitiamo a consultare integralmente, si sofferma poi su altre forme di irraggiamento contro il virus SARS-CoV-2, come “le radiazioni ionizzanti (radiazioni elettromagnetiche a corta lunghezza d’onda ed alta energia), in particolare i raggi γ (Cobalto-60), i raggi X, gli elettroni (acceleratori elettronici). Il meccanismo d’azione ed i costi elevati però, limitano il loro utilizzo ai soli processi industriali: come per i gas tossici, è difficile ipotizzare l’impiego di tale tecnologia nel settore commerciale. Se il vantaggio però consiste in un impatto pressoché nullo sulla struttura dei materiali tessili e nella possibilità di ripetere il trattamento più volte senza danneggiare i capi, lo svantaggio è che i raggi γ, per essere attivi sui virus, richiedono alte intensità di trattamento (kGy), tempi lunghi di applicazione (diverse ore) e sono più efficienti sulle spore e sulle specie batteriche in generale (es. impiego nell’industria alimentare)”.

Abbigliamento di lavoro e indicazioni conclusive

Il rapporto si sofferma poi anche sull’abbigliamento di lavoro che si divide in “indumenti da lavoro ordinari (non-DPI), DPI e dispositivi Medici (DM)”.

Si indica che “per l’abbigliamento, come quello utilizzato in campo medicale, gli indumenti in tessuto-non-tessuto (TNT) assorbente e politene (TNT/PE) può essere usata la sterilizzazione con ossido di etilene, mentre indumenti in TNT e polipropilene (TNT/PP) e TNT tri-accoppiato (Clinical Drape) possono essere trattati in autoclave”.

Inoltre si rammenta che per gli indumenti da lavoro, quali i DPI e i dispositivi medici (DM), “il fornitore è tenuto a mettere a disposizione le informazioni o eventuali schede tecniche relative ai materiali, alle procedure e/o modalità di trattamento per la sanificazione degli stessi. La normativa di riferimento relativa agli indumenti DPI e DM, stabilisce che ogni informazione utile concernente “pulizia, manutenzione o disinfezione” deve essere consigliata dai fabbricanti e non deve avere alcun effetto nocivo per i dispositivi o per l’utilizzatore”.

Il documento sottolinea poi che il rispetto di alcune buone prassi “limiterebbero la diffusione del virus anche nel caso in cui nei negozi di abbigliamento fosse offerta la possibilità di indossare il capo per prova”:

  • per i clienti, “l’utilizzo dei guanti o la disinfezione delle mani in entrata e in uscita, l’ utilizzo della mascherina e il divieto di provare gli abiti che possano entrare in contatto con il viso (ad esempio i maglioni o altri capi che vengono infilati dalla testa) limiterebbero la probabilità di contaminazione degli indumenti.
  • per il commerciante, non mettere a disposizione i capi provati per almeno 12 ore, mantenendoli in un ambiente con umidità inferiore a 65% e a una temperatura inferiore a 22°C, potrebbe rappresentare una ulteriore precauzione”.

In ogni caso, conclude questa parte presente in appendice al Rapporto ISS, “qualora fosse comunque necessario un trattamento sanificante, il vapore secco sembra essere quello consigliabile”. E l’utilizzo di prodotti chimici “è scoraggiato per motivi legati alla stabilità dei colori, alle caratteristiche delle fibre ed al potenziale impatto eco tossicologico. Le radiazioni ionizzanti sono difficilmente esportabili a livello di attività commerciale mentre le lampade UV potrebbero essere un buon compromesso per costo-efficacia e rapidità d’uso, ma non per tutti i capi d’abbigliamento (es. è sconsigliato per biancheria trattata con sbiancanti ottici e per abiti in fibre naturali dai colori accesi o intensi)”.

Infine il lavaggio dei capi, sia in acqua con normali detergenti oppure a secco presso le lavanderie professionali, “è certamente una buona prassi in grado di rispondere alle esigenze di sanificazione, anche se rappresenta un processo di manutenzione straordinario”.

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Gruppo di Lavoro ISS Biocidi COVID-19, “ Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento. Versione del 15 maggio 2020”, Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 – Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020 (formato PDF, 2.15 MB).

 

Scarica la normativa di riferimento:

DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 – Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonchè di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 17 maggio 2020 – Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19

Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.

Fonti: Puntosicuro.it, Gazzattaufficiale.it, Lavoro.gov.it