I telefoni cellulari che usiamo normalmente nei “luoghi di lavoro” e nei “luoghi di vita” sono pericolosi o rischiosi? Una valutazione e alcune perplessità.

In premessa è opportuno fare riferimento all’art. 2 “Definizioni” del Decreto Legge 81 che ha ritenuto necessario dare una definizione a:

“pericolo”: proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni;

“rischio”: probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione.

Domandare pertanto oggi se i telefoni mobili che usiamo normalmente nei “luoghi di lavoro” e nei “luoghi di vita”, siano pericolosi rischiosi potrebbe destare a prima vista molte perplessità o sembrare un inutile esercizio.

Invece nei “luoghi di lavoro” i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezioneed i Medici Competenti devono affrontare questo tema dei telefoni mobili perché di frequente sono “consultati” dai Datori di Lavoro e da Dirigenti (non si sa se definirli più illuminati, attenti o più sensibili a queste particolari tematiche) per fare proprio una valutazione del rischio di esposizione a questo particolare fattore legato all’uso del telefono mobile per elaborare eventuali procedure o regolamenti riguardanti il suo uso.

Questo perché sia nei “luoghi di lavoro” che nei “luoghi di vita” vediamo lavoratori, adolescenti, adulti e anziani usare continuamente Facebook, Twitter, Linkedin, Instagram, WhatsApp, You Tube, Google Plus e altri Social Media durante i normali momenti di lavoro o di vita. Sappiamo come i telefoni mobili abbiano trasformato il nostro mondo della comunicazione in modo profondo e recenti ricerche nel campo della psicosociologia hanno mostrato come vi possa essere una certa “dipendenza” dal telefono mobile che può invece creare potenziali danni alla salute, soprattutto degli adolescenti, in modi davvero insospettabili. Molti ricercatori hanno misurato addirittura le trasformazioni chimiche e fisiche della mente fino al punto di stabilire che si può essere “drogati” da immagini e suoni, intendendo per questo come qualcosa che possa occupare in modo parziale o totale la mente impedendo di pensare ad altro o costituendo un indispensabile bisogno.

Si è costatato che questo nuovo tipo di “droga” anche se si tratta solo di un telefono mobile, produce significativi cambiamenti di quella zona del cervello che interessa la regione preposta al “controllo dell’attenzione, al controllo esecutivo e all’elaborazione delle emozioni”. Gli stessi studi dicono che avvengono mutamenti anche fisici nel sistema di regolazione della “dopamina” che è un mediatore chimico che viene secreto per permetterci di sentire il piacere e l’appagamento. I ricercatori hanno notato anche una diminuzione di recettori della dopamina in persone con dipendenza da internet e da telefoni mobili. Questo spiegherebbe perché alcuni adolescenti hanno bisogno di incrementare certe attività, come ricevere sempre nuove notifiche, per sentirsi in un certo senso soddisfatti o addirittura quasi più felici. Allo stesso modo, questo meccanismo mentale funziona al contrario e le mancate notifiche o l’impossibilità di accedere al proprio telefono mobile possono generare una certa ansia, depressione e sviare l’attenzione.

Sono molteplici anche le discussioni a proposito dell’esposizione a campi elettromagnetici dovuti all’uso del telefono mobile. Alcuni ricercatori hanno scoperto che le persone che usano normalmente il cellulare anche solo per mezz’ora al giorno, ogni giorno e per dieci anni, possono raddoppiare il rischio di sviluppare un cancro al cervello. Se ciò non bastasse a garantire una certa cautela nell’uso del telefono mobile, alcuni studi riportano che le persone che hanno iniziato a usare il telefono mobile sin da ragazzini sono da quattro a cinque volte più soggette al rischio di sviluppare la malattia. Bisogna prendere pertanto tutte le possibili precauzioniaccettando consapevolmente, o addirittura obbligare, di usare innanzitutto gli auricolari, gli altoparlanti, o seguendo le raccomandazioni relative alla distanza dal cervello e dal cuore indicate dal produttore.

Da rilevare che spesso si associa l’artrite o il mal di schiena alle persone anziane o a vecchi infortuni sportivi, invece si sta registrato un aumento dei dolori alla schiena e alla colonna vertebrale associati alla “postura” utilizzata per scrivere messaggi. E’ noto il termine pollice del messaggiatore (un nuovo termine coniato per descrivere l’indolenzimento delle dita e del polso per il troppo messaggiare) ed è noto che questo disturbo è in aumento, e lo stesso vale per il gomito da telefono mobile (sindrome del tunnel carpale cubitale che è il secondo problema più comune da compressione di un nervo). Si tratta di veri e propri malanni fisici che possono essere aggravati proprio dalla dipendenza da telefono mobile.

Conosciamo l’importanza del sonno per il corpo umano e i ragazzi in crescita beneficiano più di tutti di una buona nottata di sonno. Le ricerche raccomandano agli adolescenti fra le otto e le dieci ore di sonno per notte, ma solo il 15% dei ragazzi soddisfa tale requisito. La tecnologia e i telefoni mobili sono i primi responsabili di questa mancanza di sonno. E’ accertato che gli schermi luminescenti interrompono il bioritmo naturale, causando insonnia e sonno agitato. I telefoni mobili sono responsabili dell’interruzione del sonno anche a causa della connessione continua e della messaggistica che prosegue a ogni ora della notte. È difficile per un adolescente farsi un bel sonno ristoratore se si sveglia ogni due o tre ore per leggere i messaggi. Come tutte le forme di dipendenza, la consapevolezza di questo rischio e dei potenziali danni è il primo passo per risolvere il problema. La dipendenza da cellulare va ben oltre la quantità di dati che un adolescente consuma, perché ha il potere di minacciare il futuro della sua salute.

Il telefono mobile è stato una vera rivoluzione, diventato alla portata di tutti, indipendentemente dall’età o dallo status socio-economico, insieme allo sviluppo di crescenti ed innumerevoli servizi e caratteristiche tecniche che però ha implicato delle riflessioni relative alle principali funzioni sociali e psicologiche che il telefono mobile assolve per ciascuno di noi. Il telefono mobile all’inizio è stato uno strumento alla portata di pochi, il cui possesso assolveva soprattutto la funzione di rendere costantemente rintracciabili, in tempo reale, un numero privilegiato di utenti “socialmente impegnati ed importanti”; ben presto invece il telefono mobile ha cominciato a rispondere e alimentare i bisogni comuni e il bisogno individuale di essere vicini, soprattutto ai membri della famiglia, agli amici, trasformando profondamente i bisogni individuali e le possibilità delle relazioni quotidiane, favorendo la possibilità di aumentare le occasioni di contatti personali. Così, di pari passo alla moltiplicazione dei servizi e delle funzioni tecniche, il telefono mobile ha trasformato anche le sue funzioni per soddisfare sempre più i bisogni sociali e psicologici, collettivi ed individuali, tanto che è ormai uno strumento che ci accompagna in ogni momento della giornata, ci aiuta ad organizzare ed a gestire la vita ed il lavoro (con le agende, le sveglie, le rubriche, l’orologio), i momenti di svago (con i giochi, le fotocamere, le videocamere) e rappresenta anche uno strumento che riveste importanti funzioni psicologiche relative sia alla sfera individuale che a quella relazionale.

Però rispetto alle informazioni che forniscono gli stessi Costruttori di telefoni mobili e le Istituzioni nazionali ed internazionali, c’è da mettere in evidenza che questi non si sono definitivamente espressi sulla “pericolosità” del telefono mobile in relazione a quello che viene richiesto dalla normativa in vigore, come il Decreto Legge 81, e  ancora oggi si può leggere, da una attenta lettura dei normali “Manuali d’uso e manutenzione”, che i telefoni mobili non sono “pericolosi”, nel senso che rispetto al rischio di esposizione a Campi Elettromagnetici  (CEM) prodotti durante l’uso, questo fattore non ha la potenzialità di produrre danni alle persone.

Ce da chiedersi a questo punto, rispetto al tema in oggetto e alle argomentazioni fino ad ora sviluppate, perché allora nel Sito del Ministero della Salute alla voce “Telefoni cellulari e salute” (anche se il parere risale al 19 marzo 2013) la Sezione III del Consiglio Superiore di Sanità ha il parere “a deporre contro l’ipotesi che l’uso dei telefoni cellulari comporti un incremento del rischio di tumori intracranici”, nel momento in cui, anche se i telefoni mobili vengono ancora dichiarati rispondenti ai requisiti di sicurezza basati sulle conoscenze scientifiche più aggiornate e definiti da organizzazioni internazionali di esperti riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per contro una nota sentenza della Corte Suprema di Cassazione Sezione Lavoro di Brescia (12 ottobre 2012, n. 17438.12) ha dato una risposta in merito alla richiamata definizione di “pericolo”  e di “rischio” del Decreto Legge 81.

Il cellulare può causare malattie professionali?

Da un commento apparso di recente su Puntosicuro, in pratica, secondo l’accennato giudizio della Corte di Cassazione, ai fini del riconoscimento della malattia professionale, anche in un settore poco conosciuto quale è quello di esposizione a Campi Elettromagnetici (CEM) emessi dai telefoni mobili, non è necessaria una “ragionevole certezza”, bensì è sufficiente un “elevato grado di probabilità”.

Con la sentenza, la Cassazione Civile si è pronunciata sul rapporto di concausalità tra un “intenso” uso del cellulare aziendale e le patologie tumorali, affermandone la sussistenza. E’ noto però che la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’INAIL avverso la sentenza (n. 614 del 2009) con cui la Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, aveva accolto il ricorso del lavoratore di una multinazionale che aveva convenuto in giudizio l’Istituto assicuratore per ottenere le prestazioni di legge in riferimento ad una grave e complessa patologia cerebrale di origine professionale.  L’Istituto assicuratore era stato condannato in appello a corrispondere al richiedente la rendita per malattia professionale prevista per l’invalidità all’80% e tale decisione è stata ora confermata dalla Cassazione.

In particolare, il lavoratore aveva contratto un tumore al nervo trigemino a causa dell’”intenso” uso quotidiano che era tenuto a fare del telefono mobile. Per dodici anni infatti (dal 1991 al 2003) ne aveva fatto uso per 5-6 ore al giorno, contraendo, come fatto cenno, una grave patologia tumorale all’orecchio sinistro perché teneva il telefono proprio all’orecchio sinistro in quanto con la mano destra rispondeva al telefono fisso collocato sulla scrivania o prendeva note e appunti.

Come si legge nella sentenza della Cassazione, “le prove acquisite e le indagini medico legali avevano permesso di accertare, nel corso del giudizio, la sussistenza dei presupposti fattuali dedotti, in ordine sia all’uso nei termini indicati dei telefoni nel corso dell’attività lavorativa, sia all’effettiva insorgenza di un “neurinoma del Ganglio di Gasser” (tumore che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico e, più raramente, come nel caso di specie, il nervo cranico trigemino), con esiti assolutamente severi nonostante le terapie, anche di natura chirurgica, praticate”.

Ripercorrendo la vicenda processuale, originariamente il rifiuto dell’INAIL era stato motivato dalla pretesa “inesistenza di studi scientifici attendibili in ordine alla nocività delle onde elettromagnetiche”: inesistenza che è stata poi smentita invece dalla Corte d’Appello.

 Il CTU nominato in grado d’appello ha infatti individuato il nesso, quanto meno concausale, tra l’utilizzo dei telefoni e la patologia sulla base di numerosi studi scientifici riassunti in una tabella ed effettuati per lo più dal 2005 al 2009 (per l’analisi dei quali si rinvia alla sentenza integrale): “in tre, effettuati dall’Hardell group, era stato evidenziato un aumento significativo del rischio relativo di neurinoma (intendendosi per rischio relativo la misura di associazione fra l’esposizione ad un particolare fattore di rischio e l’insorgenza di una definita malattia, calcolata come il rapporto fra i tassi di incidenza negli esposti [numeratore] e nei non esposti [denominatore])”.

 La Cassazione sottolinea che “l’analisi della letteratura non portava quindi ad un giudizio esaustivo, ma, con tutti i limiti insiti nella tipologia degli studi, un rischio aggiuntivo per i tumori cerebrali, ed in particolare per il neurinoma, era documentato dopo un’esposizione per più di 10 anni a radiofrequenze emesse da telefoni portatili e cellulari e che “doveva dunque riconoscersi, secondo il CTU, un ruolo almeno concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia subita dall’assicurato, configurante probabilità qualificata”.

La sentenza richiama a questo punto l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità.”

In tal senso, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti che possano costituire causa della malattia”.

 Pertanto nel caso in specie deve “quindi ritenersi la sussistenza del requisito di elevata probabilità che integra il nesso causale richiesto dalla normativa”.

Per gli “addetti ai lavoro” la “Probabilità “ (nel momento in cui gli aggettivi come “protratto”, “intenso” o “prolungato” non misurano oggettivamente il “rischio”) è contenuta nella nota formula R (Rischio) = P (Probabilità) x D (Danno), dove il “Rischio” è il rapporto tra la “Probabilità” di accadimento dell’evento ed il “Danno”  conseguente. La “Probabilità”, intesa come frequenza di accadimento, è misurata in eventi per unità di tempo (può accadere una volta al giorno, a settimana, all’anno e così via), mentre l’entità del “Danno D” è misurata in termini di conseguenza per l’evento (per esempio un infortunio, una malattia professionale, un infortunio mortale e così via). Invece, il “Rischio” di esposizione a Campi Elettromagnetici (CEM) generati dai telefonini mobili è stato sempre ritenuto basso e molte volte non classificabile dalla letteratura scientifica (vedi come già fatto cenno la dichiarazione di una istituzione come il Ministero della Salute: “Ad oggi, secondo l’OMS, non è stato dimostrato alcun effetto sanitario avverso causato dall’uso dei telefoni cellulari, ma ulteriori ricerche sono in corso per colmare residue lacune nelle conoscenze”).

Invece, il caso della Corte di Cassazione di Brescia, sta ponendo, ancora oggi, il problema di una certa valutazione obiettiva del rischio “ Stress Lavoro-Correlato” da parte dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e dei Medici Competenti, nel momento in cui “basso” o “non classificabile” non esprimono una precisa unità di misura e come è stato già fatto cenno, è comune invece riscontrare all’interno delle aziende che molti lavoratori utilizzano ormai i telefoni mobili aziendali per esigenze legate proprio al particolare lavoro da svolgere, in modo “intenso” e “prolungato” per esigenze appunto di lavoro, oltre che all’eventuale utilizzo personale dello stesso telefono, messo a disposizione.

Si è cercato pertanto di capire e fare riferimento sia al TLV (Threshold Limit Value – Valore Limite di Soglia”) americano sia al VLE (Valore Limite di Esposizione) italiano, nel momento in cui la tecnicalità della definizione del TLV americano indica la concentrazione dell’agente chimico o fisico, al di sotto della quale gli “Igienisti Industriali americani” ritengono che “la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente giorno dopo giorno, per tutta la vita lavorativa, senza alcun effetto negativo per la salute”. Da rilevare inoltre che i TLV americani non rappresentano il confine oltre il quale si manifesta materialmente un danno alla salute, così come non rappresentano una soglia universalmente valida per ogni individuo. I TLV devono essere pertanto utilizzati come “indice di raccomandazione” per la prevenzione dei rischi in ambiente di lavoro e di vita, in quanto esistono numerose possibili motivazioni per un aumento della “suscettibilità” individuale ad una o più sostanze chimiche, inclusi ad esempio l’età, il sesso, l’etnia, i fattori genetici (predisposizione), gli stili di vita, le abitudini personali, l’alimentazione, le cure mediche o le preesistenti condizioni di disturbo della salute. La “suscettibilità” può dipendere anche dall’attività che il soggetto compie (lavoro pesante o leggero), o del tipo di rischio (basso, medio, alto), o dell’età, o di esercizio o se il lavoro viene svolto a temperature troppo calde o fredde. La Documentazione per “ogni” TLV adottato deve essere quindi studiata attentamente ricordando che altri fattori possono modificare la risposta biologica.

Scorrendo infine la sentenza della Corte di Cassazione si legge: “Il M. aveva agito in giudizio deducendo che, in conseguenza dell’uso lavorativo protratto, per dodici anni e per 5-6 ore al giorno, di telefoni cordless e cellulari all’orecchio sinistro aveva contratto una grave patologia……..; le prove acquisite e le indagini medico legali avevano permesso di accertare, nel corso del giudizio, la sussistenza dei presupposti fattuali dedotti, in ordine sia all’uso nei termini indicati dei telefoni nel corso dell’attività lavorativa, sia all’effettiva insorgenza di un “neurinoma……..”….; sulla ricorrenza di tali elementi fattuali, come evidenziato nella sentenza impugnata, non erano state svolte contestazioni in sede di appello, incentrandosi la questione devoluta al Giudice del gravame sul nesso causale tra l’uso dei telefoni e l’insorgenza della patologia”.

In conclusione, c’è da rilevare a questo punto che dalla sentenza della Corte di Cassazione emergono due dati importanti e significativi circa l’uso del telefono mobile da parte del lavoratore: il primo, l’”intenso tempo di esposizione giornaliero” (5-6 ore al giorno), i secondo il “prolungato e protratto uso” (12 anni). Stesse considerazioni si possono fare per l’uso del telefono mobile nei “Luoghi di vita” in termini di impego “intenso” e “prolungato” intervenendo sulla “dipendenza” da telefono mobile, perché prevenire è importante quanto curare. Il rapporto con il telefono mobile è in definitiva potenzialmente rischioso per tutti, perché spesso solo parzialmente controllabile, dal momento che si possono gestire soprattutto le chiamate effettuate e meno quelle ricevute.

È per questo che la prevenzione di questa forma di “dipendenza” è importante quanto l’intervento su di essa nella sua forma più acuta. Esiste infatti la possibilità che, in un periodo particolarmente difficile della vita il telefonino diventi un oggetto su cui canalizzare uno stato di disagio (affettivo, relazionale, ecc.).

E’ importante quindi allenarsi ad un rapporto equilibrato con il telefono mobile, limitato nel tempo e capace di autocontrollarsi, concedendosi talvolta qualche pausa dalla sua presenza rassicurante. Da rilevare infine che chi scrive, in qualità di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, ove si trovasse in un caso analogo di valutazione di rischio di specie analizzato nel dettaglio tecnico-giuridico la valutazione della Corte di Cassazione non potrà che non tenere conto di “informare” correttamente il Datore di Lavoro ed i Dirigenti di ritenere la lavorazione con uso di telefono mobile “pericolosa” ove ricorrano una combinazione di un impiego “intenso” e “prolungato” e “rischiosa” per la salute del lavoratore nel momento in cui i tempi di esposizione (ore al giorno) ed il prolungamento dello stesso (anni di esposizione) giustificano la Sorveglianza Sanitaria e pertanto una visita medica del Medico Competente per la valutazione finale circa una eventuale periodicità della stessa e per una idoneità o non idoneità al lavoro del lavoratore rispetto alla lavorazione industriale svolta, e, ove già ne ricorrano gli estremi di danno, la denuncia di “sospetta” malattia professionale all’INAIL.

Fonti: Inail, Puntosicuro.it