Una nota di Confindustria si sofferma sul DPCM 3 novembre 2020 con riferimento alle conseguenze sulle attività produttive industriali in materia di sicurezza. Le trasferte di lavoro, la formazione alla sicurezza e la validità dei protocolli.
In questa difficile fase evolutiva del virus SARS-CoV-2 e delle misure di contenimento per l’emergenza COVID-19 è importante approfondire l’impatto che le norme e l’emergenza stessa hanno sul mondo produttivo italiano con specifico riferimento al DPCM 3 novembre 2020 e alle correlate Ordinanze del Ministero della Salute che evidenziano le Regioni a maggior rischio di contagio.
Per questo motivo abbiamo deciso di ospitare sul nostro giornale una recente Nota elaborata da Confindustria, la più rappresentativa organizzazione di rappresentanza delle imprese produttrici di beni e/o servizi in Italia, a proposito del DPCM 3 novembre 2020, del rischio da quarantena e del possibile rafforzamento delle tutele per lavoratori e datori di lavoro.
Se dei due ultimi temi evidenziati abbiamo già parlato in un precedente articolo, oggi ci soffermiamo oggi, invece, sulle riflessioni e i commenti di Confindustria riguardo al DPCM 3 novembre 2020 e alle sue conseguenze per quanto riguarda il mondo lavorativo e il sistema di prevenzione aziendale.
Ricordiamo che la Nota segue la prima Ordinanza del Ministro della Salute che individua le prime zone “arancioni” (Scenario di elevata gravità) e zone “rosse” (Scenario di massima gravità), ma è precedente alle successive Ordinanze, ad esempio del 10 e del 13 novembre 2020.
Questi gli argomenti affrontati nell’articolo:
- Le disposizioni generali del DPCM e le trasferte di lavoro
- La formazione alla sicurezza e le misure per le zone più a rischio
- La validità dei protocolli, il lavoro agile e la certificazione ai fini INPS
Le disposizioni generali del DPCM e le trasferte di lavoro
Riguardo alle disposizioni generali del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che ricordiamo, sostituisce il DPCM 24 ottobre 2020 e produce effetti fino al 3 dicembre, la Nota indica che l’articolo 1, “conferma, nella struttura, il precedente ed è riferito alle misure di contenimento del contagio che valgono sull’intero territorio nazionale”.
Ad esempio si conferma espressamente “l’applicazione dei protocolli di sicurezza, ribadendo l’obbligo di portare la mascherina in tutti i luoghi, sia al chiuso che all’aperto (e ferme le regole valide all’interno dei luoghi di lavoro secondo il Protocollo del 14 marzo 2020) e confermando l’obbligo del distanziamento di almeno un metro tra le persone”.
Al comma 3 si introduce un limite agli spostamenti, che vale per tutto il territorio nazionale, ad esempio nell’arco temporale 22.00/5.00, vige un espresso divieto di spostamento e per tutta la giornata “vige la raccomandazione (non suscettibile di sanzione) di non spostarsi con mezzi pubblici o privati (così lasciando intendere che sia libero lo spostamento a piedi o in bicicletta)”. Tuttavia sono previste differenti deroghe: “rispetto al divieto, fanno eccezione i comprovati motivi lavorativi, oltre che quelli di salute e necessità mentre alla raccomandazione, oltre che i casi precedenti, fanno eccezione i motivi di studio o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi”.
A questo proposito la Nota, “vista l’assenza di preclusioni agli spostamenti per motivi di lavoro”, si sofferma sul tema delle trasferte.
Se “alla luce dell’ultimo DPCM gli spostamenti per motivi di lavoro erano espressamente consentiti, in deroga alle limitazioni, nazionali o internazionali, ed evidentemente salvi i divieti di recarsi in determinate zone e l’obbligo di quarantena al rientro”, nulla è modificato, sul punto, dai recenti provvedimenti di legge “né il DPCM introduce nuove discipline restrittive che impediscono le trasferte”.
Confindustria ritiene, quindi, “che – salvi gli aspetti di sanità e le relative procedure (quarantena) – non vi siano limitazioni alla trasferta, che il Protocollo aveva inserito il 14 marzo in considerazione del lockdown dell’epoca ed in considerazione di quella situazione critica. Anche allora, comunque, s’era fatta una distinzione sulla base delle motivazioni della trasferta, la cui limitazione riguardava quella parte di spostamenti non funzionali all’esercizio dell’attività stessa, ossia tali da precludere l’attività produttiva e gli aspetti ad essa strettamente inerenti”.
Infatti, continua la Nota, “non avrebbe senso consentire l’attività produttiva ma impedire la realizzazione o l’installazione di impianti, con le attività connesse di formazione, aggiornamento, manutenzione, riparazione, etc”.
Sempre riguardo all’ambito lavorativo nulla cambia anche per quanto riguarda “l’uso delle mascherine, per la tipologia che è possibile utilizzare e per la sottolineatura che le forme prioritarie di cautela sono il distanziamento e l’igiene (costante ed accurata) delle mani e ad esse si aggiunge l’ uso della mascherina, che resta comunque essenziale”.
La formazione alla sicurezza e le misure per le zone più a rischio
Riguardo al comma 9 dell’articolo 1 la Nota si sofferma poi anche su altri aspetti (la chiusura delle attività di convegnistica e congressuale, le riunioni private a distanza, le scuole secondarie di secondo grado, …) e arriva a parlare di formazione.
Si indica che in tema di formazione, il provvedimento “specifica che ‘i corsi di formazione pubblici e privati possono svolgersi solo con modalità a distanza’, lasciando così espressamente intendere che tutta la formazione, salve le eccezioni previste nella medesima lettera s), vada svolta a distanza”. E tra queste eccezioni, come ricordato anche in altri articoli, sappiamo esserci anche la formazione in materia salute e sicurezza.
Malgrado ciò Confindustria indica che “a tutela del datore di lavoro e dei lavoratori” si ritiene “opportuno confermare quanto affermato nelle precedenti comunicazioni in ordine alla opportunità di verificare prima la possibilità di riprogrammare il corso e, in caso negativo, di tenerlo nelle modalità a distanza, lasciando l’ipotesi di formazione in presenza ad una soluzione residuale e limitata alle ipotesi nelle quali contenuti degli interventi e specifiche esigenze formative non ne consentano uno svolgimento adeguato se non in presenza”.
Si ricorda poi che nel testo del DPCM 3 novembre 2020 è presente l’indicazione della “possibilità di svolgere i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza a condizione del rispetto del documento dell’Inail, mentre le regole per lo svolgimento dell’attività di formazione sono in realtà presenti nelle linee guida delle Regioni allegate al DPCM”.
Sull’opportunità di organizzare formazione in presenza o a distanza durante questa fase dell’emergenza COVID-19, rimandiamo anche alla lettura dell’articolo “ COVID-19: è da preferire la formazione in presenza o a distanza?”
Nella Nota di Confindustria riguardo poi alle misure dell’articolo 2 – per le zone con scenario di elevata gravità e livello di rischio alto – si ricorda che per i divieti di entrata ed uscita, di spostamento con mezzi pubblici e privati fuori dal comune di residenza, domicilio o abitazione c’è l’eccezione delle esigenze lavorative, di necessità, di salute, per svolgere la didattica in presenza o per tornare alla propria residenza, domicilio o dimora o per usufruire dei servizi o delle attività consentite. Inoltre sono sospese le attività di ristorazione (salve alcune eccezioni).
Mentre l’articolo 3, relativo al più grave scenario 4, “si applicano il divieto di entrata ed uscita dai territori, sempre salve le esigenze lavorative, necessità, salute, didattica in presenza (in questo caso, a differenza del precedente art. 2, non né prevista la deroga per l’accesso alle attività consentite). Sono sospese le attività commerciali al dettaglio (sia per gli esercizi di vicinato sia nelle medie e grandi strutture di vendita) e la ristorazione (in entrambi i casi, salve alcune eccezioni)”.
Inoltre le pubbliche amministrazioni “la presenza del personale negli uffici è limitata alle attività ritenute indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza, anche per la gestione dell’emergenza. Il provvedimento specifica che ‘il personale non in presenza presta la propria attività lavorativa in modalità agile’”.
La validità dei protocolli, il lavoro agile e la certificazione ai fini INPS
Riguardo agli altri articoli la Nota sottolinea che l’articolo 4 – “corrispondente all’articolo 2 dei procedenti DPCM – è relativo alle attività produttive industriali e commerciali, e resta invariato: si conferma, quindi, che la regolamentazione in tali ambiti continua ad essere assicurata dai Protocolli, senza alcuna deroga”.
Si indica che se la norma va coordinata con le previsioni limitative degli articoli 2 e 3, comunque “le attività industriali rispondono, sull’intero territorio nazionale, al rispetto del Protocollo del 14 marzo 2020 o a quelli analoghi di settore. Gli articoli 2 e 3, nel prevedere misure più restrittive, non fanno mai alcun riferimento al tema dell’attività industriale”.
Lo stesso “sembra non potersi sostenere con riferimento alle attività commerciali, in quanto se ne prevede espressamente la limitazione negli articoli 2 e 3”.
La Nota si sofferma poi sull’articolo 5 che, nell’individuare alcune misure generalizzate di sicurezza da valere sull’intero territorio nazionale, “si occupa dello smart work per le pubbliche amministrazioni (che deve essere assicurato nelle ‘percentuali più elevate possibili’ e comunque nella misura del 50%, considerate le potenzialità organizzative e salva l’effettività del servizio)”.
Mentre per i datori di lavoro privati, la norma “raccomanda fortemente l’utilizzo delle modalità di lavoro agile, secondo le previsioni del DL 34/2020 e dei protocolli”.
Tra l’altro il Protocollo condiviso “prevede espressamente che ‘il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione’”.
Si accenna poi agli articoli da 6 a 8 che “confermano il regime degli spostamenti da e verso l’estero”.
Anche in questo caso, con riferimento alle trasferte, si evidenzia che “tra le deroghe al divieto di spostamento ci sono le esigenze lavorative. In particolare (comma 5, lett. c), per l’ipotesi delle persone che fanno ingresso dall’estero e sono sottoposte a sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario, con obbligo di sottoporsi a test molecolare o antigenico, si conferma la previsione secondo cui ‘in caso di necessità di certificazione ai fini INPS per l’assenza dal lavoro, si procede a rilasciare una dichiarazione indirizzata all’INPS, al datore di lavoro e al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta in cui si dichiara che per motivi di sanità pubblica è stato posto in quarantena precauzionale, specificandone la data di inizio e fine’. Si tratta di una previsione che Confindustria ha da sempre chiesto di estendere a tutte le ipotesi di quarantena (a prescindere dall’ipotesi di rientro dall’estero) al fine di consentire al datore di lavoro di conoscere tempestivamente la condizione sanitaria dei lavoratori (distinguendo la malattia dalla quarantena) e che è prevista anche in Ordinanze locali (es. Ordinanza del Presidente della Regione Lazio del 26 febbraio 2020), ma non risulta mai applicata”.
Concludiamo, segnalando, che la Nota evidenzia che Confindustria ha proposto un emendamento “per consentire al datore di lavoro di distinguere tra certificato di malattia e certificato medico di quarantena e poter gestire il lavoratore, sul piano del rapporto di lavoro e su quello previdenziale (Inps e Inail) e della sicurezza (per sapere se può lavorare in smart work)”.
Rimandiamo, infine, alla lettura integrale della Nota che riporta anche indicazioni sul rafforzamento delle tutele per lavoratori e datori di lavoro, anche per offrire “un ulteriore percorso di sicurezza volto a mitigare il cd rischio da quarantena”.
Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:
Confindustria, “ Nota sul DPCM del 3 novembre 2020 e gli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro” (formato PDF, 232 kB).
Scarica la normativa di riferimento:
Fonti: Confindustria, Gazzetta ufficiale, Puntosicuro.it