Indicazioni sull’esposizione ad amianto, sulle criticità normative e sulle difficoltà e problemi nelle analisi dei materiali. La relazione richiesta dalla legge 257/1992 e i limiti di rilevabilità delle fibre di amianto.
“La presenza diffusa di manufatti in cemento-amianto fa supporre che le esposizioni in campo edile possano costituire un reale rischio anche negli anni futuri”. In particolare al momento della messa al bando le stime dei quantitativi dei materiali contenenti amianto (MCA) in opera “parlavano di circa 30 milioni di tonnellate di materiali compatti fuori terrae della presenza di circa 83.000 km di condotte per acquedotti ed in misura minore gasdotti”. E “dai dati disponibili al ritmo attuale l’ultimo manufatto verrebbe rimosso tra circa 60 anni”.
A presentare in questo modo la situazione dei materiali contenenti amianto in Italia è un estratto del rapporto ReNaM ( Registro Nazionale dei Mesoteliomi), in relazione al settore edile. Rapporto citato in un intervento che si è tenuto nel corso di formazione ASUR Marche e SNOP dal titolo “Asbesto, asbestosi e cancro: dal riconoscimento e controllo del rischio alla qualità della sorveglianza sanitaria degli esposti ed ex esposti” (1 ottobre 2015, Civitanova Marche).
L’intervento “Attualità dell’esposizione ad amianto”, a cura di Stefano Silvestri (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica Firenze), oltre a citare il rapporto ReNaM, affronta diversi aspetti del rischio amianto (livelli di esposizione, normativa, azioni di censimento, stime degli esposti, efficacia delle misure di prevenzione attuate in passato, …).
Ad esempio il relatore si sofferma ampiamente sulla Legge 27 marzo 1992, n. 257 recante “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, entrata in vigore il 28 aprile 1992.
E in particolare sulla relazione indicata all’articolo 9:
ART. 9 – Controllo sulle dispersioni causate dai processi di lavorazione e sulle operazioni di smaltimento e bonifica
1. Le imprese che utilizzano amianto, direttamente o indirettamente, nei processi produttivi, o che svolgono attività di smaltimento o di bonifica dell’amianto, inviano annualmente alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano e alle unità sanitarie locali nel cui ambito di competenza sono situati gli stabilimenti o si svolgono le attività dell’impresa, una relazione che indichi:
a) i tipi e i quantitativi di amianto utilizzati e dei rifiuti di amianto che sono oggetto dell’attività di smaltimento o di bonifica;
b) le attività svolte, i procedimenti applicati, il numero e i dati anagrafici degli addetti, il carattere e la durata delle loro attività e le esposizioni dell’amianto alle quali sono stati sottoposti;
c) le caratteristiche degli eventuali prodotti contenenti amianto;
d) le misure adottate o in via di adozione ai fini della tutela della salute dei lavoratori e della tutela dell’ambiente.
2. Le unità sanitarie locali vigilano sul rispetto dei limiti di concentrazione di cui all’articolo 3, comma 1, e predispongono relazioni annuali sulle condizioni dei lavoratori esposti, che trasmettono alle competenti regioni e province autonome di Trento e di Bolzano ed al Ministero della sanità.
3. Nella prima attuazione della presente legge la relazione di cui al comma 1 deve riferirsi anche alle attività dell’impresa svolte nell’ultimo quinquennio ed essere articolata per ciascun anno.
L’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente, si sofferma anche sulla lettura ed interpretazione del contenuto dell’art 9 della legge 257/1992, ad esempio con riferimento a quanto indicato dall’Uff. legislativo del Legislativo Ministero Salute.
Un’altro intervento al corso che si è soffermato sugli aspetti normativi si intitola “Igiene industriale e amianto oggi: problemi e criticità nelle analisi dei materiali e nelle misure di esposizione” ed è a cura di F. Cavariani (Asl Viterbo).
Riportiamo alcune indicazioni relative al quadro normativo, un quadro che è caratterizzato dall’esistenza “di fatto di un regime parallelo dovuto alla presenza contemporanea di norme comunitarie e nazionali (non sempre compatibili)”.
In particolare le norme sull’amianto “trattano in modo abbastanza esauriente, anche per la parte analitica:
– esposizione professionale ad amianto;
– cessazione dell’impiego di amianto;
– limiti per scarichi in ambiente;
– omologazione e/o classificazione di materiali fibrosi sostitutivi dell’amianto;
– idoneità dei laboratori pubblici e privati per l’esecuzione di analisi di amianto;
– gestione dei rifiuti di amianto: classificazione, collocazione in discarica, recupero”, …
Mentre su altre questioni la normativa “non è ancora perfettamente esauriente e permangono pertanto problemi di valutazione del rischio per assenza di adeguati standard e procedure:
– gestione cemento-amianto sia coperture, sia a contatto con acqua potabile (tubazioni, serbatoi);
– qualità dell’aria (valori limiti ambiente);
– definizione delle esposizioni sporadiche e a debole intensità (ESEDI);
– gestione dei siti contaminati (naturali e non);
– definizione di procedure e metodi analitici vari” ….
E ci sono anche carenze in relazione ai “limiti di esposizione professionale a fibre minerali artificiali: fibre ceramiche refrattarie (classificate R49) e vetrose”.
Un altro problema su cui si sofferma la relazione è quello tecnico, con riferimento alle problematiche analitiche dei “limiti intrinseci di rilevabilità delle fibre di amianto”.
Infatti la prima difficoltà “è intrinseca ed è dovuta al fatto che l’amianto è propriamente definito solo attraverso la contemporanea determinazione della sua triplice natura di silicato, cristallo e fibra. Nella determinazione dell’amianto è indispensabile determinarne la chimica, la mineralogia, la morfologia”.
Inoltre la “criticità della natura fibrosa come causa degli effetti dannosi si è manifestata dai numerosi studi clinici ed epidemiologici ed ha portato i medici del lavoro a basare la valutazione di rischio di esposizione a fibre secondo il loro numero e la dimensione”. Tuttavia “per le dimensioni delle fibre non vi sono modelli di respirabilità come per le polveri tali da mettere a punto dispositivi per la selezione aerodinamica (es.: cicloni o simili) già in fase di campionamento. Per le fibre si utilizza un criterio puramente geometrico che il microscopista applicherà ad ogni fibra”.
Si segnala poi che “non in tutte le circostanze le norme prevedono di contare le fibre, ma a seconda della matrice (e del contesto normativo) si devono adottare metodiche analitiche diverse” (nell’intervento, che vi invitiamo a visionare sono indicate diverse metodologie).
E “per ottenere campioni finali leggibili allo strumento (es. microscopio o diffrattometro), è necessario ridurli in polvere il che comporta la macinazione del campione di partenza. Macinare significa alterare il parametro ‘liberabilità’ delle fibre e le loro dimensioni, inoltre lo stress da macinazione influenza fortemente la risposta strumentale”.
Il problema analitico – conclude la relazione – “è pertanto complesso e, anche il legislatore nell’introduzione ai metodi analitici dell’Allegato I del DM 6.9.94” indica che ‘… a tutt’oggi non è stata data una soluzione soddisfacente’.
Tuttavia “in particolari condizioni e per determinati intervalli di significatività (che non necessariamente coincidono con gli intervalli di applicazione delle norme) le analisi possono essere effettuate e possono essere forniti dati riproducibili. Con queste premesse è possibile affrontare il panorama delle determinazioni analitiche più importanti per amianto (e fibre minerali) e i relativi limiti”.
“ Attualità dell’esposizione ad amianto”, a cura di Stefano Silvestri (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica Firenze), intervento al corso di formazione “Asbesto, asbestosi e cancro: dal riconoscimento e controllo del rischio alla qualità della sorveglianza sanitaria degli esposti ed ex esposti” .
“ Igiene industriale e amianto oggi: problemi e criticità nelle analisi dei materiali e nelle misure di esposizione”, a cura di F. Cavariani (Asl Viterbo), intervento al corso di formazione “Asbesto, asbestosi e cancro: dal riconoscimento e controllo del rischio alla qualità della sorveglianza sanitaria degli esposti ed ex esposti”.
Fonti: ASl Viterbo, Istituto superiore di Oncologia di Firenze, Puntosicuro.it