Le imprese che provvedono ad assemblare i componenti di macchine prodotte da altre ditte sono individuate come costruttori in senso giuridico e hanno pertanto l’obbligo di controllare e certificare la sicurezza del macchinario nel complesso. Di G.Porreca.
Cassazione Sezione IV Penale – Sentenza n. 12377 del 17 marzo 2014 (U. P. 11 marzo 2014) – Pres. Romis – Est. Serrao – P.M. Policastro – Ric. B.E.G..
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Prende in esame la Corte di Cassazione in questa sentenza un caso, già oggetto in passato di altre sentenze della suprema Corte e cioè quello in cui una impresa provvede ad assemblare delle macchine prodotte da altre ditte e ribadisce nell’occasione quelli che sono gli obblighi che derivano dall’operazione di assiemaggio. Il D.P.R. 24 luglio 1996 n. 459, la cosiddetta ” Direttiva macchine”, ha sostenuto la suprema Corte, ha disciplinato i presidi antinfortunistici concernenti le macchine ed ha in sostanza introdotto un “minimum tecnologico obbligato comune” che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l’obbligo di controllo della regolarità della macchina prima che la stessa venga messa a disposizione del lavoratore e dall’altro ha individuato i cosiddetti “costruttori in senso giuridico” di un macchinario e cioè quelli che creano un sistema che risulti composto da macchine prodotte da altre ditte, i quali proprio a seguito di tale assemblaggio hanno l’obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di ottenere la certificazione necessaria per metterla in esercizio a disposizione dei propri lavoratori.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha dichiarato il direttore di uno stabilimento responsabile del delitto previsto dall’art. 590 c.p., comma 3, condannandolo alla pena di euro 200 di multa concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e applicata la diminuzione per il rito abbreviato. L’imputazione era riferita ad un infortunio occorso ad un lavoratore dello stabilimento il quale, mentre era intento a controllare una cesoia orizzontale che provvedeva automaticamente al taglio di alcuni tondini di acciaio, essendosi bloccato a metà corsa il coltello mobile della macchina, dopo aver cercato di riavviare la macchina operando dal quadro comando e lasciando il pulsante del ciclo automatico inserito e dopo aver preso una manovella, era entrato nella cabina in cui era alloggiata la macchina ed aveva sbloccato il freno pneumatico e quindi, inserita la manovella nel volano, aveva ottenuto il movimento avanti-indietro della slitta porta-coltelli. Nel mentre faceva questa operazione però, poiché il sensore di rilevamento della manovella era verosimilmente guasto o non regolato, la macchina era ripartita improvvisamente, facendo ruotare la manovella precedentemente inserita che quindi colpiva il polso sinistro del dipendente causandogli la frattura dell’epifisi distale del radio sinistro.
Secondo i giudici di merito, la causa dell’attivazione improvvisa della macchina era riconducibile a un guasto o rottura del sensore che, se avesse funzionato correttamente, l’avrebbe impedita. Il dipendente, non attivando il pulsante di emergenza prima di intervenire manualmente sulla macchina, non aveva osservato le disposizioni impartite ma il datore di lavoro, dal canto suo, non aveva proceduto alla eliminazione del rischio sostituendo il micro di sicurezza a induzione, componente rivelatosi non adatto, con dispositivo idoneo ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1996 n. 459 come disposto dagli artt. 35 e 36 del D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626.
Il Tribunale aveva preso atto che il rischio di riattivazione della macchina durante la procedura di set up manuale era stato previsto dal datore di lavoro a tal punto da collocare un pulsante di emergenza (che il dipendente non aveva premuto) e da installare un sensore sul volano, sensore idoneo a impedire la riattivazione nel caso in cui fosse stata inserita la manovella, ma aveva accertato altresì che non era stato introdotto un meccanismo idoneo a segnalare eventuali guasti, per cui la situazione aveva generato una falsa sicurezza nel dipendente, ritenendo che tale previsione avrebbe consentito di eliminare completamente il rischio. Sotto il profilo soggettivo, quindi, il Tribunale aveva ritenuto che l’evento fosse prevedibile ed evitabile, avuto riguardo allo stato della tecnica, e che l’osservanza delle norme cautelari fosse in concreto esigibile.
Nell’atto di appello l’imputato aveva contestato la risposta data dal perito in ordine alle ragioni per cui la macchina si sarebbe riavviata improvvisamente osservando come non fosse affatto chiaro il perché, dato che sia il selettore in automatico che quello manuale avrebbero comunque richiesto un comando esterno per ripartire ed aveva avanzato altresì l’ipotesi che l’inserimento della manovella potesse essere avvenuto nel corso delle ultime rotazioni che il volano subisce per inerzia prima dell’arresto completo e che la manovella fosse sfuggita quindi di mano al lavoratore, nessuna influenza potendo avere il malfunzionamento del sensore che toglie corrente alla macchina ma non blocca l’inerzia che prescinde dalla trasmissione della corrente.
Avendo il lavoratore scelto di operare diversamente da come di solito faceva e avendo, dal canto suo, il datore di lavoro predisposto un sistema di ispezioni specifico della sicurezza delle macchine con rotazione settimanale, individuato il rischio e provveduto all’informazione e formazione del lavoratore, non residuavano profili di colpa individuabili a carico dell’imputato, che aveva inserito un sensore sulla porta anziché sopra la sede di inserimento della manovella, soluzione ritenuta idonea dallo stesso perito, non potendosi a lui imputare quindi l’incolpevole guasto del sensore.
Il giudice di appello, al quale ha fatto ricorso l’imputato, ha confermata la sentenza di primo grado affermando che la previsione del rischio diligentemente adottata dal datore di lavoro con l’inserimento di un sensore, non previsto dal costruttore della macchina ma idoneo a impedire il contatto tra motore e volano al momento del set up manuale, avrebbe dovuto essere completata con l’adozione di accorgimenti adeguati ad allertare circa il guasto o malfunzionamento del sensore stesso.
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
Il direttore dello stabilimento ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo che la Corte territoriale, nell’affermare che la previsione del rischio avrebbe dovuto essere completata con l’adozione di accorgimenti adeguati a segnalare il guasto o malfunzionamento del sensore stesso, aveva basato il giudizio di prevedibilità con una valutazione ex post di una scrupolosa e meticolosa previsione dell’evento in concreto verificatosi, mentre una corretta valutazione della prevedibilità ex ante doveva portare ad affermare che le misure adottate dal datore di lavoro fossero idonee a prevenire il rischio stesso. Il ricorrente ha sostenuto ancora che la Corte territoriale, a fronte della tesi difensiva secondo la quale l’inserimento della manovella poteva essere avvenuto nel corso delle ultime rotazioni che il volano subisce per inerzia prima dell’arresto completo e che la manovella fosse sfuggita di mano al lavoratore, si era limitata a contestarne la fondatezza sulla base solo delle dichiarazioni rese dal lavoratore stesso.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e lo ha pertanto rigettato. Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta esaminata dai giudici di merito, ha fatto presente la suprema Corte, occorre prendere le mosse dalla normativa introdotta con D.P.R. 24 luglio 1996 n. 459, cosiddetta “Direttiva macchine”, che ha disciplinato i presidi antinfortunistici concernenti le macchine e i componenti di sicurezza immessi sul mercato. Dal raccordo di tale normativa con il sistema prevenzionistico già in vigore, ha sostenuto la Sez. IV penale, si è desunta un’anticipazione della tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso delle macchine, parti di macchine o apparecchi in genere, coinvolgendosi nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza tutti gli operatori ai quali siano imputabili dette attività. “Si è, in sostanza, introdotto”, ha proseguito la Corte di Cassazione, “un “minimum tecnologico obbligato comune che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l’obbligo di controllo della regolarità della macchina o del pezzo prima che gli stessi vengano messi a disposizione del lavoratore; d’altro canto, si è attribuito tale obbligo a soggetti individuati come “costruttori in senso giuridico” del macchinario quando, ad esempio, pur risultando il macchinario composto di pezzi prodotti da altre ditte, l’obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di ottenere la certificazione necessaria per immetterlo sul mercato spettasse ad una impresa in particolare, in ipotesi incaricata di assemblare tutte le componenti”.
In merito al rapporto esistente fra il costruttore e l’utilizzatore delle macchine la suprema Corte ha avuto modo inoltre di precisare che “le disposizioni che hanno dato attuazione alle ‘Direttive macchine’ dell’Unione Europea, pur indicando le prescrizioni di sicurezza necessarie per ottenere il certificato di conformità e il marchio CE richiesti per immettere il prodotto nel mercato, non escludono ulteriori profili in cui si possa sostanziare il complessivo dovere di garanzia di coloro che pongono in uso il macchinario nei confronti dei lavoratori, che sono i diretti utilizzatori delle macchine stesse, non potendo costituire motivo di esonero della responsabilità del costruttore quello di aver ottenuto la certificazione e di aver rispettato le prescrizioni a tal fine necessarie”.
Esaminando le sentenze dei giudici di merito la Corte di Cassazione ha fatto osservare inoltre che per intervenire sulla macchina in caso di blocco il costruttore aveva previsto una determinata procedura che contemplava l’arresto della macchina con il pulsante di emergenza ed il freno pneumatico sempre inserito, a garanzia di un eventuale innesto accidentale della frizione, e che l’utente, allo scopo di ottenere registrazioni più accurate, per garantire qualità superiore del prodotto finito e riduzione dei tempi di intervento, aveva modificato la macchina, inserendo una manovella con la quale era possibile effettuare in via manuale le registrazioni e i controlli necessari per resettare la macchina. Una volta inserita la manovella, la modifica prevedeva un sensore ad induzione che ne rilevava la presenza al fine di inibire l’inserimento della frizione. Era stato accertato dal Tribunale, sulla scorta della perizia espletata, ha ancora fatto presente la Sez. IV, che la modifica introdotta dall’utente stesso escludeva l’unica sicurezza prevista dal costruttore, concretata dal freno pneumatico sempre bloccato, avendola sostituita con un sensore che svolgeva le funzioni di componente di sicurezza.
Un componente di sicurezza, ha inoltre precisato la suprema Corte, a norma del D.P.R. n. 459 del 1996, art. 1, comma 2, lett. b), ha lo scopo di assicurare con la sua utilizzazione una funzione di sicurezza ed è, per definizione, una parte del macchinario il cui guasto o cattivo funzionamento pregiudica la sicurezza o la salute delle persone esposte per cui, in base alle prescrizioni impartite dall’Allegato 1 del D.P.R. n. 459 del 1996, deve essere dotato di un meccanismo atto a consentire al lavoratore di rilevarne l’eventuale guasto. Era stato quindi accertato da Tribunale che, a seguito della modifica del macchinario operata dall’impresa datrice di lavoro, la macchina era stata dotata di un componente di sicurezza inidoneo in quanto privo del dispositivo di segnalazione di eventuali guasti e che pertanto il datore di lavoro aveva, dunque, privato il macchinario della misura di sicurezza fornita dal costruttore costituita dal freno pneumatico sempre inserito.
Il giudice di primo grado, ha proseguito la sez. IV, aveva accertato che il rischio creato dal componente di sicurezza installato dalla società datrice di lavoro poteva essere eliminato, indicando le soluzioni tecniche prospettate dal perito, ritenendo che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare le cautele idonee a consentire al lavoratore di rilevare il guasto onde evitare il riavvio accidentale della macchina. Contrariamente, dunque, a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito avevano messo in correlazione l’evento occorso al lavoratore alla condotta colposa del datore di lavoro sottolineando la violazione delle prescrizioni antinfortunistiche dettate dalla cosiddetta Direttiva macchine, correttamente ritenendo esigibile dal datore di lavoro l’obbligo di controllare la conformità del macchinario, in linea con i chiari obiettivi del sistema prevenzionistico, al fine di azzerare il rischio per il lavoratore. Né era risultata corretta la censura mossa dal ricorrente laddove aveva sostenuto che la Corte d’Appello avrebbe valutato la prevedibilità dell’evento con giudizio ex post, essendo stato chiaramente indicato nella sentenza di primo grado che il sensore introdotto dal datore di lavoro era un componente di sicurezza inidoneo che era stato installato modificando il macchinario fornito dal costruttore.
La Corte suprema ha ritenuto opportuno infine ricordare come, a norma dell’art. 3 comma 1 del D. Lgs. n. 626 del 1994, le misure generali che il datore di lavoro deve adottare per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono, tra le altre, la valutazione dei rischi, l’eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, la riduzione dei rischi alla fonte, la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso, l’uso di segnali di avvertimento o di sicurezza, la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti. Correttamente, dunque i giudici di merito, secondo la suprema Corte, avevano ritenuto di individuare la responsabilità del datore di lavoro non avendo lo stesso proceduto all’eliminazione del rischio, prevedibile ed evitabile in quanto connesso proprio alla modifica da lui eseguita sul macchinario ed ha affermato in conclusione il principio in base al quale “nel momento in cui il datore di lavoro interviene con una condotta positiva a modificare un macchinario, assume di fatto l’obbligo di garanzia posto a carico del produttore dalla cosiddetta Direttiva macchine e risponde, per colposa omissione, dell’inidoneità della trasformazione a garantire l’eliminazione di rischi per il lavoratore in quanto pone in essere un comportamento colposo, concretatosi nella negligente o imperita trasformazione della macchina, che crea i presupposti per il verificarsi dell’evento dannoso che il datore stesso ha, in generale, l’obbligo di impedire”.
Fonti: Puntosicuro