Come bisogna considerare l’errore umano? Un intervento si sofferma sul carico di lavoro mentale, sui problemi correlati al sovraccarico, sul lavoro in multitasking, sul rischio del technostress e sul modello dell’errore organizzativo.

Come sottolineato anche durante l’incontro “ 20 anni di PuntoSicuro” che si è tenuto a Bologna lo scorso 16 ottobre, alcuni collaboratori del nostro giornale hanno contribuito in questi a mantenere alta l’attenzione sui temi correlati ai fattori umani, agli aspetti psicologici, ai problemi correlati al benessere e al malessere nei luoghi di lavoro, ad esempio con riferimento alla fatica, al carico di lavoro mentale e al sovraccarico cognitivo dei lavoratori.

Torniamo a parlarne, con riferimento al problema degli errori umani, proprio attraverso un intervento di un nostro collaboratore, il Dott. Massimo Servadio (Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa), che ha partecipato come relatore al seminario “ Cyber Security e tecnostress: come il cybercrime ha influenza sulla salute nei luoghi di lavoro”. Un evento, organizzato dal nostro giornale in collaborazione con Mega Italia Media, che si è tenuto sempre il 16 ottobre 2019 durante la manifestazione “ Ambiente Lavoro”.

Ci siamo già soffermati, in un precedente articolo, sul suo intervento soffermandoci sulla fatica mentale, sulla saturazione psicologica e sul burn out, e continuiamo questo approfondimento sul tema del malessere e dell’errore umano affrontando i seguenti temi:

L’analisi e la misura del carico mentale

Nell’intervento “Sovraccarico cognitivo ed Errore Umano”, a cura del Dott. Massimo Servadio, riguardo al carico di lavoro mentale si indica che i risultati delle ricerche “dimostrano che è più facile riconoscere la sintomatologia legata all’affaticamento fisico, che non quella legata alla fatica mentale da sovraccarico, considerata come una reazione complessa associata all’incapacità individuale di elaborare le informazioni complesse provenienti dalla situazione di lavoro, oltre che una reazione associata a fattori organizzativi, tecnologici e culturali propri dell’azienda in cui si lavora”.  E si segnala che dal momento che la capacità lavorativa di un individuo è limitata, “se le esigenze di un compito superano questo limite, il compito non può più essere eseguito normalmente e il comportamento operatorio si modifica”.

Sempre riguardo a questo tema si indica inoltre “per studiare il carico di lavoro mentale è stata ideata la tecnica del doppio compito che consiste nel saturare la capacità lavorativa dell’operatore per mezzo di un compito aggiuntivo rispetto a quello principale, valutando poi di quanto peggiora la prestazione che ne risulta. Il compito aggiuntivo serve quindi a misurare la capacità residua quella che cioè non viene utilizzata quando il compito principale è eseguito da solo”.  E si ritiene “che la capacità del soggetto di eseguire il compito secondario costituisca un indice della sua capacità residua e che tale capacità sia complementare al carico imposto dal compito primario”. 

Riguardo poi alla misura, il carico di lavoro mentale “non può essere misurato direttamente, ma deve essere stimato indirettamente attraverso la misura di altre variabili che si ritengono correlate ad esso”. Si possono avere:

  • Misurazioni comportamentali: “in questo caso la stima è fornita da indici di performance (numero di errori, tempi di reazione) al compito, o ad un compito aggiuntivo (paradigma del dual task)
  • Misurazioni soggettive: somministrazione di questionari standardizzati, che richiedono, dopo l’esecuzione di un compito, di rispondere ad una o più domande che rilevano la percezione di difficoltà nell’esecuzione del compito svolto”. 

I rischi del sovraccarico e il technostress

Veniamo dunque ai rischi del sovraccarico

Massimo Servadio ricorda che al giorno d’oggi, la cosiddetta capacità simultanea o multitasking “è un’esigenza essenziale in una moltitudine di professioni”, infatti “è sempre più frequente trovarsi in condizioni di multitasking, anche perché la tecnologia a nostra disposizione ci invita ad eseguire più compiti contemporaneamente”. 

In questo senso se da un lato “le finestre multiple, la messaggistica istantanea, l’e-mail ed i programmi di notifica favoriscono lo svolgimento di più compiti contemporaneamente ed alimentano l’illusione di una maggiore efficienza, dall’altro possono avere effetti molto negativi”. E i rischi sono traducibili in termini di:

  1. Tempo
  2. Efficacia
  3. Salute
  4. Relazioni 

Inoltre la condizione di lavoro in multitasking “è solo illusoria infatti il nostro cervello è in grado di passare velocemente da un compito all’altro, lavora sempre in serie a meno che uno dei due compiti assegnati non sia sufficientemente semplice o ripetitivo da non richiedere un’elaborazione attentiva (conscia) e venga così automatizzato”. Tuttavia la possibilità di “gestire contemporaneamente più informazioni presuppone che almeno la maggior parte di esse non contenga elementi di incertezza o necessità di scelta, fattori questi che rallentano automaticamente e significativamente i tempi operativi”. 

In particolare la situazione più critica si verifica “quando due compiti contemporanei contengono fattori di incertezza tali da impedire all’operatore la previsione e quindi la pianificazione della risposta che non può, in tale caso, diventare automatica o semiautomatica”. E in questo caso ci possiamo trovare di fronte ai rischi del technostress.

Cosa succede quando ci sovraccarichiamo? 

Se “vivere in una costante condizione di multitasking comporta un grande dispendio di energie e di risorse cognitive”, cosa succede quando ci sovraccarichiamo? 

A questo proposito – continua l’intervento – Miller osservò che “l’operatore, per proteggersi da un sovraccarico dell’input di informazione in un compito senso motorio attiva delle strategie quali:

  1. Omissione: la persona non elabora l’informazione quando vi è un sovraccarico estremo
  2. Errore: la persona elabora l’input in modo inesatto e non compie i necessari aggiustamenti dell’output
  3. Quequeing (mettersi in coda): la persona ritarda le risposte durante i periodi di sovraccarico massimo, per poi riprenderle durante i periodi di calma
  4. Filtraggio: la persona omette sistematicamente certi tipi di informazione, secondo una specie di schema di precedenza
  5. Approssimazione: la persona utilizza un meccanismo di output in cui viene data una risposta meno precisa o esatta perché non c’è tempo per l’esattezza
  6. Fuga: la persona abbandona completamente una situazione o prende qualsiasi altra misura che riduca sensibilmente l’afflusso di informazioni.

In ogni caso, qualunque sia la modalità di risposta al sovraccarico, “il rischio maggiore è sempre lo stesso: commettere un errore”.

L’errore umano e il modello dell’errore organizzativo

L’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente, riporta alcune indicazioni sul concetto di errore umano e si sofferma sul modello dell’errore organizzativo partendo dalla categorizzazione del comportamento dell’uomo in 3 diverse tipologie (Rasmussen, 1987):

  • Skill-based behaviour: “sono comportamenti automatici ad una data situazione;
  • Ruled- based behaviour: si mettono in atto dei comportamenti, prescritti da regole, che sono state definite in quanto ritenute più idonee da applicare in una particolare circostanza;
  • Knowledge- based behaviour: si tratta di comportamenti messi in atto quando ci si trova davanti ad una situazione sconosciuta e si deve attuare un piano per superarla”.

L’intervento si sofferma sui vari livelli:

  • “a livello Skill avviene quella situazione per la quale agiamo in modo automatico in base a quanto appreso da esperienze passate. Il comportamento inoltre, deve essere stato automatizzato grazie all’addestramento o all’esperienza ripetuta. Proprio grazie agli automatismi, l’impegno cognitivo richiesto a questo livello è molto basso e le risorse attentive possono essere dedicate ad altro. È il caso di chi guida in autostrada e dopo un lungo tratto non si ricorda del tragitto effettuato, soprattutto se non c’era traffico e la strada era nota (situazione stabile e nota). Gli errori a questo livello sono dovuti ad azioni eseguite in automatico ma inopportune e non volute rispetto alla situazione (slips) oppure a involontarie dimenticanze (lapses); in altri casi possono essere causati da stanchezza, affaticamento, preoccupazione e stress”;
  • “a livello Rule lo sforzo cognitivo richiesto è superiore rispetto al livello Skill e quindi, quando possibile, il cervello torna a livello Skill oppure trasforma le attività svolte a livello Rule in attività di livello Skill tramite l’esperienza. Errori a questo livello sono relativi alla procedura che si sceglie di eseguire: non sono procedure sbagliate in assoluto, ma grossolane (come spegnere il televisore staccando la spina), parzialmente corrette, oppure teoricamente corrette ma inadeguate rispetto alla situazione (Rule based mistakes). Per cui, la persona è ben consapevole di ciò che sta facendo”; 
  • “a livello Knowledge si agisce quando la situazione è inattesa e bisogna fare affidamento alle proprie conoscenze, competenze ed esperienze passate per dare luogo ad una soluzione creativa. È il caso di un’emergenza inattesa, quando la situazione si complica e non si sa come interpretarla. Il livello di impegno cognitivo richiesto è molto alto, ma fortunatamente queste situazioni non sono così frequenti. Gli errori a questo livello (Knowledge based mistakes) vengono effettuati a livello intenzionale come nel livello Rule, ma si tratta di strategie del tutto sbagliate e non di procedure inadeguate, che nascono dall’incapacità di capire la situazione e di avere la giusta flessibilità per intervenire. 

In definitiva è fondamentale considerare l’errore “non come problema dell’individuo, ma come una caduta delle difese del sistema: spostare l’attenzione dalla ricerca dell’errore attivo a quella dell’errore latente” (James Reason):

  • errore attivo: “errore o violazione commessa da coloro che sono nel processo”;
  • errore latente: “errore nella progettazione, nell’organizzazione, nella formazione o nel mantenimento che porta agli errori degli operatori in prima linea e i cui effetti rimangono silenti nel sistema per lunghi periodi; si tratta di errori che ‘aspettano’ di accadere”. 

Conclude Massimo Servadio citando ancora James Reason: ‘gli errori attivi sono come le zanzare: possono essere eliminate ad una ad una, ma continuano a ritornare. Il miglior metodo per difendersi è quello di creare delle misure efficaci ripulendo gli acquitrini dove si moltiplicano. Le paludi, in questo caso, costituiscono le condizioni sempre latenti’.

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

 Sovraccarico cognitivo ed Errore Umano”, a cura del Dott. Massimo Servadio (Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa , Prof. a.c. Facoltà Medicina e Chirurgia-Università di Genova), intervento al seminario “Cyber Security e tecnostress: come il cybercrime ha influenza sulla salute nei luoghi di lavoro”

Fonti: Puntosicuro.it