Un documento si sofferma sulla tutela dei lavoratori dall’esposizione a fumo passivo nei luoghi di lavoro. La normativa, le indicazioni della Corte Costituzionale e della Cassazione, il D.Lgs. 81/2008 e le responsabilità del datore di lavoro.
Con l’introduzione della legge n. 3 del 16 gennaio 2003 recante “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione” (l’art. 51 definisce le misure che servono ad eliminare l’esposizione al fumo passivo nei luoghi di lavoro e locali pubblici chiusi) si è sicuramente ridotto il numero di persone soggette al fumo passivo. Tuttavia tale esposizione “non è ancora stata del tutto azzerata nei luoghi di lavoro, nei quali una moltitudine di soggetti quotidianamente si vede costretta ad inalare il fumo dei propri colleghi di lavoro e, talvolta, del proprio datore di lavoro”.
A questo proposito si sottolinea che la tutela della salute dei cittadini e, in questo caso, dei lavoratori “è costituzionalmente garantita all’art. 32 della Costituzione: il diritto alla salute è ascrivibile alla specie dei diritti inviolabili della persona”. E dunque “in qualsiasi luogo, compreso il luogo di lavoro, dev’essere preservata la salute del soggetto lavoratore, in quanto il diritto alla salute è un diritto assoluto e perfetto, giacché finalizzato a preservare l’integrità fisica e psichica dell’individuo”.
A ricordare con queste parole il diritto alla salute e ad affrontare il delicato tema della tutela dal fumo passivo è un contributo pubblicato sul numero 2/2020 del “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista dell’Osservatorio Olympus e pubblicazione semestrale dell’ Università degli Studi di Urbino.
Il contributo/saggio – dal titolo “La tutela dei lavoratori dall’esposizione a fumo passivo nei luoghi di lavoro” e a cura di Valentino Gardi (Specialista in Professioni Legali, indirizzo giudiziario forense – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna) – analizza il fenomeno dell’esposizione a fumo passivo fornendo informazioni sulla normativa italiana, sul ruolo del datore di lavoro e sull’evoluzione giurisprudenziale in tema di danno giuridico da fumo passivo negli ambienti di lavoro.
Questi gli argomenti su cui si sofferma l’articolo di presentazione del contributo:
- La normativa e la pronuncia della Corte Costituzionale
- Fumo passivo: il testo unico su salute e sicurezza e il datore di lavoro
- L’esigenza di innalzare il grado di tutela della salute dei lavoratori
La normativa e la pronuncia della Corte Costituzionale
Il contributo fa chiaramente una disamina della normativa e ricorda che oltre che con la legge del 2003, “i primi divieti di fumo in determinati luoghi, tra cui quelli lavorativi, sono stati introdotti molti anni prima”. Ad esempio la legge n. 584 dell’11 novembre 1975 “sanciva il “Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico”; in seguito vi furono la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995 e la circolare ministeriale della Sanità n. 4 del 28 marzo 2001”.
Al di là delle norme si indica che appare poi “particolarmente rilevante la pronuncia della Corte Costituzionale n. 399 del 1996, secondo cui: ‘pur non essendo ravvisabile nel diritto positivo un divieto assoluto e generalizzato di fumare in ogni luogo di lavoro chiuso, è anche vero che nell’ordinamento già esistono disposizioni intese a proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che è atto a danneggiarla, ivi compreso il fumo passivo’.
E si ribadisce che il diritto ex art. 32, in quanto costituzionalmente protetto, “deve sempre prevalere sulla c.d. libertà di fumare, rientrante secondo la Consulta nella sfera dei ‘liberi comportamenti che non hanno una diretta copertura costituzionale’”.
Si indica poi che a seguito delle indicazioni contenute nella predetta sentenza della Corte costituzionale, “la legge n. 3 del 16 gennaio 2003 ha esteso il divieto di fumo in molti luoghi di lavoro; tale divieto si applica anche agli studi professionali (avvocato, medico…) per un duplice ordine di ragioni: da un lato, perché il divieto de quo trova applicazione in tutti i locali chiusi dei luoghi di lavoro pubblici e privati e, dall’altro, perché negli studi professionali vi possono essere molti soggetti, tra cui clienti, tirocinanti, segretarie e via dicendo, non fumatori, la cui salute è tutelata alla stregua delle stesse norme contro il fumo passivo”. Si segnala poi che la legge del 2003 ha previsto anche la “possibilità di allestire dei locali riservati ai soggetti non fumatori”.
Fumo passivo: il testo unico su salute e sicurezza e il datore di lavoro
Non si può poi non fare riferimento alla normativa in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro (D.Lgs. n. 81/2008 o testo unico sulla sicurezza).
Riguardo al divieto di fumo, il TU sicurezza “fa riferimento a tale divieto negli ambienti di lavoro, quando disciplina all’art. 63 i requisiti di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, nonché facendo riferimento alla ‘valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza’ di cui all’art. 28; aspetto, questo, che riguarda prettamente il dovere del datore di lavoro di tutelare i propri lavoratori dall’esposizione al fumo passivo, senza escluderlo dagli obblighi dettati dall’art. 64”. Per quanto riguarda poi i luoghi specifici dove è proibito fumare, “il legislatore del Testo Unico ha indicato, tra i tanti: tutti i luoghi dove si utilizzano dei prodotti infiammabili incendiabili o esplodenti (inclusi biblioteche, archivi cartacei…); i laboratori chimici; tutte le attività dove si utilizzano sostanze cancerogene; le attività in cui si impiegano sostanze radioattive; i laboratori biologici; in tutte le attività, infine, dove ci sia un’esposizione da parte dei lavoratori a fibre di asbesto (amianto)”.
Con la già citata pronuncia n. 399 del 1996 la Corte costituzionale “ha affermato che tra gli obblighi in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, grava sul datore anche quello di tutelare i dipendenti dai rischi derivanti dall’esposizione a fumo passivo”.
Se la tutela del soggetto non fumatore lavoratore, “inizialmente fu garantita solo in applicazione dell’art. 2043 c.c., in quanto tale articolo – interpretato in combinato disposto con l’art. 32 della Costituzione – permetteva al soggetto danneggiato (non fumatore) di agire nei confronti del soggetto fumatore a titolo di risarcimento dei danni causati alla propria persona dall’esposizione al fumo passivo”, il successivo orientamento dottrinale e giurisprudenziale “ricondusse la tutela dei lavoratori e, in particolare, dei soggetti non fumatori nell’ambito dell’art. 2087 c.c., interpretato in combinato disposto con lo stesso art. 32 Cost”.
Dunque laddove un lavoratore sia esposto al fumo passivo nell’ambiente di lavoro per colpa del datore di lavoro, “quest’ultimo sarà responsabile. Vi sono però ipotesi in cui la responsabilità civile del datore di lavoro è esclusa: in caso di condotta abnorme del lavoratore e nei casi di rischio elettivo, che si sia generato da un’attività non avente un rapporto causale con lo svolgimento del lavoro o che esorbiti i limiti dello stesso”.
E gli obblighi di prevenzione del datore di lavoro “non cessano con la semplice predisposizione delle misure di sicurezza, ma si concretizzano altresì anche con l’attività di vigilanza sul rispetto delle misure di prevenzione, da parte dei prestatori di lavoro. È lecito pertanto sostenere che l’ art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure idonee a preservare l’integrità psico-fisica dei lavoratori che siano alle sue dipendenze e ha l’effetto di espandere la sfera di tutela possibile, in quanto prescinde dalla considerazione e dalla prova di un danno effettivamente subito”.
Riguardo al danno da fumo passivo si ricordano alcune indicazioni giurisprudenziali, ad esempio con riferimento al Tribunale di Milano che con sentenza del 1° marzo 2002, “riconobbe il riscontro della relazione eziologica, per il diritto penale, tra l’esposizione al fumo passivo di sigaretta e la morte del soggetto lavoratore”.
Più recentemente, nel 2016, anche la Corte di Cassazione “ha mostrato ‘tolleranza zero’ verso il danno da fumo passivo nell’ambiente di lavoro, considerando il datore di lavoro responsabile e, nel caso concreto, condannando la Rai a risarcire, con circa 32.000,00 euro, un’ex dipendente in pensione per danni biologici e morali provocati dall’esposizione al fumo passivo”.
L’esigenza di innalzare il grado di tutela della salute dei lavoratori
L’autore indica che “nonostante il fumo passivo sia una tematica, oramai, affrontata e dibattuta a livello giurisprudenziale, l’applicazione dell’insieme di leggi e decreti contro questo fattore dannoso risulta ancora complessa e di non facile risoluzione e interpretazione in sede giurisprudenziale. Ciò è dovuto in particolar modo alle difficoltà della dimostrazione della relazione causale tra l’evento-fumo passivo e il danno subito dal lavoratore, non essendo facile dimostrare se un lavoratore si sia ammalato sul posto di lavoro a causa del fumo passivo al quale è stato esposto, oppure se abbia contratto la patologia per altre ragioni”.
E conclude che “l’esigenza di innalzare il grado di tutela della salute dei lavoratori, in riferimento all’esposizione a fumo passivo nei luoghi di lavoro deve assumere una priorità assoluta”. E le norme e le varie disposizioni di legge “devono essere applicate con metodo, al fine di isolare tutte quelle situazioni in cui un soggetto subisce il fumo”.
Infine il contributo si sofferma anche sul fumo passivo esalato dalle c.d. sigarette elettroniche o simili per il quale “non vi è ancora nessuna norma chiarificatrice”. E il datore di lavoro ha “la facoltà di ammettere o meno l’utilizzo di vaporizzatori e simili, in ragione del proprio dovere di tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori; qualora ne vietasse l’uso dovrebbe adottare un esplicito e formale provvedimento; se invece lo consentisse dovrebbe assumersi l’onere e la responsabilità di una documentata valutazione dei rischi in base ai parametri dello stesso d.lgs. n. 81 del 2008”.
Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:
Scarica la normativa di riferimento:
Legge 16 gennaio 2003, n.3 Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
Fonti: Camera.it, Uniurb.it, Puntosicuro.it