La redazione e gestione del documento di valutazione del rischio: il concetto di valutazione, i possibili danni degli agenti chimici, i valori limite e il concetto di esposizione.
Pubblichiamo la prima parte dello studio condotto da Carlo Zamponi, finalizzato alla redazione e gestione del Documento di valutazione del rischio chimico, che vuole essere una sorta di linea guida per l’imprenditore che vuole condurre la propria azienda verso una gestione sistemica del Documento di Valutazione del Rischio Chimico.
La 2^ e 3^ parte dello studio saranno pubblicate sui prossimi numeri di Punto Sicuro.
Il Testo dello studio
Non vi è dubbio che uno dei pericoli presenti nei luoghi di lavoro di difficile gestione è rappresentato dalla presenza di sostanze chimiche. Un pericolo che non solo è spesso sottovalutato in molti settori, ma è soggetto a continue evoluzioni in rapporto alla nascita di nuovi prodotti e materiali come ad esempio le nanoparticelle o alle nuove scoperte sui danni che le sostanze possono provocare sulla salute e sull’ambiente.
Quindi, nulla di più sbagliato associare al rischio chimico unicamente la grande impresa che produce o manipola enormi quantità di sostanze chimiche in quanto, sono diverse le attività lavorative che espongono in modo diretto e/o indiretto i lavoratori alle stesse. L’EU – OSHA ha intitolato la campagna Europea 2018 – 2019 proprio al tema della “Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro in presenza di sostanze pericolose“; una ragione ci doveva pur essere.
Proprio partendo da queste piccole considerazioni cerchiamo di analizzare il problema.
1.Dati statistici
Da un’indagine europea condotta qualche anno fa, si rileva che le sostanze pericolose sono presenti quasi nel 40% degli ambienti lavorativi determinando in tal modo un rischio per l’ambiente, per la salute e per la sicurezza dei lavoratori. Inoltre, un’indagine statistica [1] svolta nella banca dati INAIL, per il periodo 2005 – 2009 ha evidenziato che le denunce di malattie professionali da agenti chimici sono circa il 10% delle denunce totali pervenute all’INAIL e la maggior parte di tali denunce afferisce al settore industria e servizi. Analizzando le tipologie di malattie denunciate si scopre che:
il 40% consiste in tumori;
il 32% in malattie respiratorie;
il 24% in dermatiti.
Fig. 1: Denunce malattie professionali periodo 2005 – 2009: tipologie malattie professionali (Fonte INAIL)
Ricorrendo all’indagine statistica effettuata dagli stessi autori, ma questa volta su dati INAIL (periodo 2004 – 2010) per quanto riguarda gli infortuni derivanti dal contatto con sostanze chimiche, si evidenzia che le incidenze infortunistiche degli stessi sono date attraverso:
l’88% per via nasale, orale, per inalazione;
l’11% pelle o occhi;
l’1% sistema digerente, inghiottendo o mangiando.
Fig. 2: Infortuni: modalità di contatto – modalità della lesione periodo 2004 – 2010 (Fonte INAIL)
Seppur i dati analizzati sopra indicati risalgono a qualche anno fa, il problema esiste ancora nonostante si susseguono le normative in materia di tutela dell’ambiente, della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, cresce la cultura preventiva, si progettano e si organizzano sistemi di lavorazione sempre più sicuri per l’uomo e per l’ambiente.
Per cercare di dare risposte concrete al problema, proviamo a tracciare un percorso metodologico che porti l’Azienda non solo a valutare il rischio ma soprattutto a tenerlo debitamente sotto controllo e quindi, a gestirlo.
IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI: IL CONCETTO DI VALUTAZIONE
Con l’espressione “valutazione del rischio” si intende l’identificazione del pericolo ottenuto dal complesso delle informazioni disponibili in Azienda mentre possiamo definire “rischio chimico”, l’insieme dei rischi connessi all’attività lavorativa svolta in ambienti in cui sono presenti o utilizzati, in modo diretto o indiretto, sostanze / miscele che per le loro proprietà e/o per le condizioni di impiego vengono classificate pericolose.
Se l’attività lavorativa non comporta l’utilizzo e all’interno dei locali aziendali non sono presenti sostanze / miscele il rischio è considerato nullo
Fig. 3: Pericolo non presente
Se diversamente, sul posto di lavoro sono contemporaneamente presenti due fattori:
l’agente chimico (legato al processo);
le condizioni che possono portare il lavoratore nella sfera di azione dell’agente, legate alle modalità operative in condizioni normali e/o in emergenza
diventa necessario procedere alla qualificazione ed alla quantizzazione del rischio attraverso le fasi sotto indicate le quali comprendono:
l’identificazione del pericolo;
la valutazione dei rischi;
la definizione dell’esposizione;
la stima dei danni che ne derivano.
Fig. 4: Pericolo presente
Di seguito la schematizzazione del percorso valutativo
Fig. 5: Il percorso valutativo (rif. Decreto Leg.vo 81/2008)
La normativa Europea sulle sostanze chimiche sia quella relativa alla tutela dei lavoratori che quella per la tutela dell’ambiente, stabilisce una gerarchia di misure che i Datori di Lavoro devono intraprendere al fine di controllare il rischio rappresentato dalle sostanze.
Tale gerarchia può essere riassunta nel modo seguente:
L’eliminazione e la sostituzione sono le misure di controllo prioritarie. Laddove possibile, eliminare l’uso delle sostanze pericolose modificando il processo o il prodotto in cui la sostanza viene utilizzata.
se l’eliminazione della sostanza non è possibile, sostituirla con una non pericolosa o meno pericolosa.
nei casi in cui non è possibile eliminare o sostituire una sostanza o un processo, l’esposizione può essere prevenuta o ridotta tramite l’adozione di soluzioni tecniche e organizzative, per esempio: controllo delle emissioni alla fonte (sistema chiuso o impianti di ventilazione locale) o riduzione del numero di lavoratori esposti alla sostanza pericolosa, nonché durata e intensità dell’esposizione.
l’utilizzo di DPI costituisce l’ultima misura nel caso in cui l’esposizione non possa essere adeguatamente controllata con altri mezzi (gestione del rischio residuo).
2.1 Agenti chimici: possibili danni
Una sostanza / miscela può produrre su organismi viventi un effetto indesiderato (infortunio) o alterare (malattia prof.le) in modo significativo la funzione di organi ed apparati o di comprometterne la sopravvivenza.
Fig. 6: Possibili danni provocati da agenti chimici
Una sostanza / miscela può entrare nell’organismo umano attraverso:
la respirazione;
il contatto con la pelle;
perché ingerito.
Gli organi del sistema respiratorio (naso, gola, trachea, bronchi, polmoni) hanno una loro capacità di difesa nei confronti dell’introduzione degli agenti chimici, il cui assorbimento varia anche in relazione allo stato fisico in cui si trova la sostanza.
Fig. 7: Modalità di penetrazione nell’organismo da parte degli agenti chimici
Affinché un agente possa costituire un rischio per la salute o per la sicurezza è necessario che esso venga in contatto o comunque, interagisca con l’organismo quindi vi sia “esposizione”. Nel caso di agenti chimici, così come per gli agenti fisici e biologici, l’esposizione è definita come la “concentrazione dell’agente nello spazio all’interfaccia con le possibili vie di introduzione, riferita ad un periodo di 8 ore”.
2.2 Il concetto di esposizione
Al fine di qualificare e quantizzare l’esposizione del lavoratore diventa necessario stabilire:
Quale sostanza / miscela;
in che quantità, concentrazione;
per quanto tempo;
qual è la sua concentrazione ambientale;
quale via di penetrazione.
Definito quanto sopra indicato, al fine di limitare per quanto più possibile i danni a carico del lavoratore e quindi rendere accettabile il rischio lavorativo, dovranno essere individuate le attività preventive e protettive da porre in essere durante lo svolgimento delle mansioni lavorative con esposizione diretta e/o indiretta a sostanze chimiche considerando che le caratteristiche dei rischi dipenderanno anche:
dal tipo e dalle condizioni dei processi produttivi;
dalle caratteristiche strutturali e microclimatiche dell’ambiente lavorativo;
dalla sensibilità dell’ospite.
Fig. 8: Le procedure preventive e protettive
Le procedure sia esse preventive che protettive potranno essere redatte solo se si conosce, per ogni sostanza / miscela in uso:
Pericolosità intrinseca (dati che identificano la capacità di indurre effetti nocivi) ovvero:
le proprietà tossicologiche
tossicità acuta, subcronica e cronica;
mutagenicità;
cancerogenicità;
relazioni dose – risposta;
dati epidemiologici.
le proprietà di reattività
esplosività;
infiammabilità;
radioattività;
corrosività, etc. .
Comportamento nell’ambiente (dati che permettono di prevederne i possibili scenari di esposizione) ovvero:
le proprietà di base della sostanza che caratterizzano la forma in cui essa è presente nell’ambiente (peso molecolare, punto di ebollizione, densità, etc.);
le proprietà che ne determinano il destino ambientale (solubilità, tensione di vapore, coefficienti di ripartizione tra i vari comparti ambientali);
incompatibilità ovvero la possibilità che si verifichino reazioni esplosive, esotermiche o si formino sostanze pericolose in presenza di specifiche classi di composti;
proprietà intrinseche di reattività (autoinfiammabilità, ecc. )
Limiti di accettabilità (l’insieme di valutazioni che costituiscono una base ed un utile riferimento per i processi decisionali) ovvero:
standard e parametri di riferimento di accettabilità o tollerabilità per la popolazione generale;
standard e parametri di riferimento di accettabilità o tollerabilità per l’ambiente di lavoro (TLV, TWA, TLV-CEILING);
valutazioni di cancerogenicità operate da Enti riconosciuti in campo internazionale secondo criteri stabiliti (CEE, IARC, EPA, ACGIH);
standard e parametri di rischio per condizioni accidentali e di emergenza;
limiti di accettabilità aziendali (concetto del significativo).
La tossicocinetica
Le sostanze chimiche possono produrre danni a carico degli organismi viventi.
Tolti i casi di ipersuscettibilità individuale, se l’esposizione a sostanze chimiche è occasionale e la concentrazione delle stesse non supera determinati limiti definiti per ogni sostanza, l’organismo reagisce a questa sorta di intossicazione dapprima attraverso fenomeni di autoregolazione / compensazione. Esaurita questa fase, se le esposizioni si susseguono (cronica) o la concentrazione supera le soglie (acuta), l’organismo va incontro a intossicazione.
Riassumendo, quindi l’intossicazione si manifesta se:
la quantità tossica eliminata è minore della quantità assorbita;
la quantità tossica assorbita si accumula e viene rilasciata solo successivamente.
La risposta dell’organismo (effetto tossico), dipende dal numero di molecole biologicamente attive che raggiungono gli organi critici.
Molteplici sono i fattori che influenzano la tossicità delle sostanze chimiche.
Vediamo quelli più importanti:
Fattori ambientali, ovvero Temperatura, Pressione, Umidità, presenza di sostanze con attività sinergica o antagonista;
Proprietà chimico – fisiche del tossico (proprietà intrinseca) ovvero Peso Molecolare, Pressione di Vapore e Punto di Ebollizione, Solubilità, Stato Fisico;
Modalità di interazione, ovvero Concentrazione ambientale della sostanza, Durata dell’esposizione (unica o ripetuta), Vie di Penetrazione, Velocità di Penetrazione;
Fattori biologici ovvero Assorbimento, Distribuzione, Biotrasformazione, Escrezione, Età, Sesso, Differenze Genetiche, Malattie, Condizioni metaboliche (gravidanza, lavoro muscolare), Nutrizione e grado di Idratazione.
I sopra citati fenomeni di autoregolazione / compensazione attivati in prima battuta dall’organismo servono per allontanare le sostanze introdotte attraverso le principali vie di escrezione che risultano essere:
L’Aria espirata – Composti volatili a basso coefficiente di ripartizione aria – sangue (anestetici, alcuni solventi, ecc)
La Saliva – Sostanze a basso peso molecolare, possibile riassorbimento intestinale
Le Feci – Via di escrezione delle sostanze eliminate con la bile e non riassorbite dall’intestino, oppure di sostanze direttamente diffuse o trasportate attivamente dal circolo ematico
Le Urine – Principale via di eliminazione dei composti polari a basso peso molecolare
I Capelli – Poco rilevante quantitativamente.
La relazione dose – risposta da parte dell’organismo ad un inquinante, come detto, dipende non soltanto dalla via di esposizione ma dalla quantità dell’inquinante alla quale l’organismo è sottoposto considerando che comunque cambiando il livello di esposizione ad una possibile causa si verifica un cambiamento nella frequenza dell’effetto (es: numero di sigarette fumate e rischio di cancro polmonare).
Quindi, al fine di mantenere inalterate le funzioni organiche, l’organismo umano risponde agli stimoli dapprima con sistemi di adattamento e poi con processi di compensazione. Esaurita la capacità di compenso, si va rapidamente incontro all’insufficienza funzionale.
2.3 I valori limite
Meglio adesso si comprendono i Valori Limite di Soglia (Threshold Limit Value – TLV) i quali sono definiti come il valore della concentrazione aerea dell’agente a cui corrisponde una introduzione tale da mantenere l’organismo nelle condizioni di adattamento o di compenso anche in caso di esposizioni ripetute per lungo tempo.
L’elenco dei valori limite di esposizione professionale ovvero le concentrazioni di inquinanti ammissibili nell’aria degli ambienti di lavoro e dei valori limite biologici presenti nei liquidi biologici dell’organismo relativi agli agenti chimici sono indicati, nel Decreto Leg.vo 81/2008 (art. 232) rispettivamente, negli allegati XXXVIII e XXXIX. Gli stessi vengono aggiornati in funzione del progresso tecnico, dell’evoluzione di normative specifiche comunitarie o internazionali e delle conoscenze nel settore degli agenti chimici e contribuiscono a mantenere sotto controllo l’esposizione a sostanze pericolose sui luoghi di lavoro perché definiscono, allo stato attuale delle conoscenze, il valore massimo di concentrazione in aria di una sostanza affinché non vi sia un danno per la salute.
Mantenere la concentrazione degli inquinanti al di sotto dei valori limite di esposizione professionale tutela la salute della maggioranza dei lavoratori. Vi è da precisare che i limiti obbligatori per legge si basano sull’esposizione di soggetti adulti in buona salute e, di conseguenza, non sono applicabili ai casi che richiedono interventi specifici, come le donne in stato di gravidanza e i lavoratori ipersuscettibili.
Di seguito la definizione dei valori limite di esposizione:
TLV-TWA (Threshold Limit Value – Time Weighted Average): valore limite ponderato – rappresenta la concentrazione media, ponderata nel tempo, degli inquinanti presenti nell’aria degli ambienti di lavoro nell’arco dell’intero turno lavorativo. Indica il livello di esposizione al quale si presume che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, il lavoratore possa essere esposto 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana, per tutta la durata della vita lavorativa, senza risentire di effetti dannosi per la salute.
TLV-STEL (Threshold Limit Value – Short Term Exposure Limit): valore limite per brevi esposizioni – rappresenta le concentrazioni medie che possono essere raggiunte dai vari inquinanti per un periodo massimo di 15 minuti, e comunque per non più di 4 volte al giorno con intervalli di almeno 1 ora tra i periodi di punta.
TLV-C (Threshold Limit Value – Ceiling) – valore limite di soglia – rappresenta la concentrazione che non può essere mai superata durante tutto il turno lavorativo.
Fig. 8: I valori limite di esposizione
La valutazione dell’esposizione: la misurazione
Nei casi in cui non sia possibile pervenire alla “giustificazione” del rischio è opportuno provvedere alla misurazione dell’agente chimico.
La misurazione si rende “necessaria” anche quando vengono modificate le condizioni produttive e deve essere ripetuta periodicamente per controllare i livelli di esposizione dei lavoratori (verifica efficacia interventi preventivi e protettivi). Essa deve avvenire con metodiche standardizzate che devono essere espressamente indicate nel D.V.R..
La norma di carattere generale di riferimento per la misurazione degli inquinanti chimici nei luoghi di lavoro è la norma UNI – EN 689:2018 recepita in Italia lo scorso 12 luglio che ha come titolo “atmosfera nell’ambiente di lavoro – misura dell’esposizione per inalazione agli agenti chimici – strategia per la verifica della conformità con i valori limite di esposizione occupazionale”. L’aggiornamento arriva oltre 20 anni dopo la prima edizione e ne modifica i contenuti, definendo una nuova strategia per effettuare misure rappresentative dell’esposizione dei lavoratori agli agenti chimici per inalazione. Il nuovo approccio mira ad elevare il livello di affidabilità e di veridicità dei dati sperimentali. Tale norma prevede che si segua una precisa strategia di misurazione nella quale si identificano preventivamente:
le sostanze;
le aree;
gli addetti.
e si stabiliscono quindi le misurazioni da effettuarsi in condizioni rappresentative e quelle da effettuarsi nelle condizioni limite o peggiori.
La procedura di misurazione deve fornire una rappresentazione fedele dell’esposizione con il minor numero di campionamenti possibile. Inoltre, in relazione alle modalità con cui avviene l’esposizione, la valutazione della stessa può essere determinata facendo ricorso a:
monitoraggio ambientale;
monitoraggio personale;
monitoraggio cutaneo;
dosimetria biologica.
Il monitoraggio ambientale permette di verificare le condizioni nelle quali si trova il lavoratore mentre svolge la sua mansione e quindi di accertare i livelli di esposizione. Viene svolto in campagne di rilevazione sulla base delle mappe di rischio, ove sono stati individuati i punti ed i momenti nei quali fare il campionamento e le sostanze da andare a ricercare. La correttezza e accuratezza delle metodiche di campionamento è fondamentale per avere dei risultati significativi e credibili e sono il presupposto per le successive analisi chimiche dei campioni prelevati.
Accanto al monitoraggio ambientale, assume grande significato, dove possibile, il monitoraggio biologico, in quanto misura l’esposizione del singolo lavoratore. Lo stesso consiste nella misurazione di specifici indicatori biologici (in genere i metaboliti delle sostanze in uso) in campioni organici (sangue e urine in genere) prelevati nei momenti opportuni sul lavoratore (per esempio a fine turno lavorativo).
Il monitoraggio biologico costituisce uno strumento indiretto per conoscere l’entità dell’esposizione dei lavoratori alla specifica sostanza e deve essere considerato complementare a quello ambientale.
2.4 Il monitoraggio: applicabilità e limiti
Il monitoraggio ambientale. Applicabilità generale e facilità di attuazione
Applicabile a tutti gli agenti;
limiti di rilevabilità bassi;
non è invasivo;
richiede la conoscenza dei tempi di esposizione;
richiede un elevato numero di misure.
Il monitoraggio personale. Misura diretta, massimo coinvolgimento del lavoratore
Non è applicabile a tutti gli agenti;
limiti di rilevabilità generalmente più elevati;
richiede il coinvolgimento del personale;
da direttamente il valore dell’esposizione;
i risultati non sono trasferibili.
Il monitoraggio cutaneo
Non è applicabile a tutti gli agenti;
è molto invasivo;
richiede un elevato numero di misure.
La dosimetria biologica misura della dose effettivamente assorbita, influenzata dalle abitudini di vita
Misura indiretta dell’esposizione;
fornisce il valore della dose assorbita;
tiene conto di tutte le possibili vie di introduzione;
non sempre esistono indicatori di esposizione specifici (IBE);
richiede un forte coinvolgimento dei lavoratori.
Fonti: Puntosicuro.it
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[1] Fizzano, Barbassa: Regolamento REACH, CLP e SDS: L’attività dell’INAIL in tema di informazione e formazione. Atti convegno RISCH, Modena 22 settembre 2011