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Un documento riporta informazioni e indicazioni sul rischio chimico nell’industria metalmeccanica. Focus su polveri generiche e polveri di metalli, sulle nebbie di oli minerali e sui fumi di saldatura.

Nel mondo del lavoro spesso l’uso di agenti chimici – intesi come sostanze o miscele, naturali o di sintesi, in forma solida, liquida o gassosa – espone i vari lavoratori a rischi elevati sia di infortuni che di malattie professionali. E questi rischi cono presenti anche in comparti, come quello metalmeccanico, dove generalmente i cicli produttivi sono semplici
e si parte spesso da materie prime che possono essere metalli in vari formati, con lavorazioni che comportano, ad esempio, taglio, piegatura, foratura, pressatura, levigatura, operazioni di
torneria, …

Per parlare del rischio chimico in questo settore possiamo fare riferimento ad un intervento pubblicato sul sito dell’ Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia autonoma di Bolzano e a cura del Dott. Giampaolo Gori del Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica dell’ Università di Padova.
L’intervento, dal titolo “Il rischio chimico nell’industria metalmeccanica”, fa riferimento in particolare al comparto produttivo presente nel Triveneto prendendo in considerazione i rischi presenti nelle aziende meccaniche tradizionali (con esclusione di fonderie, acciaierie e galvaniche).

Questo è un breve quadro riassuntivo dei rischi:
– “polveri generiche da molatura e/o levigatura, pulitura, satinatura;
– polveri irritanti nel caso di verniciature epossidiche (a polveri);
– polveri respirabili, silice libera cristallina;
– nebbie di oli minerali (emulsionati e non);
– fumi di saldatura (vari componenti);
– vapori di solventi (da verniciatura, lavaggi al solvente, incollaggi);
– isocianati (ad es. MDI) in operazioni di schiumatura, o verniciatura o incollaggio con prodotti a due componenti”.

Ci soffermiamo in particolare sulle polveri, ad esempio polveri (generiche) inalabili “provenienti da operazioni di, movimentazione materiali polverosi, levigatura, pulitura, satinatura, distaffaggio, taglio, pesata di prodotto sfuso, ecc. effettuate sia con macchine fisse che con attrezzi manuali”. Infatti le operazioni di pulitura dei manufatti metallici “possono comportare vari passaggi: ad es. smerigliatura a grana grossa e fine, spuntigliatura, lucidatura, ecc. con l’uso di diversi attrezzi manuali o di macchine, con vari nastri abrasivi di diversa granulometria”.
E se in genere le polveri sono formate da costituenti privi di particolari effetti tossicologici, vi possono essere anche costituenti metallici.
Ad esempio “nel caso della pulitura di semilavorati in ottone provenienti dalla fonderia è necessario analizzare la polvere inalabile campionata per la determinazione di vari metalli: rame e zinco (in primis) e nichel, piombo e manganese (come costituenti presenti in tracce)”.
Nelle polveri inalabili può essere presente anche il nichel: “una esposizione di questo tipo si può avere nelle lavorazioni per la sinterizzazione di ingranaggi metallici a base di nichel (per l’industria automobilistica). Anche in questo caso è necessaria la speciazione delle polveri per la ricerca del metallo, ma non solo. Sono possibili vari tipi di indagini: valutazione dell’inquinamento delle superfici (wipe test); valutazione del metallo direttamente sulla pelle degli addetti (pads); inquinamento ambientale (nichel in aria); monitoraggio biologico (nichel urinario)”.
Il rischio maggiore – continua il documento – è l’assunzione di nichel per contatto, attraverso la pelle. Questo rischio viene evidenziato da grosse discrepanze fra dato ambientale – bassa concentrazione – di nichel aerodisperso e dato biologico (nichel urinario) – presente in elevata concentrazione.
Sempre in relazione alle poveri in molti casi può essere necessario un campionamento della frazione respirabile: “ad esempio, per certe operazioni di sabbiatura e per la pulitura e finitura di manufatti grezzi provenienti dalla fonderia. È possibile un inquinamento dovuto a sabbia con un notevole contenuto in silice libera cristallina”. E anche nei casi di manufatti provenienti dalla fonderia (ghisa, alluminio) “le operazioni di distaffatura e pulitura possono essere molto polverose, con concreto rischio di superamento dei valori limite per la silice libera cristallina”.

Veniamo agli oli minerali. che si distinguono in interi ed emulsionabili ed hanno una composizione estremamente varia. Infatti “oltre all’olio base, di derivazione sintetica o minerale, sono aggiunti vari additivi con funzione antiusura, antiossidante, antiruggine, antibatterica, fungicida, antischiuma, antinebbia, ecc”.
Gli oli minerali sono lubrificanti altamente raffinati “quelli sottoposti ad una estrazione con solvente e/o ad un trattamento spinto con idrogeno o con acido solforico fumante; sono considerati invece poco raffinati degli oli che subiscono trattamenti più blandi. Gli IPA, che costituiscono il principale fattore di rischio legato all’uso degli oli, sono presenti in elevata concentrazione nei prodotti non raffinati, mentre si rilevano in tracce nei prodotti severamente raffinati”.
L’autore si sofferma poi sulle nebbie di oli minerali, un rischio “tipico dell’ industria metalmeccanica in quanto gli oli sono utilizzati ampiamente in funzione lubrificante e refrigerante (attrito e sviluppo di calore) su tutte le macchine operatrici ed i centri di lavoro”.
E i cancerogeni potenzialmente presenti nelle nebbie “sono gli IPA e la Nitroso- dietanolammina:
– l’eventuale presenza di IPA e di dietanolammina si dovrebbe ricavare da quanto dichiarato nelle schede di sicurezza;
– una volta accertata la presenza di queste sostanze, i rischi potenziali maggiori sono relativi all’uso di oli puri (taglio e/o tempera) ed alle effettive condizioni lavorative;
– è stato altresì rilevato che la percentuale di IPA può aumentare con l’uso”.
Il documento si sofferma anche sull’evoluzione tecnologica: dalle macchine tradizionali (torni, frese, trapani, cesoie) “si è passati ai nuovi centri di lavoro (di varia dimensione) alle macchine di moderna concezione costruite secondo i dettami della Direttiva Macchine (completamente chiuse ed intrinsecamente sicure). E gli effetti sono “un migliore controllo dell’antinfortunistica e minori rischi chimici fisici in ambiente di lavoro”.

Rimandando ad una lettura integrale del documento per quanto riguarda i problemi con i solventi e gli isocianati, concludiamo questa breve disamina sui rischi chimici parlando dei fumi di saldatura che costituiscono un rischio di tipo complesso.
Infatti “in questi fumi possono essere presenti vari componenti sia allo stato gassoso che allo stato solido (particolato di varie dimensioni, particelle ultrafini – nanoparticelle, polveri inalabili, polveri respirabili)”.
In particolare le sostanze presenti nei fumi possono essere:
– “gas prodotti dalla combustione dell’aria e/o di eventuali impurezze di tipo organico, come ad esempio tracce di oli minerali: ossidi di azoto, monossido e di ossido di carbonio, ozono, fluoro gas, acido fluoridrico, aldeidi a basso PM, altro;
– metalli ed ossidi presenti nei manufatti da saldare, nei costituenti degli elettrodi, nei metalli d’apporto (barrette, filo, ecc.). Quali ad esempio: ferro, manganese, rame, zinco, nichel, cromo, cadmio, argento”.
È inoltre noto che nell’ambito della saldatura “si generano particelle ultrafini (prevalenti in termini di numero le particelle con diametri medi nel range 36 – 64 nm; mentre in termini di peso sono prevalenti le particelle con diametri compresi fra 100 – 200 nm): queste particelle si generano anche in fasi di taglio al plasma o con il raggio laser; le particelle ultrafini contenenti ad esempio zinco, cadmio e rame, sembrano essere responsabili delle febbri da fumi”.
L’autori si sofferma poi sulla saldatura inox, la saldatura di acciai inossidabili che “comprende diverse attività lavorative nelle quali si utilizzano leghe contenenti nichel e cromo e quindi:
– “saldatura dei vari tipi di acciaio ‘legato’;
– saldatura diretta di acciaio inox;
– impiego di leghe contenenti Nichel e Cromo, anche come materiale d’apporto;
– taglio con cannello ossiacetilenico;
– taglio laser e taglio al plasma di acciai inox”.
In un indagine di comparto effettuata in Emilia Romagna sono stati considerati saldatori coloro che operavano per almeno due ore al giorno e “gli acciai più utilizzati contenevano, oltre a significative percentuali di nichel (8-14%) e di cromo (16-20%), anche minori percentuali di manganese (2%) e molibdeno (2-3%). I metalli di cui sopra, nell’ambiente ad alta temperatura della saldatura, possono essere presenti sia come metalli, sia come ossidi e comunque in stati di ossidazione nei quali sono classificati come cancerogeni (Nichel II; Cromo VI) pertanto, nelle eventuali misure ambientali dovrebbe essere stimato sia il cromo totale che il cromo esavalente oltre al nichel ed agli altri metalli presenti. Per alcuni composti del cromo è stato evidenziato anche il rischio genotossico”.
L’autore si sofferma anche su un caso particolare di saldatura, la saldo brasatura (saldatura a bassa temperatura, < 700°C): “in questo caso vengono usate barrette di metallo d’apporto costituite da una lega che può contenere: cadmio, argento, rame, zinco. In particolare andrà verificata l’eventuale percentuale di cadmio”.

Infine riportiamo le conclusioni dell’autore che ricorda come “in linea generale i rischi connessi con le attività dell’ industria metalmeccanica sono noti”.
Tuttavia è importante:
– “una corretta informazione a priori sulle materie prime in uso tramite una attenta lettura delle schede di sicurezza;
– in secondo luogo è fondamentale avere le idee chiare sulle reali mansioni degli operatori (tempi di esposizione effettivi);
– ciò si potrà ottenere, dopo il sopralluogo, con una intervista mirata al datore di lavoro e/o ai responsabili di produzione”:
Inoltre è necessaria:
– “una particolare attenzione per i rischi cancerogeni connessi con l’uso degli oli minerali;
– così come per le saldature su acciaio inox (verificare le reali condizioni operative) un attento monitoraggio biologico;
– in particolare a volte si deve valutare la possibile presenza di metalli (pesanti) nelle polveri prodotte;
– importante anche la determinazione di polveri respirabili e della silice cristallina in alcuni manufatti grezzi provenienti dalla fonderia”.
In ogni caso se le reali mansioni degli addetti presuppongono reali esposizioni a fattori di rischio chimico:
– “sarà necessaria una accurata indagine ambientale;
– tale indagine servirà in ogni caso a verificare se i sistemi di prevenzione primaria sono efficienti;
– infine un adeguato monitoraggio biologico fornirà dei dati complementari all’indagine ambientale al fine di dare un quadro esauriente della situazione”.

Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, “ Il rischio chimico nell’industria metalmeccanica”, a cura del Dott. Giampaolo Gori del Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica dell’Università di Padova.

 

Fonti: Università di Padova, Puntosicuro.it