Come si traduce l’applicazione della regola dell’equivalenza causale, dell’articolo 41 del codice penale, in materia di infortuni sul lavoro? Qual è la condotta del lavoratore idonea a un’attenuazione della responsabilità del datore di lavoro?
Pubblichiamo un estratto dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul lavoro “La colpa negli infortuni sul lavoro” – Bollettino marzo 2015, Camera penale veneziana “Antonio Pognici”, per il sito internet www.camerapenaleveneziana.it
LA CONDOTTA ABNORME DEL LAVORATORE
In tema di infortuni sul lavoro è senza dubbio possibile affermare che trova piena applicazione il principio di equivalenza causale sancito dall’articolo 41 del codice penale, secondo il quale il nesso causale può essere escluso solo dal sopraggiungere di una causa autonoma e successiva, da sola sufficiente a determinare l’evento. In tal senso, una volta accertata la condotta colposa del datore di lavoro – o, più in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure idonee a prevenire l’evento – la condotta del lavoratore potrà essere valorizzata, al fine di sostenere l’assenza di responsabilità del primo, solo ove possieda i requisiti richiesti dall’articolo 41, comma 2 del codice penale e, quindi, ove sia autonoma – non in rapporto causale con la condotta del preposto – sopravvenuta e da sola sufficiente a determinare l’evento. Residuando, in caso contrario, soltanto la possibilità di valorizzare la condotta imprudente del lavoratore ai fini della graduazione della colpa del datore di lavoro e, quindi, della commisurazione della pena.
Sotto tale profilo – vale la pena di precisarlo subito – non debbono trarre in inganno le disposizioni che, a partire dal d.lgs 626/1994, hanno certamente tracciato un ruolo attivo del lavoratore nell’organizzazione della sicurezza sui luoghi di lavoro a tutela, non solo della propria salute, ma anche delle altre persone presenti sui luoghi di lavoro; sebbene, infatti, l’evoluzione normativa sia certamente nel senso di trasformare il lavoratore da “semplice soggetto passivo, beneficiario inerte di un dovere di sicurezza interamente gravante sul datore di lavoro…” a “ compartecipe sempre più consapevole del programma di protezione di comune interesse, sicché la distinzione tra chi controlla e chi è controllato tende ad assumere connotati diversi. Resta però sempre fermo il principio che la responsabilità dei dirigenti per l’omesso apprestamento delle misure di prevenzione non può essere esclusa dalla condotta colposa del lavoratore quando la doverosa adozione di queste misure avrebbe potuto evitare l’evento ed impedito il verificarsi dell’imprudenza da parte del lavoratore”. [1]
In proposito, anche recentemente, è stato ritenuto che “in materia di infortuni sul lavoro, il d.lgs. nr. 626 del 1994 (ora D.Lgs. 9 aprile 2008, nr. 81) se da un lato prevede anche un obbligo di diligenza del lavoratore, configurando addirittura una previsione sanzionatoria a suo carico, non esime il datore di lavoro, e le altre figure ivi istituzionalizzate, e, in mancanza, il soggetto preposto alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica, dal debito di sicurezza nei confronti dei subordinati. Questo consiste, oltre che in un dovere generico di formazione e informazione, anche in forme di controllo idonee a prevenire i rischi della lavorazione che tali soggetti, in quanto più esperti e tecnicamente competenti e capaci, debbono adoperare al fine di prevenire i rischi, ponendo in essere la necessaria diligenza, perizia e prudenza, anche in considerazione della disposizione generale di cui all’articolo 2087 c.c., norma di chiusura del sistema, da ritenersi operante nella parte in cui non è espressamente derogata da specifiche norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro” [2].
E’, dunque, opportuno osservare come si traduce l’applicazione della regola dell’equivalenza causale in materia di infortuni sul lavoro.
Nonostante l’accennata evoluzione della disciplina in materia, il datore di lavoro resta prigioniero di quella posizione di garanzia che fa sì ch’egli sia responsabile non solo della disattenzione del lavoratore ma anche della sua negligenza, imprudenza imperizia in ragione di, non meglio identificati, fattori di rischio insiti nell’attività produttiva, idonei ad indurre il lavoratore a comportamenti inosservanti. [3] Tale principio, già in passato fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità [4], è rimasto sostanzialmente immutato nel tempo. Così, anche in tempi recenti, numerosi arresti hanno precisato che il datore di lavoro e le altre figure istituzionalizzate sono “garanti anche della correttezza dell’agire del lavoratore, essendo loro imposto di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela, conseguendone, appunto in linea di principio, che la colpa dei medesimi, nel caso di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, non è esclusa da quella del lavoratore”; imputandosi, in tal caso, l’evento dannoso in forza della posizione di garanzia che incombe sul datore di lavoro in ragione del principio dell’equivalenza causale [5] [6].
E’, dunque, lecito chiedersi quale sia la condotta del lavoratore idonea ad interrompere il processo causale ai fini di un’attenuazione della responsabilità del datore di lavoro.
Già in passato la Suprema Corte aveva precisato che l’esclusione in tutto o in parte della responsabilità penale degli imprenditori, dei dirigenti e dei preposti, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, fosse configurabile “soltanto quando il lavoratore ponga in essere una condotta inopinabile, esorbitante dal procedimento di lavoro a cui è addetto e incompatibile col sistema di lavorazione, oppure che si concreta nella inosservanza da parte sua di precise disposizioni antinfortunistiche” [7].
Tale indirizzo si presenta ancora attuale individuando le due situazioni che, secondo la giurisprudenza assolutamente dominante, sono idonee ad attenuare o elidere la responsabilità del datore di lavoro in quanto delineano un comportamento “abnorme” e, pertanto, imprevedibile del lavoratore. Si definisce “ abnorme” il comportamento che “per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, L’ipotesi tipica è quella del lavoratore che violi ‘con consapevolezza’ le cautele impostegli, ponendo in essere una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare. Altra ipotesi è quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento ‘esorbitante’ rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro” [8].
Il primo aspetto degno di nota è che la giurisprudenza di legittimità con plurime sentenze ha escluso che la condotta abnorme possa concretizzarsi in una modalità, per quanto imprevedibile, di svolgimento delle mansioni assegnate al lavoratore, dovendo trattarsi di condotta che non tragga origine dal processo lavorativo assegnato alla vittima, ma che in esso trovi semplicemente occasione; in questa prospettiva “l’ipotesi tipica di condotta abnorme è stata individuata in quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento ‘esorbitante’ rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un’altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite ad altro lavoratore” [9]. Ciò a dire che la condotta del lavoratore può dirsi abnorme “quando si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è ‘interattivo’ non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare” [10].
Ad interrompere il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro – o del preposto – e l’evento pregiudizievole derivatone non basta, quindi, un comportamento del lavoratore, pur avventato, negligente o disattento posto in essere mentre svolge il lavoro affidatogli, trattandosi, in questo caso, di comportamento connesso all’attività lavorativa o, comunque, non esorbitante da essa e, quindi, non imprevedibile [11]. In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha precisato che non integra il comportamento abnorme idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore, “il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo” [12]
Tale principio di massima ha, tuttavia, incontrato qualche eccezione, seppure a fronte di una macroscopica imprevedibilità della condotta del lavoratore [13].
Se, come abbiamo visto, la negligenza, imprudenza, imperizia del lavoratore non è sufficiente ad interrompere il nesso causale che lega l’evento e la condotta colposa del datore di lavoro, un ragionamento diverso dev’essere fatto per il comportamento coscientemente e volutamente inosservante delle norme poste a tutela della salute del lavoratore da parte di quest’ultimo. Sotto tale profilo già in passato la Suprema Corte aveva avuto occasione di distinguere la mera distrazione, assolutamente insignificante sotto il profilo causale, rispetto al comportamento coscientemente e volutamente inosservante delle norme predisposte ai fini di tutela [14], precisando, tuttavia, che la condotta inosservante di precetti o istruzioni o, comunque, in contrasto con particolari ordini esecutivi, è cosa ben diversa rispetto al mancato adeguamento ad un mero avvertimento di pericolo. Ciò in quanto l’obbligo dell’imprenditore di adottare le cautele idonee a prevenire ed evitare l’evento pregiudizievole è un obbligo assoluto e non può essere sostituito dall’avvertimento di pericolo rivolto al lavoratore allorché la fonte del pericolo sia proprio l’inadempienza del soggetto preposto alla sicurezza [15]. Anche in tale caso, tuttavia, la condotta inosservante deve rivestire il carattere della eccezionalità ed è proprio sotto tale aspetto che si aprono le porte alla discrezionalità del giudice, ovvero nel distinguere il comportamento eccezionale da quello semplicemente irrituale ma certamente prevedibile ed evitabile con la dovuta diligenza. In questo senso non si è mancato di osservare che, proprio in ragione della posizione di garanzia assunta dal datore di lavoro e del suo dovere, non solo di predisporre le prescritte tutele antinfortunistiche, ma anche di pretenderne l’osservanza, il comportamento inosservante del lavoratore è idoneo ad interrompere il nesso causale solo ove le disposizioni violate siano immediate e specifiche, siano date dall’incaricato alla sorveglianza e siano violate in modo repentino ed immediato; per contro non potrà, invece, attribuirsi alcuna rilevanza alla condotta imprudente del lavoratore, in assenza di istruzioni specifiche impartite dal preposto. La condotta del lavoratore in sostanza dev’essere assolutamente imprevedibile, così da rendere inesigibile un contegno del datore di lavoro diverso rispetto a quello osservato. Anche in applicazione di tali principi, tuttavia, taluno ha correttamente osservato che nella prassi l’opinabile valutazione del giudice in merito alla prevedibilità ed evitabilità o meno dell’evento da parte del datore di lavoro, incontrerà certamente il supporto di precedenti arresti giurisprudenziali [16]. Così ad esempio la Suprema Corte ha sottolineato che “ il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza del lavoratore, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre ai dipendenti il rispetto della normativa, facendoli fuggire dalla tentazione, sempre presente di sottrarvisi instaurando prassi di lavoro non corrette” [17];qualche tempo dopo la stessa Suprema Corte riconosceva l’imprevedibilità della situazione di pericolo da evitare nel caso del lavoratore deceduto per aver agito in palese violazione delle prescrizioni impostegli dal datore di lavoro [18]. In altra circostanza il Supremo Giudice ha, per contro, escluso l’abnormità del comportamento del lavoratore che si era messo alla guida di un carrello elevatore – restando vittima di un incidente – nonostante ciò non rientrasse tra le sue mansioni [19].
A fronte, dunque, di una prassi che certamente non è immune da valutazioni discrezionali, l’unico elemento di certezza è dato da un perdurante atteggiamento restrittivo della giurisprudenza prevalente – che si protrae da vent’anni – e che tende a restringere quanto più possibile l’ambito dell’efficacia causale della condotta del lavoratore, secondo criteri che appaiono improntati più ad esigenze politiche che a valutazioni strettamente giuridiche. [Federica Bassetto]
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[1] Cass.Pen., sez. III, nr. 25205 del 23 giugno 2011 (ud. 26 maggio 2011)
[2] Cass. Pen., sez. IV, sent. nr. 46438 dell’11 novembre 2014 (ud. 26 settembre 2014).
[3] Pulitanò, voce Igiene e Sicurezza del lavoro (tutela penale), Dpen, VI, Torino, 1992, p. 102
[4] Cfr. Cass. Sez. III, 14 ottobre 1983, Del Vivo, in GP, 1984, II, p. 480 “ le norme dettate per la prevenzionedegli infortuni sul lavoro, tese ad impedire la insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla di lui disattenzione ma anche in riferimento a quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue, pertanto, che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive , sia quando non accerti e vigili che di queste misure il dipendente ne faccia effettivamente uso”:
[5] Cass. Pen., Sez. IV, nr. 45359, del 27 dicembre 2010 (ud. 23 novembre 2010)
[6] Tale principio è stato recentemente ribadito, con riferimento specifico alla figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, in Cass. Pen., sez. IV, nr. 43466, del 17 ottobre 2014 (ud 30/09/2014), ove si precisa: “.. da ciò emerge come il coordinatore per l’esecuzione dei lavori sia titolare di un’autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, e comprende, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonché il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, nonché, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione”.
[7] Cass. Pen., Sez. IV, 5 ottobre 1987, in RP, 1988, p.978.
[8] Cass. Pen., Sez. IV, nr. 45359, del 27 dicembre 2010 (ud. 23 novembre 2010). In termini vedi Cass. Pen., sez. IV, 14 marzo 2014, nr. 22249 “ In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale”.
[9] Cass. Pen., sez. IV, nr. 43846, del 21 ottobre 2014 (ud. 26 settembre 2014).
[10] Cass. Pen., sez. IV, nr. 46437, dell’11 novembre 2014 (ud. 25 settembre 2014).
[11] Cfr, infra, Cass. Pen. Sez IV, 45359 del 2014.
[12] Cass. Pen., Sez. IV, nr. 7955 del 2013.
[13] Cfr. Cass. Pen. Sez. IV, nr. 35828 del 2011 “in tema di infortuni sul lavoro il datore di lavoro, destinatariodelle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che, pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro”. Circostanza in cui l’unica causa efficiente era considerata la condotta della lavoratrice la quale scendendo la scala con postura inversa a quella tipica e normale, pose imprudentemente i piedi sul bancone a metà del percorso per una sua macroscopicamente imprevedibile e inutile acrobazia ad evitare la quale non sarebbe servita alcuna informazione dissuasiva.
[14] Cass. Pen. Sez. IV, 25 gennaio 1982, Valastro, in RP 1983, p. 344.
[15] Cass. Pen., Sez. I, 1 luglio 1981, Madella in RP, 1982 p. 440.
[16] Veneziani, in Trattato di Diritto Penale Parte Speciale diretto da Marinucci Dolcini, Vol III Tomo II, p. 460
[17] Cass. Pen. Sez. IV, 8 ottobre 2008, nr. 39888 in Pluris banca dati Utet.
[18] Cass. Pen., Sez. III, 7 luglio 2011, nr. 38209, in Pluris banca dati Utet
[19] Cass. Pen., Sez. IV, 25 giugno 2013, nr. 42501 in Pluris Banca dati Utet
Fonti: Puntosicuro.it, Camerapenaleveneziana.it