In tema di reati omissivi colposi la responsabilità per un sinistro fra le varie figure garanti della sicurezza deve essere fatta accertando in concreto la reale titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo che ha portato alla lesione.
Quando nell’ambito dello stesso organismo si può riscontrare la presenza di più figure di garanti l’individuazione della responsabilità penale passa anche attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione, atteso che, oltre alle categorie giuridiche, sono importanti i ruoli concretamente esercitati da ciascuno. E’ quanto emerge dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione chiamata a decidere su di un ricorso presentato da un dirigente di una struttura pubblica munito di delega agli “interventi ed adeguamenti strutturali, manutenzione di uffici e impianti” condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile delle lesioni gravi subite da un lavoratore dipendente che durante le operazioni di carico delle merci è caduto all’indietro da una banchina sulla quale si trovava essendo questa priva delle protezioni contro la caduta dall’alto.
In tema di reati omissivi colposi, ha precisato la suprema Corte, richiamando un principio più volte dalla stessa espresso in precedenza, la responsabilità per un infortunio sul lavoro fra le varie figure garanti della sicurezza in azienda deve essere fatta accertando in concreto la reale titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo che ha portato alla lesione.
Nel caso in esame la Cassazione, proprio in applicazione del principio sopraindicato, ha provveduto ad annullare la sentenza di condanna emessa nei confronti del dirigente nei due primi gradi di giudizio in quanto dal documento di delega con il quale era stata attribuita allo stesso la responsabilità sulla manutenzione di uffici e impianti, era emerso che questi non disponeva di autonomi poteri di intervento e di scelta degli interventi da effettuare; non disponeva quindi di una autonomia decisionale in quanto il relativo potere di spesa doveva essere esercitato in accordo con un piano degli interventi definiti dal datore di lavoro. Essendo quindi soggetto a deliberazioni assunte da altre persone non rivestiva pertanto, secondo la suprema Corte, alcuna posizione di garanzia.
Il fatto, la condanna e il ricorso per cassazione.
La Corte di Appello ha confermata la sentenza emessa dal Tribunale che ha ritenuto il dirigente di un Centro Meccanizzazione Postale (CMP) delle P.I. Spa responsabile del reato di cui all’art. 590, comma 3 del codice penale per avere cagionato a un dipendente lesioni personali gravi, consistenti in frattura pluriframmentaria alla gamba destra guarita in 387 giorni.
Il dipendente, impiegato nel reparto “ricevimento/invio” con la mansione di addetto allo scarico e al carico delle merci, si trovava sotto una pensilina in corrispondenza della banchina di carico e stava provvedendo al carico di “roller” (carrelli con struttura “a gabbia”, contenenti plichi da recapitare) su un camion, quando, tirando all’indietro uno dei carrelli e non essendosi accorto della fine della banchina, cadeva all’indietro, finendo sul piazzale sottostante. Il carrello, bloccato dalle cinghie, non cadeva sul lavoratore ma ne investiva le gambe.
All’epoca dei fatti, l’imputato rivestiva l’incarico di responsabile di un’area del Centro con delega conferita per assicurare la rispondenza dei luoghi di lavoro alle disposizioni normative vigenti, con poteri di spesa nell’ambito di un budget approvato annualmente dall’azienda.
I Giudici del merito avevano ritenuto sussistere il profilo di colpa contestato e ravvisato nella violazione, da parte dell’imputato, degli artt. 63 comma 1 e 64 comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, non avendo garantito che la banchina di carico fosse tale da assicurare i lavoratori dal rischio di caduta, in particolare non avendola dotata di barriere di protezione. Il Giudice del Tribunale, in particolare, aveva osservato che, indipendentemente dalla condotta non ortodossa della persona offesa, vi era un concreto rischio di caduta dal bordo della banchina, assai prossimo allo spazio di manovra a disposizione, in considerazione della configurazione dei luoghi, del tipo di manovra da compiere col carrello, del peso delle merci e della limitatezza dello spazio a disposizione e aveva ritenuto, altresì, che l’eventuale distrazione del lavoratore non poteva esimere da colpa l’imputato.
Avverso la sentenza di appello l’imputato, a mezzo del difensore, ha ricorso per cassazione adducendo delle motivazioni. Con un primo motivo il ricorrente ha osservato che la sentenza impugnata aveva utilizzato un unico dato probatorio, costituito dalle dichiarazioni di un teste che non erano state affatto valutate dalla sentenza di primo grado e che, comunque, erano state contraddette da altre dichiarazioni testimoniali quanto alla ricostruzione del fatto storico, del tutto diversa da quella ritenuta in sentenza. Nell’assumere quale unico riferimento probatorio tale testimonianza, la Corte di Appello, secondo l’imputato, aveva considerata la situazione che si verificava solitamente sulla banchina in esame durante le operazioni di carico e non la reale situazione nel momento in cui era accaduto l’infortunio. La caduta del lavoratore, infatti, si era verificata quando la banchina era ormai del tutto sgombra, visto che la persona offesa stava movimentando l’ultimo dei carrelli da caricare sui furgoni postali, diversamente da quanto aveva sostenuto il teste che nella sua deposizione aveva evidenziato che la responsabilità era da addebitare unicamente al lavoratore infortunato che aveva sbagliato nell’andare indietro.
Come seconda motivazione il ricorrente ha eccepito una erronea applicazione degli artt. 40 e 41 del codice penale nonché degli artt. 63 e 64 e dell’Allegato IV, punti 1.3.13 e 1.3.14 del D. Lgs. n. 81/2008, con riferimento all’individuazione dell’omessa installazione delle barriere protettive sui bordi della banchina quale causa dell’evento che si era verificato. Diversamente da quanto assunto nelle sentenze di merito, infatti, il combinato disposto dei punti 1.3.13 e 1.3.14 del D. Lgs. n. 81/2008 prevede unicamente che le banchine di carico debbano “offrire una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possano cadere”, atteso che laddove il citato decreto reputi unica misura idonea ad eliminare o mitigare il rischio di caduta contempla esplicitamente l’installazione di balaustre. Una “banchina di carico” come quella su cui si è verificato l’infortunio occorso, ha precisato il ricorrente, non è altro che una particolare specie di luogo di lavoro rientrante nel più ampio genere dei “piani di caricamento”, per i quali la norma prevede l’installazione di protezioni “su tutti i lati aperti” soltanto se l’altezza è superiore ai 2 metri mentre nel caso in esame, l’altezza era inferiore. Peraltro, anche se fossero state apposte le balaustre, ha aggiunto il ricorrente, le stesse non avrebbero evitato la caduta del lavoratore.
Il ricorrente, come ulteriore motivazione, ha messo altresì in evidenza la sua concreta posizione di garanzia rivestita nell’ambito della struttura organizzativa della società e il tenore della delega conferitagli dal datore di lavoro. I Giudici si erano infatti limitati a tenere conto della delega senza considerare che il suo reale contenuto andava ricavato dagli ulteriori elementi acquisiti e in particolare dalla valutazione espressa dall’ispettore della ASL intervenuto ad effettuare le indagini che aveva attribuito esclusivamente al datore di lavoro e ad un’altra dirigente da questi delegata (coimputata non appellante) le omissioni dagli stessi reputate penalmente rilevanti.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. “In tema di reati omissivi colposi”, ha sostenuto la stessa, “la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di protezione dello specifico bene giuridico che necessita di protezione, e di gestione della specifica fonte di pericolo di lesione di tale bene, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro”.
La suprema Corte ha inoltre richiamato quanto dalla stessa ampiamente illustrato in numerose precedenti sentenze e cioè il tema dell’individuazione delle diverse posizioni di garanzia nell’ambito del sistema prevenzionistico della sicurezza del lavoro. La giurisprudenza, ha ribadito la stessa, ha ampiamente illustrato come si articoli, nel sistema della sicurezza del lavoro, la posizione di garanzia, come essa debba essere definita in linea di principio e come debba essere riconosciuta in concreto con riguardo all’organizzazione aziendale. La materia della individuazione delle posizioni di garanzia è stata parzialmente disciplinata sin dai primi atti normativi del settore ed è stata infine unitariamente trattata nel Testo Unico sulla sicurezza del lavoro di cui al D. Lgs. n. 81/2008.
Il sistema prevenzionistico, ha aggiunto la Sez. IV, è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale quali il datore di lavoro, il dirigente e il preposto. Per queste due ultime figure, in particolare, occorre tenere conto, da un lato, dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono la base e il limite della responsabilità; e dall’altro, del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono.
Nell’ambito dello stesso organismo, ha sostenuto ancora la Sez. IV, può quindi riscontrarsi la presenza di più figure di garanti per cui l’individuazione della responsabilità penale passa anche attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione, atteso che, oltre alle categorie giuridiche, rilevano, in particolare, i concreti ruoli esercitati da ciascuno sulla base dei quali si declina la categoria giuridica della posizione di garanzia. La centralità dell’idea di rischio emerge con particolare incisività nel contesto della sicurezza del lavoro, pur esistendo diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Si può, quindi, affermare che garante è il soggetto che gestisce il rischio. Riconosciuta quindi la sfera di rischio come area che designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l’obbligo del garante, ne discende altresì la necessità di individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo.
Applicando i menzionati principi al caso in esame e ricordando che l’imputazione del ricorrente era stata elevata anche nei confronti di un altro dirigente munito di delega alla sicurezza, è emerso, secondo la Corte di Cassazione, che l’imputato non disponeva di autonomi poteri di intervento e di scelta degli interventi da effettuare e dunque, non disponeva di autonomia decisionale in quanto il relativo potere di spesa doveva essere esercitato in accordo con il Piano degli interventi definiti dal datore di lavoro. Egli, in definitiva, era un organo tecnico con funzioni distinte da quelle dell’unico delegato alla sicurezza ed era soggetto a deliberazioni assunte da altre persone non rivestendo così alcuna posizione di garanzia.
Non ravviandosi in conclusione alcuna violazione di cautele ascrivibili all’imputato la Corte di Cassazione ha di conseguenza annullata la sentenza impugnata senza rinvio per non avere l’imputato stesso commesso il fatto.
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it