Un documento fornisce informazioni sulla sicurezza nelle bonifiche di siti contaminati in relazione ai rischio biologico. La fase di valutazione del rischio biologico, la relazione dose-effetto, la casistica epidemiologica e il monitoraggio ambientale.
Nei mesi scorsi ci siamo soffermati su un rischio spesso sottovalutato o non considerato nelle attività di bonifica dei siti contaminati, ad esempio in relazione all’inquinamento di suoli e di falde: il rischio biologico.
Ne abbiamo parlato attraverso una pubblicazione – “ Il rischio biologico nel settore della bonifica dei siti contaminati”, realizzata da INAIL Settore Ricerca, Certificazione e Verifica, Dipartimento Processi Organizzativi –che si pone l’obiettivo di aumentare la consapevolezza del rischio biologico in queste attività e che fornisce indicazioni in materia di valutazione e controllo del rischio durante le diverse fasi operative.
Dopo aver parlato della normativa vigente, di esposizione dei lavoratori, di classificazione degli agenti biologici, della mancanza di valori limite, dei sopralluoghi conoscitivi e della fase di allestimento del cantiere, ci soffermiamo oggi proprio sulla fase di valutazione del rischio biologico connesso alle operazioni di bonifica.
Il documento ricorda innanzitutto che la valutazione del rischio biologico è una “procedura complessa che deve prendere in considerazione i pericoli, ossia gli agenti biologici potenzialmente presenti nell’ambiente lavorativo ed il rischio, ossia la probabilità statistica che l’evento dannoso si realizzi in quelle specifiche condizioni di esposizione”.
Per poter operare la valutazione, il Titolo X (Esposizione ad agenti biologici) del D.Lgs. 81/2008 dispone che il datore di lavoro “consideri tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche degli agenti biologici utilizzati o potenzialmente presenti nel materiale trattato e delle modalità operative in cui essi vengono coinvolti ed in particolare:
a) della classificazione in termini di pericolosità degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana (come dall’Allegato XLVI del D.Lgs. 81/2008);
b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte a seguito dell’esposizione lavorativa;
c) dei potenziali effetti allergici e tossici dei microorganismi e/o loro parti;
d) della conoscenza di una patologia della quale sia affetto un lavoratore, correlabile all’attività lavorativa svolta”.
Abbiamo già parlato, nel precedente articolo di presentazione della monografia, del fatto che tale valutazione può risultare “seriamente compromessa dalla mancanza di valori limite di esposizione (Occupational Exposure Levels, OELs) agli agenti biologici che possano essere da riferimento nella interpretazione delle dosi espositive in termini di frequenza attesa delle diverse manifestazioni patologiche a carico del lavoratore, siano esse di natura infettiva che allergica o tossica”.
La disponibilità di dati sulle relazioni dose-effetto degli agenti biologici “permetterebbe la definizione dei valori limite dell’esposizione al fine di garantire una corretta interpretazione dei risultati ottenuti attraverso le misurazioni effettuate nel corso del procedimento di valutazione del rischio”. Ma ad oggi, non esistendo relazioni dose-effetto e valori limite dell’esposizione professionale (OEL) agli agenti biologici, la normativa vigente “definisce i valori limite dell’esposizione agli agenti biologici solo con riferimento ad alcuni tipi di tossine, o per agenti quali la polvere di legno, la subtilisina e la polvere di farina”. Anche i valori limite dell’esposizione alle endotossine batteriche “sono stati per il momento proposti ma non ancora definiti con certezza, anche a causa della mancanza di univoche metodologie di valutazione quantitativa dell’esposizione”.
E non bisogna dimenticare altre importanti limitazioni alla definizione di relazioni dose-effetto. Ad esempio:
– “il ruolo ricoperto dagli agenti biologici nell’evolversi o nell’aggravarsi dei sintomi e delle malattie è stato per ora compreso solo in minima parte”;
– i microrganismi sono caratterizzati “dalla costante capacità di reagire e interagire con l’ambiente circostante e risultano in grado di modificare velocemente la loro espressione genica in risposta ai diversi segnali ambientali”;
– scarse sono le “informazioni relative alle dosi infettanti dei microrganismi: alcuni possono risultare patogeni in quantità estremamente ridotte, mentre altri organismi possono costituire un importante rischio per la salute solamente quando raggiungono concentrazioni più elevate”;
– “la valutazione delle relazioni dose-risposta è inficiata ulteriormente dall’estrema variabilità della risposta umana all’esposizione agli agenti biologici. Esiste infatti una notevole diversità fra le varie forme di predisposizione individuale a infezioni e allergie”.
Per la valutazione “la rilevanza della stima dell’entità dell’esposizione, attraverso ad esempio il monitoraggio microbiologico ambientale, è limitata per le difficoltà connesse alla interpretazione delle dosi espositive. Quindi se l’identificazione dei pericoli può essere effettuata valutando la presenza anche solo presunta di agenti biologici durante le attività lavorative, la valutazione del rischio biologico si basa sulla casistica epidemiologica, cioè verificando in letteratura quali patologie sono state messe in correlazione con determinate tipologie espositive e sull’osservazione dello stato di salute del lavoratore”.
Dunque è responsabilità dell’azienda, riguardo alla casistica epidemiologica, “utilizzare tutte le fonti scientifiche informative con particolare riguardo a quelle che si riferiscono al comparto di specifico interesse”. E se nel settore delle bonifiche non sono disponibili in letteratura molti dati epidemiologici (infezioni, sintomatologie, malattie osservate, …) – dove certamente il rischio prevalente è quello di natura chimica – è possibile fare riferimento alla casistica epidemiologica esistente per settori occupazionali equiparabili, ad esempio “quelli del settore dell’edilizia, dell’agricoltura e dello smaltimento acque reflue”.
A questo proposito il documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma sulla casistica epidemiologica di questi tre settori lavorativi.
Concludiamo questo breve percorso relativo alla valutazione del rischio biologico connesso alle operazioni di bonifica affrontando il tema del monitoraggio microbiologico ambientale.
Il documento sottolinea che tale monitoraggio microbiologico ambientale non è obbligatorio ai sensi del D.Lgs. 81/2008 al fine della valutazione del rischio biologico. E inoltre “tali monitoraggi risultano complessi e spesso non esaustivi, considerata l’impossibilita di rilevare tutti gli agenti biologici che possono essere presenti nelle diverse matrici dalle quali dipende l’esposizione”. E bisogna anche sottolineare “che il non rilevamento di uno specifico agente biologico nella matrice monitorata, non permette di escluderne la presenza, sia perche i metodi colturali routinariamente adottati non sono in grado di mettere in evidenza tutti i microrganismi potenzialmente presenti, sia perche non si può escludere che un determinato patogeno possa essere presente in quella stessa matrice anche solo poco tempo dopo aver effettuato il campionamento, in seguito all’instaurarsi delle condizioni ambientali più favorevoli ad una sua sopravvivenza e successiva moltiplicazione”. E il monitoraggio dei bioaerosol “risulta particolarmente complesso per la molteplicità di agenti biologici che esso può contenere: batteri, funghi, virus, allergeni, endotossine batteriche, micotossine, peptidoglicani, pollini, fibre vegetali, etc. Non esistono metodi di campionamento ed analisi dell’aria per la quantificazione dell’esposizione a bioaerosol che siano universalmente riconosciuti e questo rende complicato stabilire le relazioni causa effetto tra gli specifici parametri microbiologici e problemi di salute e, quindi, la definizione di limiti di accettabilità dell’esposizione professionale”.
In ogni caso nei casi in cui si proceda al monitoraggio microbiologico ambientale è “opportuno definire a priori la gestione dei risultati del monitoraggio”.
E per la la sorveglianza routinaria dell’aria dell’ambiente lavorativo “può essere utile procedere a monitoraggi per valutare se le concentrazioni microbiche rilevate nelle aree di lavoro durante le diverse attività (scavi, carico/scarico di terreno, rivoltamento dei cumuli, etc.) risultino superiori a quelle di aree esterne all’impianto, utilizzando come indicatori le conte batteriche totali, ossia quelle dei microrganismi vitali e non vitali, dal momento che anche questi ultimi sono da considerarsi un pericolo espositivo per il lavoratore”.
Il documento sottolinea infine che l’approccio più corretto per il controllo del rischio biologico connesso alle operazioni di bonifica è quello “preventivo attraverso la riduzione al più basso livello possibile dell’entità dell’esposizione individuale”: dopo l’individuazione delle lavorazioni/operazioni/fasi in cui può determinarsi l’esposizione biologica, si procede alla definizione delle misure di contenimento e/o delle modalità operative, tanto più restrittive quanto maggiore è il rischio di contaminazione presente”.
“ Il rischio biologico nel settore della bonifica dei siti contaminati”, pubblicazione realizzata da INAIL Settore Ricerca, Certificazione e Verifica, Dipartimento Processi Organizzativi, U.F. Comunicazione – Redazione, autori: Biancamaria Pietrangeli e Domenico Davolos, pubblicazione maggio 2013