Una sentenza della Corte di Cassazione sul caso di ribaltamento di un carrello elevatore, con morte del lavoratore. Il pericolo di rampe prive di aggancio al cassone e di muletti privi di cinture e di sportello di chiusura.
Nel rapporto lavorativo tra uomo e macchina il ribaltamento dei mezzi rappresenta una delle cause più frequenti di infortuni mortali nei luoghi di lavoro.
E tra i mezzi più diffusi nel mondo del lavoro e più soggetti a ribaltamento o a perdita di stabilità, ci sono i carrelli elevatori.
Per cercare di conoscere meglio i fattori causali di questi ribaltamenti e mettere in luce anche obblighi e responsabilità nelle aziende, ci soffermiamo oggi su una recente sentenza della Corte di Cassazione – la Sentenza n. 9140 del 28 febbraio 2018 – che risponde ad alcuni ricorsi riguardo alle conseguenze del ribaltamento di un carrello elevatore con morte immediata del lavoratore.
L’evento infortunistico
La Cassazione indica che la Corte di appello di Catanzaro il 10 ottobre 2016 “ha integralmente confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Cosenza il 13 dicembre 2013 aveva – tra l’altro – riconosciuto A.T. responsabile dell’omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, di G.B.” condannando l’imputato, senza attenuanti, alla pena di giustizia e, in solido con i responsabili civili s.r.l. XXX e s.r.l. YYY, al “risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con contestuale assegnazione di provvisionale”.
Nella sentenza sono premesse alcune informazioni fattuali tratti dai due gradi di giudizio.
L’11 ottobre 2010 si è verificato un infortunio mortale sul lavoro nel piazzale tra i due capannoni sede della ditta YYY s.r.l., il cui amministratore unico era A.T., piazzale nel quale i lavoratori G.B., C.A. (entrambi dipendenti della YYY) e V.M. (dipendente della XXX s.r.l.), “stavano provvedendo all’operazione di carico su di un furgone”, di proprietà della ditta XXX , di un carrello elevatore di proprietà della ditta YYY, e, per fare ciò, utilizzavano alcune rampe in alluminio, di proprietà della YYY, rampe in alluminio che i due dipendenti della YYY, appunto G.B. ed C.A., avevano solo appoggiato al furgone senza tuttavia bloccarle.
In particolare – continua la sentenza – G.B., “alla guida del muletto da caricare sul furgone, procedeva percorrendo a retromarcia le rampe per superare il dislivello ma, ad un certo punto, per la pendenza eccessiva e per le caratteristiche strutturali del veicolo, il muletto, giunto con le ruote posteriori sul cassone dell’autocarro e con quelle davanti ancora sulle rampe, si bloccava. A questo punto, per superare l’impasse, V.M., alla guida di un ulteriore carrello elevatore”, sempre di proprietà della YYY, “imprudentemente poneva le barre di sollevamento sotto le assi di alluminio per diminuire la pendenza ma, nel fare ciò, una della rampe, come si è detto non agganciate al cassone del camion, scivolava ed il carrello si ribaltava schiacciando G.B., che moriva immediatamente, non essendo peraltro assicurato al sedile del mezzo, privo di sportelli laterali e di cintura di sicurezza”.
E dunque “sono stati condannati alla pena di giustizia nel doppio grado di merito per omicidio colposo sia i lavoratori V.M. e C.A., per la grave imprudenza posta in essere, che A.T., amministratore unico” della s.r.l. YYY e datore di lavoro di G.B. e di C.A., “per mancanza di adeguata formazione ed informazione ai dipendenti e per avere loro messo a disposizione rampe prive di aggancio al cassone e muletto privo di cinture e di sportello di chiusura”.
Il ricorso in Cassazione
Ricorrono per la cassazione della sentenza, tramite distinti ricorsi, sia l’imputato A.T. che i due responsabili civili.
A.T. si affida a tre motivi e ci soffermiamo in particolare sul primo.
Il ricorrente con il primo motivo “censura violazione dell’art. 41 cod. pen. in tema di concorso di cause e, nel contempo, carenza ed illogicità della motivazione in punto di prova, in quanto, secondo il ricorrente, la condotta imprudente degli operai V.M. e C.A., oltre che della vittima, sarebbe non già mera concausa indipendente ma vera e propria causa determinante l’evento, in quanto imprevedibile, sopravvenuta e sufficiente di per sé a provocare la morte della vittima. Né i Giudici di merito avrebbero giustificato perché, se A.T. avesse ottemperato alla disciplina antinfortunistica che si ritiene – erroneamente – avere violato, il sinistro non si sarebbe verificato”. In particolare, “avrebbe errato la Corte territoriale nel disattendere il motivo di appello incentrato sull’assenza di un mandato da parte di A.T. agli operai affinché quel giorno spostassero il muletto, mandato di cui mancherebbe prova”. L’agire dei tre sarebbe stato in realtà – continua il ricorso – “non soltanto grandemente imprudente ma addirittura eccezionale ed esorbitante rispetto alle precise direttive ricevute dal datore di lavoro. Il datore avrebbe, inoltre, fornito adeguata formazione ed informazione ai dipendenti, nel rispetto di quanto normativamente prescritto. Infine, non era prescritta la cintura di sicurezza per il muletto in questione”.
Inoltre i legali rappresentanti di XXX s.r.l. e di YYY s.r.l., a loro volta, “denunziano (con due distinti ricorsi di eguale contenuto ed affidati ad unico difensore) sia mancanza ed inadeguatezza motivazionale circa la idoneità causale esclusiva o meno della condotta di V.M., che ha sollevato con le barre del mezzo che guidava le rampe sopra le quali era G.B., facendolo ribaltare, sia mancanza ovvero grave inadeguatezza motivazionale per quanto riguarda il motivo di appello incentrato sulla concessione di una provvisionale a carico dei ricorrenti, oltre che dell’imputato A.T.”.
Le indicazioni della Corte di Cassazione
I motivi di merito e i presupposto delle responsabilità ricostruite nei ricorsi “non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, che valorizza la circostanza – che risulta tranciante – che le assi di alluminio”, che erano di proprietà della YYY (il cui amministratore unico era A.T.), “in concreto messe a disposizione degli operai e dagli stessi adoperate per far salire il muletto sul camion, erano dall’origine prive di sistemi di aggancio, ergo, erano in sé oggettivamente pericolose”.
E gli argomenti svolti dai ricorrenti per sostenere “l’interruzione del nesso causale, poi, sono tutti meramente assertivi ma indimostrati: inoltre, si osserva che per ciascuno di essi si rinviene adeguata spiegazione da parte dei Giudici di merito”.
La Corte, che si sofferma poi anche su altri motivi (in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla provvisionale) in definitiva, come conseguenza delle considerazioni svolte, “rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali”.
Tiziano Menduto
Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:
Fonti: olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it