Disponibile una nuova area del sito PAF che spiega in modo dettagliato cosa sono le radiazioni ionizzanti di origine artificiale, i rischi e i settori lavorativi esposti in modo diretto e indiretto.
Il sito PAF (Portale Agenti Fisici) ha reso disponibile una nuova sezione dedicata alle Radiazioni Ionizzanti di origine artificiale.
La sezione è in continuo sviluppo e aggiornamento alla luce delle importanti novità che verranno introdotte con il recepimento della DIRETTIVA 2013/59/EURATOM del 5 dicembre 2013 e spiega in modo dettagliato:
- cosa sono le radiazioni ionizzanti di origine artificiale
- le due differenti tipologie di sorgenti di radiazioni
- gli effetti delle radiazioni sull’uomo
- le grandezze e le unità di misura usate in radioprotezione
- Le attività umane che implicano l’uso delle radiazioni ionizzanti di origine artificiale
Cosa sono le radiazioni ionizzanti di origine artificiale
Le radiazioni ionizzanti sono, per definizione, radiazioni elettromagnetiche o corpuscolari dotate di sufficiente energia per “ionizzare” la materia che attraversano, ovvero strappare elettroni ad atomi o molecole. L’effetto di questa ionizzazione è di rompere i legami atomici e molecolari, degradando le macromolecole che costituiscono la base dell’organismo umano.
Le radiazioni ionizzanti possono essere costituite o da particelle sub-atomiche ( es. particelle alfa, beta, neutroni) che si muovono con velocità elevate, spesso prossime alla velocità della luce (radiazioni corpuscolari), o da radiazioni elettromagnetiche, costituite da fotoni che si propagano alla velocità della luce (raggi X e raggi gamma).
Considerato che le energie di soglia dei processi di ionizzazione sono di alcuni eV (elettron Volt), le radiazioni elettromagnetiche in grado di produrre ionizzazione nella materia sono unicamente i raggi ultravioletti di alta frequenza (UVC), i raggi X e i raggi gamma.
Le due differenti tipologie di sorgenti di radiazioni
Le sorgenti di radiazioni ionizzanti di origine artificiale sono di due differenti tipologie:
SORGENTI RADIOATTIVE
Numerosi elementi esistenti in natura, o prodotti artificialmente in laboratorio mediante reazioni nucleari, sono costituiti da atomi i cui nuclei sono energeticamente instabili. Essi tendono a mutare la porpria natura trasformandosi in specie atomiche energeticamente stabili. Il ritorno alla stabilità avviene con emissione di radiazione corpuscolare (alfa o beta), spesso accompagnata da radiazione elettromagnetica (raggi gamma). I nuclei instabili si dicono radioattivi e il processo di emissione di radiazione viene detta decadimento radioattivo o radioattività.
Il fenomeno è regolato dalla fondamentale legge del decadimento radioattivo secondo la quale, per ogni radionuclide, deve trascorrere un tempo caratteristico (tempo di dimezzamento) affinchè il numero di nuclei radioattivi presenti si dimezzi. Il tempo di dimezzamento può essere compreso tra le frazioni di secondo e i milioni di anni.
Le particelle alfa che vengono emesse nei decadimenti radioattivi sono costituite da due neutroni e due protoni, e sono pertanto atomi di elio doppiamente ionizzati.
Le particelle beta sono emesse nei decadimenti radioattivi dei nuclei atomici instabili: sono o elettroni o positroni, questi ultimi del tutto simili agli elettroni atomici, ma dotati di carica elettrica positiva.
I neutroni sono invece emessi nella disintegrazione spontanea di elementi pesanti prodotti artificialmente e nelle reazioni nucleari.Un nucleo non stabile è destinato a decadere in un altro nucleo con minore massa mediante l’emissione di una radiazione. Il decadimento radioattivo è un insieme di processi tramite i quali dei nuclei atomici instabili (nuclidi) emettono particelle subatomiche per raggiungere uno stato più stabile. Il processo di decadimento radioattivo si accompagna all’emissione di radiazione elettromagnetica (raggi gamma) associata alla diseccitazione dei nuclei instabili. Ciascun radionuclide si caratterizza per il tipo di radiazioni emesse (alfa, beta, gamma, neutroni), l’energia delle radiazioni emesse e per il tempo di dimezzamento.
Il numero di disintegrazioni che avvengono nell’unità di tempo in una data quantità di materiale radioattivo costituisce la sua attività.
L’attività si misura in Bequerel (Bq), in omaggio allo scienziato che scoprì il fenomeno:
1 Bq=1 disintegrazione al secondo.
Quando l’attività è riferita alla contaminazione presente su una superfice, si suole esprimerla in Bq per unità di area (Bq/cm2), quando invece è riferita a un volume, si pensi ad esempio alla contaminazione dell’aria, si parla di Bq per unità di volume (Bq/cm3). Allo stesso modo, nel caso di contaminazione di matrici (per es. alimenti, suolo, etc.), ci si riferisce all’attività per unità di massa (Bq/kg). Vengono spesso utilizzati multipli o sottomultipli del Bequerel. Ad esempio, esprimendo in Bequerel la radioattività contenuta nel reattore di Chernobyl al momento del disastro si ottiene il valore 280.000.000.000.000.000 Bq, ovvero 28 seguito da sedici zeri. In casi simili, per semplificare la scrittura e per migliorare la leggibilità del dato, si ricorre alla notazione esponenziale, esprimendo il dato stesso attraverso le potenze di 10. Con questa notazione lo stesso valore esemplificato in precedenza può essere espresso come 2,8×1017 Bq: l’esponente di 10 indica il numero delle posizioni di cui occorre spostare la virgola verso destra per avere il valore esplicito del dato.
Analogamente, per esprimere valori molto piccoli rispetto all’unità di misura si impiegano le potenze di 10 con esponente negativo.
Le radiazioni ionizzanti propagandosi nello spazio possono incontrare materia vivente e non, con la quale interagiscono. I meccanismi di interazione sono diversi a seconda del tipo di radiazione, della sua energia e delle caratteristiche del materiale attraversato. Ne segue una diversa capacità di penetrazione dei vari tipi di radiazioni nei vari materiali.
Le particelle alfa si caratterizzano per la produzione di una elevata densità di ionizzazione lungo le loro tracce. Il percorso nella materia di queste particelle è quindi sempre assai modesto. Esse possono essere arrestate in meno di 10 cm di aria oppure da un semplice foglio di carta. Solo se hanno una energia maggiore di circa 7 MeV sono in grado di superare lo spessore di 70 micrometri di tessuto e possono quindi raggiungere lo strato germinativo della cute. Non sono pertanto molto pericolose fin quando la sorgente resta al di fuori dell’organismo umano (irradiazione esterna), in quanto poco penetranti e facilmente schermabili. Diventano invece estremamente pericolose, una volta introdotte nell’organismo (irradiazione interna), in quanto tutta la loro energia viene allora ceduta agli organi e tessuti interni del corpo umano, tipicamente per inalazione o ingestione.
E’ utile menzionare che materiali isolanti come le plastiche, quando sono colpiti da radiazioni densamente ionizzanti come le particelle alfa, diventano nel tempo fragili e pulverulenti (danno da radiazioni nei materiali). Questo problema è da tener presente, ad esempio, nelle sorgenti alfa emittenti da laboratorio, che devono essere periodicamente sostituite, a causa del danneggiamento subito dal sottile strato di plastica con il quale vengono sigillate.
Anche le particelle beta e gli elettroni hanno una modesta capacità di penetrazione nella materia, ma i loro percorsi sono comunque assai maggiori di quelli delle particelle cariche pesanti. Elettroni da 1 MeV sono arrestati in 4 metri di aria o in 4 mm di acqua. Solo particelle con energie maggiori di 70 keV riescono a raggiungere lo strato germinativo della cute.
Quando si vogliono schermare le sorgenti di elettroni, conviene introdurre un primo strato di materiale leggero, al fine di ridurre l’intensità dei raggi X di frenamento che queste particelle producono, cui far seguire un successivo strato di materiale pesante per ridurre i raggi X prodotti. Per gli elettroni positivi (positroni) bisogna inoltre tener presente la produzione di fotoni da 0,511 MeV nei processi di annichilazione.
Le sorgenti radioattive possono portare ad IRRADIAZIONE ESTERNA ED IRRADIAZIONE INTERNA
Si parla di irradiazione o esposizione esterna quando la sorgente di radiazioni resta all’esterno del corpo umano. Quando la sorgente viene invece introdotta nell’organismo (contaminazione interna) si parla di irradiazione o esposizione interna.
La contaminazione interna può verificarsi tutte le volte che si manipolano sorgenti non sigillate, sorgenti cioè prive di un involucro inerte o, se presente, non tale da prevenire, in condizioni normali di impiego, la dispersione delle materie radioattive.
Si fa presente che la contaminazione interna ha una durata che dipende dal tempo di dimezzamento del radioisotopo introdotto nel corpo, che segue il metabolismo della propria specie chimica, fissandosi negli organi e nei tessuti del corpo (organi bersaglio) per un periodo di tempo che può essere di poche ore o giorni – come nel caso dei radioisotopi ad emivita breve utilizzati nelle indagini di diagnosica in medicina nucleare – oppure di diverse decine e centinaia di anni, a seconda del tempo di dimezzamento dell’isotopo incorporato.
Viceversa le sorgenti sigillate, cioè le sorgenti radioattive contenute in speciali involucri ed apparati tali da non causare nelle appropriate condizioni di impiego alcun tipo di contaminazione radioattiva, determinano esclusivamente irradiazione esterna. I provvedimenti da adottare per ridurre l’esposizione e quindi le dosi ricevute sono piuttosto semplici, e sono gli stessi di quelli adottati per qualsiasi tubo a raggi X.
Le regole sopra indicate restano valide, per quanto applicabili, anche nel caso della manipolazione di sorgenti non sigillate. Ad esse si devono però aggiungere appropriate procedure di igiene del lavoro (uso di indumenti protettivi, barriere di contenimento, idonee norme comportamentali e metodiche di lavoro etc.) che rendano di fatto del tutto improbabile la contaminazione dell’organismo umano: fino dai tempi del progetto Manhattan apparve infatti evidente che l’unico provvedimento di radioprotezione realmente efficace a proposito di introduzione della radioattività nell’organismo umano è quello di non introdurne affatto!
TUBI A RAGGI X
L’impiego di sorgenti artificiali di raggi X – quali ad esempio le apparecchiature radiogene – comporta un rischio di esposizione esterna per irraggiamento.
In questi casi le fonti di rischio (Figura 1) sono rappresentate dalla:
- radiazione primaria: radiazione emessa direttamente dal tubo RX e utilizzata a fini diagnostici;
- radiazione diffusa: radiazione diffusa dal paziente a seguito dell’interazione del fascio primario con il paziente stesso;
- radiazione di fuga: radiazione emergente durante il funzionamento del tubo radiogeno dalla cuffia schermante che lo avvolge, emessa in tutte le direzioni esclusa quella della radiazione primaria.
figura 1
In sintesi, possiamo dire che le macchine radiogene si comportano come una lampadina elettrica:
-
se “spente”, ovvero non funzionanti, non emettono radiazioni e non rappresentano un pericolo;
-
se accese, ovvero funzionanti, generano radiazioni ionizzanti e possono comportare un rischio di esposizione esterna per gli operatori.
Per ridurre l’esposizione e, quindi, le dosi ricevute dall’operatore, è necessario agire su tre parametri fondamentali:
-
il tempo di stazionamento in prossimità della sorgente;
-
la distanza tra sorgente e persona esposta;
-
le schermature.
figura 2
I primi due parametri sono semplici da considerare mentre il terzo costituisce una vera e propria materia di studio dell’interazione radiazione-materia.
L’effetto delle radiazioni sul corpo è di tipo cumulativo: più tempo si rimane esposti e più aumentano le probabilità che le conseguenze siano dannose.
La dose assorbita, ovvero l’energia depositata dalla radiazione in un elemento di massa del corpo umano e, di conseguenza, il rischio radiologico aumenta con il tempo di esposizione.
È, pertanto, necessario effettuare le operazioni in un campo di radiazioni il più brevemente possibile.
La distanza è molto efficace nell’attenuare l’effetto delle radiazioni ionizzanti emesse da una sorgente di raggi X. La radiazione emessa da un punto si propaga nello spazio in modo uniforme distribuendo la sua energia su superfici sferiche concentriche. L’energia totale su ogni superficie, ovvero quella che determina in pratica la dose assorbita, diminuisce in modo inversamente proporzionale all’aumento della superficie sferica. Poiché la superficie di una sfera è data da 4πr2, la dose dipenderà dall’inverso del quadrato della distanza r dall’origine della radiazione (Figura 3).
Figura 3
Gli effetti delle radiazioni sull’uomo
Le radiazioni ionizzanti quando interagiscono con la materia vivente possono trasferire energia alle molecole delle strutture cellulari, danneggiando in maniera temporanea o permanente le funzioni delle cellule stesse.
Gli effetti delle radiazioni sull’uomo vengono solitamente classificati in effetti somatici e genetici.
Gli effetti somatici sono quelli che interessano l’individuo stesso, mentre gli effetti genetici interessano il corredo genetico delle cellule riproduttive e, quindi, la prole.
La classificazione può essere basata anche sul periodo di latenza con cui si manifesta il danno in due categorie: effetti deterministici e stocastici.
Gli effetti deterministici sono dovuti in grande parte alla morte o a disfunzioni delle cellule, conseguenti ad irradiazioni acute (forte intensità e breve durata), quali quelle che si verificano nel caso di incidenti. Sono caratterizzati dall’esistenza di una dose-soglia cioè una dose al di sotto della quale quel determinato effetto non si verifica in alcun caso. Il superamento della dose-soglia comporta l’insorgenza dell’effetto in tutta la popolazione esposta.
È importante precisare che con il crescere della dose l’effetto assume un carattere di maggiore gravità sul piano sintomatologico, clinico e prognostico: aumentando la dose viene progressivamente ridotto il numero di cellule necessarie per consentire il continuo processo di ricambio cellulare che avviene normalmente nei tessuti e negli organi.
Gli effetti stocastici consistono in neolplasie ed effetti genetici che possono comportare lo sviluppo di un tumore negli individui esposti a causa della mutazione di cellule somatiche, o malattie ereditarie nella loro progenie, a seguito di mutazione di cellule riproduttive (germinali). Essi sono caratterizzati dall’assenza di una dose-soglia (assunzione di linearità senza soglia) e dal carattere probabilistico con cui avvengono: ad una dose di radiazione, per quanto piccola, è sempre associata una probabilità diversa da zero che l’effetto si verifichi.
E’ bene ricordare che tutte le radiazioni ionizzanti sono classificate dallo IARC nel GRUPPO 1 – Cancerogeni certi per l’uomo
In generale tutti gli effetti stocastici sono caratterizzati dal carattere probabilistico con cui avvengono e all’aumento di dose non corrisponde ad un aumento della gravità dell’effetto, ma un aumento della probabilità che un determinato effetto (cancro o mutazione genetica) possa verificarsi.
In conclusione si è visto che le radiazioni ionizzanti determinano effetti dannosi sugli organismi viventi. Tali effetti si dividono in “ereditari” (sulla generazione) e in “somatici” (sull’individuo esposto).
A loro volta questi ultimi si dividono in:
-
deterministici, che si manifestano per dosi relativamente elevate e su tutti gli individui esposti e in cui esiste una correlazione dose/effetto con un valore di soglia al di sotto del quale non si manifestano;
-
stocastici (con probabilità statistica), che si manifestano anche per dosi basse – ben al di sotto delle soglie di insorgenza degli effetti deterministici – e solo su alcuni individui esposti; per tali effetti non vi è un’apparente dose di soglia, l’entità del danno è indipendente dalla dose ricevuta; le caratteristiche dei tumori radioindotti sono identiche a quelle dei tumori di eziologia differente.
Le grandezze e le unità di misura usate in radioprotezione
Gli effetti delle radiazioni ionizzanti si manifestano soltanto allorchè si verifica una cessione di energia al mezzo attraversato.
In particolare la quantità misurata in dosimetria è la “dose assorbita”, D, definita come il quoziente tra l’energia media ceduta dalle radiazioni ionizzanti alla materia in un certo elemento di volume e la massa di materia contenuta in tale elemento di volume.
L’unità di misura della dose assorbita nel Sistema Internazionale è il Gray (Gy). Un gray corrisponde all’assorbimento di un joule in un kg di materia (1 Gy = 1 J/kg).
E’ tuttavia ancora talvolta usato, in dosimetria, il rad, unità di misura utilizzata in passato ed ormai obsoleta .
Per definizione:
1 Gy = 100 rad
Spesso vi è interesse a riferirsi alla dose assorbita per unità di tempo, ovvero all’intensità o rateo (tasso) di dose assorbita, che si misura in Gy/s, o più usualmente in qualche sottomultiplo di questa unità, come ad es. il mGy/h.
La dose assorbita non è per sua natura idonea a tener conto della diversità degli effetti indotti a parità di dose assorbita, a seconda della qualità della radiazione incidente, e non è da sola sufficiente a predire l’entità degli effetti dannosi.
Infatti il rischio derivante dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti non è solo proporzionale alla dose assorbita, ma è anche strettamente legato al tipo di radiazione incidente e alla radiosensibilità dei vari organi e tessuti irradiati.
Per tener conto della diversa pericolosità (potenzialità di indurre un danno ai tessuti biologici) delle differenti tipologie di radiazioni incidenti, si introduce il cosiddetto fattore di ponderazione della radiazione, wR. Si tratta di un parametro che tiene conto della differente pericolosità delle varie radiazioni – a parità di dose assorbita – rispetto alla radiazione di riferimento (fotoni), cui viene assegnato per definizione un coefficiente uguale a 1.
Il prodotto della dose assorbita in tessuto, D, per il fattore di ponderazione della radiazione, wR prende il nome di dose equivalente, H (Sievert)
H= wR D (Sievert – Sv)
La dose equivalente si misura in Sievert (Sv), e rappresenta la grandezza usata nell’ambito della legislazione italiana e degli standard protezionistici per definire i valori limite, nel caso di esposizioni omogenee del corpo.
In passato, quando si usava il rad per misurare la dose assorbita, la dose equivalente si misurava in rem. Per definizione:
1 Sv = 100 rem
Nel caso dei fotoni e degli elettroni, wR=1, e la dose assorbita di un Gray corrisponde all’equivalente di dose di un Sv.
Sulla base degli esiti degli studi epidemiologici e di radiobiologia si è osservato che, a parità di dose assorbita, le particelle alfa con energia di alcuni MeV, producono un danno biologico 20 volte maggiore dei fotoni (cfr. paragrafo successivo). Pertanto, a queste particelle, è stato assegnato un wR =20. Anche i neutroni sono più pericolosi dei fotoni e si assume per essi un wR compreso tra 5 e 20 a seconda della loro energia. Si parla di intensità o rateo (tasso) di dose equivalente quando ci si riferisce alla dose equivalente ricevuta nell’unità di tempo. Esso si esprime in Sv.s-1 o più comunemente in mSv h-1
Per tener conto della diversa radiosensibilità dei diversi organi e tessuti del corpo umano per gli effetti stocastici, si introduce la dose equivalente efficace, E, somma delle dosi equivalenti efficaci nei diversi organi e tessuti, HT, ciascuno moltiplicato per un fattore di ponderazione, wT, che tiene appunto conto della diversa radiosensibilità degli organi irraggiati. Questa grandezza è stata definita per tenere conto del diverso effetto sui vari tessuti o organi della radiazione, tramite un fattore che tiene conto della risposta di ciascun organo (o tessuto) alla determinata radiazione.
Anche l’equivalente di dose efficace, per mezzo del quale si stabiliscono i limiti per le esposizioni non omogenee, si esprime in Sv.
Nel caso dell’introduzione di radionuclidi nel corpo umano (contaminazione interna) si deve tener conto che l’irraggiamento si protrarrà fin quando il radionuclide introdotto è presente nel corpo. La dose ricevuta da un certo organo o tessuto in tale periodo prende il nome di dose equivalente impegnata. Nel caso dei lavoratori il calcolo della dose impegnata viene effettuato cautelativamente su un periodo di 50 anni a partire dall’introduzione.
Le attività umane e le applicazioni che implicano l’uso diretto o indiretto delle radiazioni ionizzanti di origine artificiale sono molteplici.
Le più significative riguardano la medicina, la produzione di energia, la ricerca scientifica e tecnologica, l’industria in senso lato, l’agricoltura e l’industria alimentare, la geologia e la prospezione mineraria, le applicazioni ambientali.
La produzione di energia elettronucleare
I reattori nucleari sono basati sulla reazione di fissione nucleare a catena indotta da neutroni nell’uranio-235 e nel plutonio-239. Da questa reazione si sviluppano notevoli quantità di calore, che è utilizzato per produrre (direttamente o indirettamente) vapore e, attraverso l’espansione di questo nelle turbine di un gruppo turbo-alternatore, energia elettrica.
In seguito alle decisioni di politica energetica assunte dal Governo e dal Parlamento, l’Italia ha rinunciato alla produzione elettronucleare, e ha deciso la dismissione delle centrali e lo smantellamento degli impianti del ciclo del combustibile esistenti sul territorio nazionale. E’ comunque sempre necessario gestire problematiche di rilevante entità radioprotezionistica legate alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti in passato dal funzionamento delle centrali che sono state dismesse e/o derivanti dallo smantellamento delle stesse. Inoltre lo sfruttamento dell’energia nucleare prosegue in numerosi paesi, alcuni molto vicini all’Italia, pertanto le problematiche di radioprotezione inerenti tale settore sono sempre rilevanti ed attuali.
Le applicazioni mediche
Attualmente gli usi medici costituiscono la maggiore fonte di esposizione dell’uomo alle radiazioni artificiali. Ovviamente le dosi individuali variano enormemente da zero, per coloro che non sono mai stati sottoposti ad esami radiologici, a un valore pari a molte migliaia di volte la radiazione annuale media da radiazioni naturali. I raggi X usati in diagnostica sono la forma più comune di radiazioni usate a scopo medico: alcuni dati provenienti dai paesi industrializzati indicano valori che variano da 300 a 600 esami ogni 1000 abitanti, escludendo dal computo radiografie dentali.
Numerose istituzioni nazionali ed internazionali hanno emanato linee guida e protocolli che, se applicati correttamente, dovrebbero consentire una riduzione delle dosi superflue nei pazienti sottoposti a raggi X; purtroppo indagini effettuate a livello nazionale ed internazionale mostrano che spesso il ricorso ad esami radiologici non è giustificato in relazione alla risoluzione del quesito diagnostico; inoltre le dosi variano ampiamente da ospedale ad ospedale, anche nella stessa regione, con dosi ricevute dal paziente, per lo stesso esame radiologico, che variano fino a fattori cento. Da tali indagini risulta inoltre che la parte del corpo irradiata risulta -in taluni casi – fino a due volte più ampia del necessario.
Va detto che la probabilità di danno per il paziente nel caso dei comuni esami radiologici è relativamente bassa. Ad esempio nel caso di un esame alla colonna – tratto lombosacrale nella proiezione antero posteriore abbiamo tipicamente circa 50 probabilità su un milione di produrre un tumore, 10 probabilità su un milione di produrre danni ereditari ed altrettanto di indurre gravi deficienze nell’ embrione (nel caso di donna in gravidanza): per quanto bassi essi siano, sono comunque valori da rapportare al beneficio indotto dalla possibile risoluzione del quesito diagnostico. Una probabilità di danno, per quanto piccola, è indebita se non correttamente giustificata. Per inquadrare correttamente il problema del rischio per la popolazione nel suo insieme, bisogna considerare che in Italia, ogni anno, si eseguono oltre 100 milioni di esami con impiego di radiazioni ionizzanti; quindi, mediamente, è possibile ipotizzare diverse migliaia di tumori per anno indotti dalla radiodiagnostica e molte centinaia di danni ereditari gravi. L’ impiego di apparecchiature efficienti, l’uso di adeguati parametri tecnici, l’impiego delle radiazioni ionizzanti solo quando realmente necessario, così come richiesto dalla vigente normativa in materia di radioprotezione del paziente (D.lgs 187/2000) può ridurre notevolmente il rischio associato alla pratica radiologica.
Le applicazioni mediche delle radiazioni appartengono a due categorie fondamentali: la radiodiagnostica e la radioterapia.
In ambito diagnostico sono usati i raggi X nella diagnostica radiologica e nella TAC; nella MOC si utilizzano o tubi RX o sorgenti radioattive sigillate.
Sono invece utilizzati radiocomposti somministrati al paziente (sorgenti non sigillate) per la visualizzazione delle immagini di organi e tessuti in scintigrafia nucleare e nella PET. Con le tecniche diagnostiche multimodali (PET/CT, PET/MR e SPECT/CT) si utilizzano radiofarmaci per aggiungere alle informazioni anatomiche e morfostrutturali proprie delle indagini radiologiche (TC e RM), informazioni legate al metabolismo cellulare, alla modulazione di recettori specifici consentendo di definire le malattie non più per la disfunzione di organi o apparati o singole linee cellulari ma documentando a livello molecolare l’alterazione che induce un processo patologico.
La radioterapia, che sfrutta la capacità delle radiazioni di distruggere i tessuti patologici, è ampiamente utilizzata soprattutto per la cura del cancro. La Radioterapia sfrutta la capacità delle radiazioni di essere concentrate in zone abbastanza piccole permettendo di distruggere le cellule malate con una notevole precisione e riducendo l’impatto degli interventi chirurgici. Oltre alle tecniche di uso consolidato già menzionate, si sono sviluppate negli ultimi anni tecniche radioterapeutiche, basate sull’attivazione di sostanze aventi la proprietà di concentrarsi nei tessuti patologici. Le cellule cancerose vengono in tal modo irradiate selettivamente, interessando in minima parte i tessuti circostanti.
Infine alcuni radiofarmaci utilizzati in diagnostica sono utilizzati nella Chirurgia Radioguidata: grazie a una sonda di rilevazione della radioattività il chirurgo può effettuare un’esplorazione del campo operatorio al fine di localizzare piccole strutture non altrimenti rilevabili alla vista e al tatto (Biopsia del linfonodo sentinella , ROLL-Radioguided Occult Lesion Localization, Chirurgia mini-invasiva delle paratiroidi).
Le applicazioni agrobiologiche
L’uso delle radiazioni ionizzanti trova impiego nello sviluppo di tecniche antiparassitarie e di fertilizzazione comunemente impiegate in agricoltura. Le radiazioni ionizzanti sono utilizzate anche nell’industria agroalimentare sottoponendo a irraggiamento le derrate per la distruzione di insetti, muffe e batteri responsabili del loro deperimento o per finalità antigerminative.
Le applicazioni industriali
Un’applicazione molto diffusa delle radiazioni ionizzanti in ambito industriale riguarda le radiografie industriali, che prevedono l’impiego di intensi fasci di raggi X prodotti da tubi a raggi X o di raggi gamma -prodotti da sorgenti radioattive sigillate- per radiografare componenti meccanici, per assicurare la qualità delle fusioni e delle saldature e per verificare l’integrità di componenti impiantistici di elevato spessore rilevanti ai fini della sicurezza.
Un’altra categoria di applicazioni è quella dei sistemi di misura e di analisi on-line attraverso l’emissione di radiazioni beta e attraverso l’attivazione neutronica. Emettitori di particelle beta sono diffusamente utilizzati nell’industria cartaria per la misurazione dello spessore dei fogli di carta durante il processo di fabbricazione. Sorgenti di neutroni sono utilizzate presso gli impianti termoelettrici per quantificare in tempo reale il contenuto di silicio, ferro, alluminio, zolfo e calcio del carbone, onde valutare preventivamente l’emissione di inquinanti conseguente alla combustione. Traccianti radioattivi dispersi nell’olio di lubrificazione dei motori di nuova progettazione e costruzione consentono, nella fase di ingegnerizzazione, di quantificarne sul banco di prova il consumo di olio attraverso la rilevazione dei traccianti nei gas di scarico.
Le radiazioni ionizzanti sono altresì impiegate per modificarne opportunamente le caratteristiche superficiali e di massa dei materiali. Il flusso neutronico prodotto da reattori nucleari trova impiego nella produzione di materiali semiconduttori per l’industria elettronica o per alimentare processi di radiografia neutronica. L’irraggiamento con intensi fasci di ioni può conferire ai materiali proprietà superficiali diverse da quelle di massa.
Un’altra categoria di applicazioni è legata all’impiego degli acceleratori di particelle. Tipiche sono le applicazioni alla produzione di materiali polimerici usati per la produzione di isolanti elettrici, nastri adesivi, pneumatici, lenti a contatto etc.
Una applicazione ampiamente diffusa è infine la sterilizzazione di materiali sanitari e presidi chirurgici mediante impianti di sterilizzazione con sorgenti radioisotopiche o acceleratori di elettroni.
Le applicazioni ambientali
L’uso dei traccianti radioattivi consente di monitorare la dispersione e la diffusione degli inquinanti. Mescolando ai combustibili piccole quantità di traccianti è possibile verificare l’efficienza dei sistemi di captazione delle ceneri e di depurazione dei fumi. Le radiazioni trovano anche impiego nella sterilizzazione dei fanghi di risulta degli impianti di depurazione. L’uso dei traccianti consente inoltre di studiare la mappatura delle falde acquifere e delle risorse idriche sotterranee, di analizzare e misurare l’accumulo dei sedimenti sul fondo marino, di seguire il corso delle correnti oceaniche e atmosferiche e di misurare il tasso di accumulo dei ghiacci nelle calotte polari.
Geologia e prospezione mineraria
La geologia e la prospezione mineraria sono due settori nei quali le radiazioni trovano applicazioni di notevole interesse. La presenza di radioisotopi a vita lunga nei minerali consente di datare con buona approssimazione le formazioni geologiche, ricavando informazioni preziose per la ricerca di minerali. La stratigrafia per attivazione neutronica è invece una tecnica molto utilizzata nell’industria petrolifera per determinare la composizione degli strati geologici attraversati da una perforazione di sondaggio. Facendo scorrere lungo la perforazione una sorgente di neutroni e misurando successivamente la “risposta” dei materiali irradiati si ricavano infatti informazioni molto dettagliate sulla composizione degli strati attraversati.
Applicazioni relative alla sicurezza
Le radiazioni trovano un campo di impiego significativo in alcune applicazioni relative alla sicurezza. Molto diffuso è ad esempio il controllo del contenuto dei bagagli negli aeroporti, effettuato con stazioni radiografiche che impiegano raggi X a bassa intensità.
Un’altra applicazione molto diffusa in passato e in fase di completa dismissione alla luce della vigente normativa (in quanto in genere non conforme al principio di giustificazione della pratica) è rappresentata dai rivelatori di fumo degli impianti antincendio a camera di ionizzazione, basati sull’impiego di emettitori alfa.
Analisi e Ricerca
Quella della ricerca scientifica e tecnologica costituisce un’area di estesa applicazione della radioattività e delle radiazioni ionizzanti, sia come argomento di studio sia come strumento di indagine.
I fenomeni e le reazioni nucleari sono argomento di studio nella fisica nucleare e subnucleare fondamentale, con particolare riferimento alle ricerche sulla composizione intima della materia (nelle quali si fa uso estensivo di acceleratori e rivelatori di grandi dimensioni) e alle ricerche sull’utilizzazione dell’energia nucleare (sistemi a fissione e a fusione).
La radioattività è impiegata estesamente anche come strumento di indagine. Alcuni esempi sono stati già citati a proposito delle applicazioni descritte in precedenza. In generale, l’uso di traccianti radioattivi consente di studiare nel dettaglio i meccanismi che presiedono ai processi chimici, chimico-fisici e biologici seguendo strumentalmente gli spostamenti e le successive combinazioni di atomi e molecole opportunamente “marcati”.
L’analisi per attivazione neutronica è utilizzata in medicina legale per determinare la presenza in un campione di taluni elementi, fra i quali l’arsenico.
Numerosi fenomeni indotti da raggi X o da elettroni accelerati fino ad energie comprese tra alcune decine ed alcune centinaia di keV sono impiegati in strumentazione impiegata per analisi soprattutto nel campo della struttura dei materiali (microscopia elettronica o a raggi X, diffrattometria, analisi per fluorescenza, ecc.).
Fonte: PAF