normativeE’ dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili che, se pure non in grado di impedire eventi criminosi a danno dei lavoratori, possano svolgere un’azione dissuasiva. Di G.Porreca.

La sentenza in esame si occupa di un caso più volte dibattuto e già oggetto di precedenti espressioni della suprema Corte e cioè della mancanza in un ufficio postale di qualsivoglia misura specifica atta ad impedire, a prevenire o comunque a rendere più difficoltoso il realizzarsi di una rapina ai danni dell’ufficio stesso, non essendovi installato alcun sistema di allarme rivolto all’esterno ma solo una protezione del banco cassa con vetro antisfondamento. È dovere del datore di lavoro, ha sostenuto in questa sentenza la suprema Corte, apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili per impedire eventi criminosi a danno dei lavoratori che, se pure non in grado di impedire il loro verificarsi, possano comunque svolgere un’azione dissuasiva e quindi preventiva e protettiva. L’articolo 2087 del Codice civile, infatti, rende necessaria l’installazione di adeguati mezzi necessari a tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti di eventi criminosi nei casi in cui siano prevedibili episodi di aggressione a scopo di lucro perché insiti nel tipo di attività nelle quali è prevista la movimentazione di somme di denaro specie se, come nel caso in esame, si è già registrato il verificarsi di tali episodi.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il direttore di un ufficio postale, che aveva subito due rapine restando in entrambe le occasioni in balia dei rapinatori armati di pistola, avendo dedotto che da tali eventi gli era derivata una malattia psichica, ha ricorso al Tribunale denunciando la responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell’art. 2087 c.c. per avere omesso di dotare l’ufficio presso il quale prestava la sua attività di appropriate difese in grado di proteggere i dipendenti durante lo svolgimento del servizio ed ha quindi chiesto al Tribunale stesso la condanna della società al risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute. Instaurato il contraddittorio, il giudice monocratico ha condannato la società che gestiva l’ufficio al risarcimento del danno subito dal direttore, danno determinato, a seguito di CTU, nella misura complessiva di euro 17.500,00, oltre accessori e spese.

La Corte di Appello ha successivamente respinto l’appello della società, confermando la responsabilità datoriale per violazione dell’art. 2087 c.c. non avendo la stessa provveduto a dotare l’ufficio postale di “qualsivoglia dispositivo di sicurezza funzionale alla protezione del personale addetto durante l’orario di servizio”, neanche dopo la prima rapina a mano armata ed ha condiviso altresì la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dal primo giudice sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio ed applicando le tabelle in uso nell’ufficio giudiziario.

Il ricorso in Cassazione, le motivazioni e le decisioni della suprema Corte
La società ha proposto ricorso per cassazione sostenendo fra le altre motivazioni di avere assolto a tutti gli obblighi di legge su di essa incombenti, in quanto le ridotte dimensioni dell’ufficio in argomento e la scarsa dotazione di denaro escludevano che l’evento rapina avesse un grado di probabilità apprezzabile ai fini della configurabilità di un obbligo da parte della datrice di lavoro di apprestare particolari misure di sicurezza, ulteriori rispetto a quelle già apprestate. Il ricorrente ha sostenuto, inoltre, che la Corte di Appello avrebbe condiviso l’elaborato peritale, nonostante la consulenza tecnica d’ufficio non avesse compiuto alcun esame specifico circa la derivazione causale della patologia del direttore dagli eventi delittuosi.

Il ricorso non è stato accolto dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha fatto presente che di recente ha avuto modo di statuire proprio in riferimento a rapine presso uffici postali (v. Cass. n. 23793 del 2015 e n. 7405 del 2015), che l’art. 2087 c.c. rende necessario l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell’attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale.

In particolare la Corte ha cassato in passato una sentenza della Corte di Appello che aveva negato il nesso causale tra la verificazione degli eventi criminosi e la mancata adozione di qualsivoglia misura specificamente diretta ad impedire, prevenire o comunque rendere più difficoltoso il realizzarsi di rapine ai danni di un ufficio postale di ridotte dimensioni, presso il quale non vi era alcun sistema di allarme rivolto all’esterno, ma solo una protezione del banco cassa con vetro antisfondamento (Cass. n. 7405/15 cit.), come pure ha respinto il ricorso della società di gestione dell’ufficio postale in un caso in cui gli unici accorgimenti contro il rischio di rapine erano costituiti da sbarre alle finestre, pareti esterne a spessore rinforzato ed istruzioni affinché il personale dell’ufficio non opponesse resistenza alcuna (Cass. n. 23793/15).

E’ analoga, secondo la Sezione Lavoro, la situazione che è stata accertata dai giudici di merito nel caso in esame, secondo cui la società non ha provveduto a dotare l’ufficio postale di “qualsivoglia dispositivo di sicurezza funzionale alla protezione del personale addetto durante l’orario di servizio”, neanche dopo la prima rapina a mano armata, “tali non essendo, di certo, le inferriate alle finestre ed il maggiore spessore dei muri esterni, volti ad evitare intrusioni durante la chiusura al pubblico dell’ufficio”.

Ciò posto, la Corte di Cassazione ha ribadito che “è dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa di riferimento o comunque esigibili secondo la tecnologia del momento, il che non significa che tali mezzi debbano essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi siano idonei, secondo criteri di comune esperienza, a svolgere una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva”.

“Inoltre”, ha così concluso la suprema Corte, “se è vero che dall’art. 2087 c.c. non può evincersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni qual volta si verifichi un danno, nondimeno nel caso di specie i giudici di merito hanno in concreto individuato (v. pag. 5 della sentenza impugnata) svariati accorgimenti suggeriti dalla tecnica al giorno d’oggi disponibile al fine di prevenire il rischio di rapine, evidenziando che nessuno di essi era stato adottato presso l’ufficio postale in argomento”. Pertanto in definitiva, coerente con i principi innanzi espressi, la sentenza della Corte di Appello si sottrae alle censure che le sono state mosse.

Gerardo Porreca

Corte di Cassazione – Civile Sezione Lavoro – Sentenza n. 3424 del 22 febbraio 2016 (u.p. 15 dicembre 2015) – Pres. Macioce – Rel. Amendola – Ricor. V.T.. – E’ dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili per impedire eventi criminosi a danno dei lavoratori che, se pure non in grado di impedire il loro verificarsi, possano svolgere un’azione dissuasiva.

Fonmti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it