Le caratteristiche del delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni e le sue applicazioni in presenza o in assenza di infortunio: principi e casi giurisprudenziali tratti dalle sentenze di Cassazione.
Come noto, i delitti in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, principalmente di natura colposa, laddove la colpa, ai sensi dell’art.43 del codice penale, è costituita da “negligenza o imprudenza o imperizia” (colpa generica) o “inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (colpa specifica) e l’evento – nei reati colposi – “anche se preveduto, non è voluto dall’agente”.
Non mancano tuttavia nel codice penale alcuni importanti reati dolosi che possono trovare applicazione a fronte di un infortunio o di una malattia professionale o, in alcuni casi, addirittura in assenza di tali eventi ma a fronte della creazione di un pericolo di verificazione degli stessi (es. art.437 comma 1 c.p.).
Va ricordato a questo proposito che, sempre secondo l’art.43 c.p., il delitto è doloso quando “l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.”
Analizziamo ora uno dei principali delitti dolosi che interessano l’ambito della salute e sicurezza sul lavoro – ovvero il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele antinfortunistiche di cui all’art.437 c.p. – e, a seguire e senza pretese di esaustività, una selezione di pronunce giurisprudenziali nelle quali esso è stato applicato dalla Cassazione Penale.
Occorre anzitutto premettere che l’articolo 437 (“Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro”), inserito all’interno del libro II, titolo VI (“Dei delitti contro l’incolumità pubblica”), capo I (“Dei delitti di comune pericolo mediante violenza”) del codice penale, prevede quanto segue:
“Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.
La giurisprudenza ci ricorda che “il delitto di cui all’art.437 c.p. si consuma con la consapevole “omissione” o “rimozione” di cui al comma 1, indipendentemente dal danno che ne derivi in concreto: qualora questo si verifichi nella forma di disastro o di infortunio, ricorre l’ipotesi più grave prevista dal comma secondo dello stesso articolo.” (Cassazione Penale, Sez. I, 20 aprile 2006 n.20370).
Dunque “il delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro è un delitto doloso di pericolo ove il pericolo consiste nella verificazione, in conseguenza della condotta di rimozione o di omissione, del disastro o dell’infortunio, che costituisce, secondo quanto previsto dall’art.437 c.p.p., comma 2, una circostanza aggravante.” (Cassazione Penale, Sez. I, 21 dicembre 2006 n.7337).
Analizziamo a questo punto alcune interessanti applicazioni giurisprudenziali.
Mancata dotazione di DPI per le vie respiratorie idonei nonostante le prescrizioni dell’ASL e condanna per omissione dolosa di cautele antinfortunistiche in assenza di infortunio
Con una pronuncia emanata qualche mese fa (Cass.Pen., Sez.I, 29 ottobre 2020 n.30011) la Cassazione ha confermato la condanna alla reclusione di un datore di lavoro che ha violato numerosi obblighi del D.Lgs.81/08 e, nei termini che vedremo, ha commesso il delitto di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche di cui all’art.437 c.p. che, come già sottolineato, al comma 1 è un reato “di pericolo” che si applica a prescindere dalla verificazione di un infortunio.
Una delle violazioni commesse dal ricorrente era dunque rappresentata dalla “mancata messa a disposizione dei dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie” per i lavoratori “che effettuavano saldature a filo continuo con sviluppo di fumi e gas”.
In questo caso, ai fini dell’ applicazione dell’art.437 c.p. – che è appunto un reato doloso – è stato dirimente il fatto che il datore di lavoro avesse “omesso di adottare dispositivi di protezione, di emergenza, di riparo […] nonostante espresse prescrizioni alla loro regolarizzazione emanate dallo Spresal dell’ASL”, laddove “la circostanza che le mascherine fornite in dotazione ai lavoratori fossero usurate non era certamente idonea a impedire la violazione, essendo i dispositivi inidonei”.
La Cassazione ha così ricordato, riguardo al “delitto previsto dall’art.437 cod. pen.”, che, “secondo il condiviso indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, ai fini della sua configurabilità è necessario che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno astratta, anche se non bisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro (così Sez.1, n.4890 del 23/1/2018, dep.2019, Prunas, Rv.276164; Sez.1, n.18168 del 20/1/2016, Antonini, Rv.266881).”
Nel caso di specie, “coerentemente con tale premessa, la sentenza impugnata ha rilevato che la condotta omissiva dell’imputato, consistita nella mancata adozione dei dispositivi di protezione, emergenza e riparo, destinati a prevenire infortuni sul lavoro, specie in relazione alle attrezzature meccaniche, persistente nonostante le espresse prescrizioni emanate in vista della loro regolarizzazione e, dunque, volontaria, integrasse un inadempimento sicuramente idoneo a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori addetti alle lavorazioni effettuate sui macchinari presenti nello stabilimento di…; e ciò indipendentemente dalla effettiva verificazione, a loro danno, di eventi infortunistici.”
Per un precedente giurisprudenziale in materia, si veda anche Cassazione Penale, Sez.I, 24 aprile 2008 n.17214 che ha confermato la condanna alla reclusione del datore di lavoro A.S. per il “reato di cui all’art.437 c.p., (omessa installazione di un impianto idoneo ad evitare il contatto dei lavoratori con le fiamme prodotte dal pantografo, e quindi destinato a prevenire infortuni sul lavoro come prescritto con verbale 26/5/2003 della ASL…)”.
In particolare la Corte d’Appello nella fattispecie aveva “rilevato che i tecnici del servizio PRESAL della ASL… avevano riscontrato la mancanza di un sistema automatico di spegnimento della fiamma in caso di accesso di persone nella zona di taglio ossiacetilenico del pantografo (installato presso la società F. s.r.l. di cui l’A. era amministratore unico) e che quest’ultimo non aveva provveduto ai prescritti lavori di messa in sicurezza dell’impianto entro il termine stabilito, pur continuando le lavorazioni per oltre un mese da tale termine, ha ritenuto che la condotta dell’ A. fosse stata sorretta da dolo e non da semplice colpa, avendo egli non solo e non tanto omesso di controllare la tempestiva esecuzione dei lavori da parte dell’elettricista incaricato ma consentito il mantenimento in funzione della macchina per tutto il periodo di tempo compreso tra il 29/6/2003 (data di scadenza del termine per i lavori di adeguamento) ed un imprecisato giorno di agosto, così volontariamente esponendo i dipendenti alla situazione di pericolo che gli era nota e che non era stata consapevolmente rimossa.”
Nel confermare la condanna di A.S,, la Cassazione ha chiarito che “il dolo nella fattispecie in disamina è correlato alla precisa consapevolezza della esistenza di una situazione di pericolo discendente dal funzionamento di un macchinario privo della cautela imposta e dalla volontà di accettare il rischio di infortunio, facendo funzionare il macchinario senza la cautela stessa (cfr. da ultimo: Cass. sent. n. 4675/2006)”.
Mancanza di adeguate impalcature e ponteggi in cantiere e caduta di un operaio: condanna dell’appaltatore per omissione dolosa di cautele antinfortunistiche a seguito di infortunio
In Cassazione Penale, Sez.IV, 26 febbraio 2014 n.9324, la Corte ha confermato la condanna alla pena della reclusione per il reato previsto dall’art.437 c.p. del datore di lavoro di una ditta appaltatrice dei “lavori di costruzione di una palazzina, in relazione ai quali era stato omesso di allestire adeguate impalcature o ponteggi e precauzioni atte a eliminare i pericoli di caduta dei lavoratori (effettivamente poi verificatasi […] derivandone lesioni gravi ai danni di un operaio impiegato nei predetti lavori).”
In particolare, “dalle risultanze delle attività di sopralluogo ed ispezione effettuate dai carabinieri e dall’ispettorato del lavoro, è emerso in modo inconfutabile che il cantiere ove avvenne l’incidente era totalmente privo delle minime garanzie di sicurezza, mancando il ponteggio di sicurezza, i parapetti, le tavole ferma piedi e che questa carenza era riconducibile ad una “deliberata scelta imprenditoriale di omissione dei presidi antinfortunistici con la piena consapevolezza del rischio causato”.
A fronte di tale quadro, secondo la Cassazione “la circostanza che i lavori fossero stati assegnati in subappalto ad altra ditta, non esonera il committente dalle responsabilità derivanti dall’omissione delle cautele predette, né di per sé vale a infirmare la riferita motivazione in punto di elemento soggettivo” (il dolo, n.d.r.).
La Corte ha infine chiarito che “l’art.437 c.p., non specifica le misure di prevenzione che sono obbligatorie ma implicitamente rinvia, mediante il richiamo a condotte di tipo omissivo, alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, sempre che quest’ultima riguardi “apparecchi, impianti e segnali”. Pertanto, diversamente dalla ipotesi commissiva, dove soggetto attivo del reato può essere chiunque, la forma omissiva riguarda esclusivamente i soggetti investiti dagli obblighi di collocare impianti, apparecchi e segnali diretti a prevenire infortuni sul lavoro.
Tra questi ultimi, in caso di subappalto, non vi è dubbio che debba annoverarsi anche l’appaltatore – subcommittente.”
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)