La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito i limiti e l’ambito in cui opera la responsabilità del datore di lavoro e quella del lavoratore per condotta anomala. Una rassegna a cura dell’Avv. Mauro Dalla Chiesa, ANMIL.
L’azione di responsabilità esperita dal lavoratore infortunato nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno differenziale è fondata sull’ articolo 2087 del codice civile.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito i limiti e l’ambito in cui opera la responsabilità del datore di lavoro (ex multis cass. civ. 9817 -2008):
La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 codice civile è di carattere contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell’art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 cod. civ., sull’inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno”.
“Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.
Ma quali sono i casi concreti in cui si può configurare la condotta anomala del lavoratore tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro? Segnaliamo alcuni casi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione:
1) un dipendente di un albergo in una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l’auto parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si era introdotto abusivamente in un’area di pertinenza di un attiguo albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale alla temperatura di circa 80 gradi. L’area era protetta da ringhiere metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna protezione all’interno dell’area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le vasche. In prossimità dell’area si trovavano segnali di pericolo. L’uomo, che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era incamminando lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella vasca e perdendovi la vita (Cass. Pen. Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985). La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori che ne emanavano e dal buio;
2) un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell’imprenditore deve essere esclusa allorché l’infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche (Sez. 4, n. 3510 del 10/11/1989,);
3) un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito la mano all’interno dell’apparato, “eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente”: per rimuovere residui di lavorazione, subendone l’amputazione. L’imputazione riguardava il reato di cui all’art. 590 cod. pen. in relazione all’art. 68 cit. per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d’appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di merito perché verificasse se l’incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l’operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l’operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell’operatore era totalmente assorbita nell’introduzione del legno nell’apparato (Cass. Pen. Sez. 4, n. 10733 del 25/09/1995).
La condotta colposa del lavoratore è stata, in altra pronuncia, ritenuta idonea ad escludere la responsabilità dell’imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure concretantesi nella inosservanza di precise norme antinfortunistiche (Cass. Pen. Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989). In alcune sentenze il principio è stato ribadito, e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine (Cass. Pen Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Cass. Pen. Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991); in altre si è sostenuto che l’inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o dall’estraneità alle mansioni attribuite (Cass. Pen. Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Cass. Pen. Sez. 4, n. 8676 del 14/06/1996), o dal carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Cass. Pen. Sez. 4, n. 2172 del 13/11/1984).
Se, dunque, da un lato, è stato posto l’accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l’inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro (Cass. Pen. Sez. 4, n. 3455 del 03/11/2004).
Peraltro la portata dell’esimente della responsabilità è stata chiarita da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione Penale Sezione IV^ n. 22247 del 2014 che espressamente delimita tale ipotesi di esclusione a casi marginali: Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione dei 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti. Pur non potendosi in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormità anche in ipotesi nelle quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ove la stessa sia consistita in un’azione radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi, comunque, residuale, non ricorre. Poiché incombe sul datore di lavoro il precipuo obbligo d’impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori, mediante utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l’uso obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, non ultimo, l’approntamento di personale di vigilanza capace di negare l’accesso a procedure pericolose, non v’è dubbio che l’imprudente scelta della vittima di rimuovere i tubolari e la protezione su uno dei lati della struttura, al fine di poter con maggior facilità liberarsi di materiali di risulta precipitandoli al suolo, ove i dispositivi di tutela fossero stati efficacemente approntati, non sarebbe stata attuata. Per queste ragioni, al contrario di quanto asserito in ricorso, la predisposizione ed attuazione del P.O.S. avrebbe scongiurato il sinistro mediante la predisposizione di efficaci strumenti dissuasivi e impeditivi. Condivisamente questa Corte ha avuto modo di affermare reiteratamente l’estrema rarità dell’ipotesi in cui possa affermarsi che possa configurarsi condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell’attività lavorativa, escludendolo tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez. IV, n. 952 del 27/11/1996; Sez. IV, n. 40164 del 3/6/2004; Sez. IV, n. 2614/07 del 26/10/2006).
Avv. Mauro Dalla Chiesa
Consulente Patronato ANMIL
Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it