Un intervento ad un seminario su cyber security e tecnostress si sofferma sulla fatica mentale, sul carico di lavoro mentale, sulla saturazione psicologica e sul burn out nei luoghi di lavoro. Quali sono gli effetti della fatica mentale?
Come ricordiamo spesso nei nostri articoli per tutelare efficacemente la salute e la sicurezza dei lavoratori è necessario conoscere l’ evoluzione del mondo del lavoro e, come ricordato in una nostra recente intervista sull’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT – Information and Communication Technology), l’evoluzione tecnologica è una condizione fondamentale dell’evoluzione e della rapidità dell’evoluzione che sta avvenendo negli ultimi anni all’interno del mercato del lavoro e del mondo del lavoro stesso.
Un’evoluzione che, al di là delle problematiche correlate alla cyber security e al cybercrime, può avere conseguenze negative sul benessere psicofisico dei lavoratori, sulla fatica mentale, favorendo eventuali errori o comportamenti disattenti che possono, a loro volta, esporre il lavoratore e l’azienda a eventuali attacchi informatici ed aumentare ulteriormente la tensione e lo stress.
Per cercare di comprendere cosa si possa intendere, nei luoghi di lavoro, per carico di lavoro mentale, saturazione psicologica e burn out, ci soffermiamo oggi su un intervento al seminario “ Cyber Security e tecnostress: come il cybercrime ha influenza sulla salute nei luoghi di lavoro” tenutosi lo scorso ottobre durante la manifestazione “Ambiente Lavoro”.
Questi gli argomenti presentati nell’articolo:
- Gli effetti della fatica mentale
- Il carico di lavoro mentale nei luoghi di lavoro
- La saturazione psicologica e il burn out
Gli effetti della fatica mentale
Nell’intervento “Sovraccarico cognitivo ed Errore Umano”, a cura del Dott. Massimo Servadio (Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa , Prof. a.c. Facoltà Medicina e Chirurgia-Università di Genova), si riporta innanzitutto la definizione di fatica mentale: “La fatica mentale dipende da un modello mentale che permette di percepire, interpretare e controllare i primi segnali di degradazione di ogni componente del sistema cognitivo umano e tale modello di fatica è influenzato da fattori culturali e dall’esperienza di lavoro” (Bagnara Rizzo, 1990).
Al di là della definizione, quali sono gli elementi della fatica mentale?
L’intervento ne riporta alcuni:
- “perturbazione funzionale, in un primo tempo reversibile, e poi, in caso di affaticamento cronico, irreversibile
- la diminuzione della soddisfazione del lavoro e quindi la demotivazione indotta
- le alterazioni del l’equilibrio personologico, con eventuali conseguenze sia sul piano psicopatologico (insorgenza di nevrosi), sia sul piano della somatizzazione (insorgenza di malattie psicosomatiche quali la colite, l’ulcera gastrica, l’asma bronchiale, ecc)”.
Questi, invece, gli effetti della fatica mentale:
- “Piano sensoriale o percettivo diminuzione dell’acuità visiva, della frequenza critica di fusione sia visiva che uditiva
- rallentamento delle esecuzioni sia in compiti tipo tracking (per esaminare la precisione della coordinazione motoria), sia in compiti legati ai tempi di reazione
- Irregolarità nella temporalizzazione dell’esecuzione, con tempi parziali in compiti che richiedono attività complesse di durata sempre diversa
- alterazione della coordinazione delle attività, risultante spesso nell’esecuzione di movimenti corretti in ordine errato
- una perdita di significato del compito che si esegue
- una netta diminuzione della memoria a breve termine
- un netto decremento dell’attenzione e delle prestazioni in compiti di vigilanza”.
Il carico di lavoro mentale nei luoghi di lavoro
Riguardo poi al rapporto tra fatica mentale e carico di lavoro mentale si indica che ‘Il termine carico di lavoro mentale si riferisce ad un insieme composito di stati cerebrali che mediano la prestazione umana in compiti percettivi, cognitivi e motori’ (Parasuraman Caggiano, 2002).
L’intervento riporta poi varie indicazioni:
- Welford ha considerato “il carico di lavoro come il rapporto tra le esigenze del compito e la capacità massima media dell’operatore”;
- Leplat ha “suggerito dei distinguo: anzitutto il carico di lavoro ‘come caratteristica del compito, cioè i vincoli che esso pone al lavoratore’ (esigenze del lavoro) e il carico di lavoro ‘come conseguenza per il lavoratore della esecuzione di questo lavoro’ (carico di lavoro). Il carico di lavoro è una variabile interveniente in quanto non controllabile direttamente ‘è il risultato dell’incontro fra esigenze del compito e le caratteristiche dell’operatore’”;
- per Leplat il carico di lavoro è “anche un comportamento osservabile in una certa situazione ‘Se ne possono studiare le conseguenze o i risultati in rapporto agli obiettivi assegnati al compito la performance’”.
E riguardo all’analisi del carico di lavoro mentale si può dire che la capacità lavorativa è “strettamente legata al concetto di carico, per quanto riguarda sia la valutazione del grado di saturazione dell’operatore, sia l’interpretazione degli effetti di tale saturazione”.
La saturazione psicologica e il burn out
Veniamo dunque alla saturazione psicologica che è una “situazione di avversione emotiva verso una azione compiutamente ripetuta o una situazione uniforme che dura a lungo e va distinta dall’affaticamento che non produce saturazione psichica primariamente, anche se può presentarsi come stato secondario durante il processo di saturazione”.
In particolare ‘La ripetuta esecuzione di un atto modifica la tendenza ad eseguire ancora tale atto. A causa della ripetizione, la valenza di un atto, originariamente positiva, diviene negativa, e alla fine il soggetto cerca di abbandonare il campo’ (Karsten).
In questo senso la saturazione è un comportamento emozionale: “la persona può averne abbastanza di una certa attività, pur disponendo ancora di energie per continuarla”. E fenomeni tipici della saturazione “sono la disattenzione e le dimenticanze: la noiosa ripetizione di una attività senza misurarne i progressi e l’assenza di un risultato da raggiungere defrauda il soggetto di qualsiasi senso di conquista e tale assenza porta alla disgregazione e all’errore”.
In questa situazione può essere necessario sospendere la saturazione:
- “Dare un nuovo significato al compito affinché gli venga assegnato un nuovo scopo (guadagno in denaro, gratificazioni di carriera, encomi o lotta di concorrenza, ecc.) che darà al lavoro già saturo un impulso fresco
- una ristrutturazione del campo dovuto al diverso ruolo esercitato dai soggetti durante l’esecuzione di un compito e subito dopo”.
A questo proposito l’intervento sottolinea che è del 28 Maggio 2019 la notizia “che il burn out viene riconosciuto ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità”.
In particolare “non si tratta di una sindrome vera e propria, ma di un fenomeno occupazionale”. E non si tratta più, come indicato anche in diversi articoli, “di un problema legato al tipo di professione ricoperta (professioni ‘di aiuto’ come infermieri, medici, psicologi), ma legato all’eccessivo stress da lavoro o ad un periodo prolungato di disoccupazione”.
I sintomi sono:
- “mancanza di energia o spossatezza
- isolamento dal lavoro o sensazioni di negatività
- diminuzione dell’efficacia professionale”.
In conclusione segnaliamo che l’intervento, di cui continueremo l’approfondimento con futuri articoli, si sofferma poi su vari altri argomenti: la misura del carico di lavoro mentale, i rischi del sovraccarico, il rischio technostress, l’errore umano e il modello dell’errore organizzativo.
Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:
“ Sovraccarico cognitivo ed Errore Umano”, a cura del Dott. Massimo Servadio (Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa , Prof. a.c. Facoltà Medicina e Chirurgia-Università di Genova), intervento al seminario “Cyber Security e tecnostress: come il cybercrime ha influenza sulla salute nei luoghi di lavoro”.
Fonti: Puntosicuro.it