Sul committente grava, insieme al datore di lavoro, l’obbligo di assicurare le misure generali di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e dunque di valutare e eliminare tutti i rischi e ove ciò non sia possibile di ridurli al minimo.

Sul committente di un’opera edile, è la massima che discende dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione che si va ad analizzare e commentare, grava, insieme al datore di lavoro, l’obbligo di assicurare le misure generali poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e dunque di valutare e eliminare tutti i rischi e, ove ciò non sia possibile, di ridurli al minimo. E’ un’altra sentenza questa della suprema Corte che è giunta a delle conclusioni con le quali non si è del tutto in linea per le motivazioni che vanno a esplicitarsi.

Il caso di cui alla sentenza riguarda un committente che ha appaltato dei lavori di ristrutturazione da  effettuare su uno stabile di sua proprietà il quale ha ricorso per cassazione avverso una sentenza emanata dal Tribunale e confermata successivamente dalla Corte di Appello con la quale era stato condannato per avere cagionato, in qualità di committente e responsabile dei lavori, il decesso di un lavoratore dell’impresa affidataria che, mentre operava su di un ponteggio, è rimasto folgorato per essere venuto in contatto con una linea elettrica ad alta tensione.

Nella lettura della sentenza si osserva che non viene fatta da parte della suprema Corte una corretta distinzione fra le figure del committente di un’opera edile di cui all’art. 89 comma 1 lettera b) del D. Lgs. n. 81/2008, definito come il soggetto per conto del quale viene realizzata un’opera edile e che più comunemente viene individuato come il “committente di un’opera edile” e i cui obblighi principali in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono stati fissati nell’art. 90 dello stesso D. Lgs., e il committente datore di lavoro di cui all’art. 26 dello stesso D. Lgs. che è quel datore di lavoro che affida lavori, servizi o forniture a imprese appaltatrici o lavoratori autonomi da effettuare all’interno della propria azienda o di una sua singola unità produttiva o nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, più comunemente individuato come “committente di un appalto interno” i cui obblighi di verifica, di informazione, di coordinamento e di cooperazione sono elencati nello stesso art. 26. Sugli elementi che distinguono queste due figure di committente lo scrivente ha già avuto modo di effettuare un approfondimento in risposta a un quesito pubblicato sul quotidiano del 25/9/2013 e di esprimere più volte il proprio parere nei Tribunali, nella qualità di consulente tecnico, nell’ambito di alcuni procedimenti giudiziari relativi a eventi infortunistici.

Il committente di cui alla sentenza in commento, quale proprietario dello stabile sul quale al momento dell’infortunio erano in corso dei lavori di ristrutturazione, è un committente di un’opera edile, A carico di questa figura è stato imposto dal legislatore l’obbligo di nominare il coordinatore per la sicurezza e di far redigere il piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) e non di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi (Duvri) di cui al comma 3 dell’art. 26, così come è stato invece indicato nella sentenza, essendo lo stesso un obbligo posto a carico del committente datore di lavoro nei cosiddetti appalti interni.

L’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, tra l’altro, è solo parzialmente applicabile nei cantieri temporanei o mobili in quanto, secondo quanto indicato nel comma 2 dell’art. 96 dello stesso D. Lgs., l’accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 (PSC) nonché la redazione del piano operativo di sicurezza (POS) costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alla disposizione di cui all’articolo 17 comma 1, lettera a) sull’obbligo della valutazione dei rischi, e alle disposizioni dell’articolo 26, commi 1, lettera b), 2, 3 e 5, e all’articolo 29, comma 3” ricordando, per una migliore comprensione, che l’articolo 26 comma 1 lettera b) si riferisce alle informazioni dettagliate che il committente datore di lavoro deve fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare, che l’articolo 26 comma 2 si riferisce al coordinamento ed alla cooperazione tra datore di lavoro committente e datore di lavoro della ditta appaltatrice e che l’articolo 26 commi 3 è appunto quello che ha imposto al datore di lavoro committente di redigere il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (Duvri), inadempimenti tutti questi contestati al committente ricorrente nel procedimento in esame.

Non si è in linea inoltre con le decisioni assunte della suprema Corte per quanto riguarda l’applicazione del comma 1 dell’art. 90 secondo cui “Il committente o il responsabile dei lavori, nelle fasi di progettazione dell’opera, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 15, in particolare: a) al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente; b) all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro”.

La Corte di Cassazione ha sostenuto in merito nella sentenza in commento che “il rinvio all’art. 15 del D. Lgs. n. 81 del 2008 comporta che sul committente gravi, insieme al datore di lavoro, l’obbligo di assicurare le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e, dunque, di valutare tutti i rischi per la salute e sicurezza (lett. a) e di eliminare i rischi e, ove ciò non sia possibile, di ridurli al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico (lett. c)”, ragion per cui la stessa Corte suprema ha rigettata l’argomentazione avanzata dal committente nel suo ricorso che aveva sostenuto a sua difesa, giustamente a parere dello scrivente, che gli obblighi di sicurezza di cui agli artt. 80 e seguenti del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., relativi ai lavori in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, al cui mancato rispetto era stato fatto risalire l’infortunio mortale di cui al procedimento, fossero a carico solo del datore di lavoro e non anche del committente dell’opera edile.

Anche sull’applicazione dell’art. 90 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 lo scrivente ha avuto modo di esprimere le proprie considerazioni in occasione della risposta ad un altro quesito pubblicato sul quotidiano del 21/5/2014 nel quale ha sostenuto che il committente dell’opera edile, secondo quanto indicato nel comma 1 dell’art. 90 del D. Lgs. n. 81/2008 sopra indicato, deve sì attenersi ai principi e alla misure generali di sicurezza ma nelle fasi di programmazione del cantiere ed in particolar modo al momento delle scelte architettoniche, tecniche e organizzative nonché nella pianificazione dei vari lavori o delle varie fasi di lavoro che devono svolgersi simultaneamente o successivamente nel cantiere e nella previsione inoltre della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro, ma non è invece tenuto ad assicurarsi direttamente che l’impresa affidataria abbia attuate tutte le misure previste dalle disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro né tanto meno ad effettuare una valutazione dei rischi in cantiere e a provvedere quindi alla loro eliminazione o riduzione al minimo come sostenuto nella sentenza.

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione

1. La Corte di Appello ha confermata la sentenza di primo grado che, all’esito dell’abbreviato, ha condannato il committente e responsabile di alcuni lavori di ristrutturazione di uno stabile di sua proprietà, in cooperazione colposa con altri, alla pena sospesa di cinque mesi e giorni dieci di reclusione per il reato di cui agli artt. 113, 589, secondo comma del codice penale, per avere cagionato, nella sua qualità di committente il decesso di un lavoratore dell’impresa affidataria il quale, nell’urtare inavvertitamente contro un linea elettrica ad alta tensione, mentre lavorava sul ponteggio del cantiere, era rimasto folgorato da una scarica elettrica, con imprudenza consistita nel non avere osservata la diffida ricevuta dalle Ferrovie dello Stato, con cui era stata vietata la prosecuzione dei lavori e la realizzazione di costruzioni nella zona asservita dall’elettrodotto, e con negligenza consistita nel non aver avvisato l’impresa esecutrice dei lavori circa i pericoli connessi alla mancata distanza di sicurezza dall’elettrodotto dell’area in cui era stato installato il ponteggio.

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione per erronea applicazione dell’art. 93 del D. Lgs. n. 81 del 2008, avendo i giudici di merito attribuito a lui, quale committente, compiti e responsabilità che, in realtà, erano stati trasferiti a un coordinatore in materia di salute e sicurezza, con espresso suo esonero dalla responsabilità penale. Il ricorrente ha evidenziato altresì di aver rispettato tutte le prescrizioni urbanistiche, ottenendo tutte le necessarie autorizzazioni, senza che il Comune da cui aveva acquistato l’immobile oggetto della ristrutturazione, avesse mai segnalato il problema della linea dell’alta tensione, parzialmente esistente e modificatasi in relazione alle esigenze della linea ferroviaria.

Ha sostenuto, pertanto, il ricorrente di essere inconsapevole del rischio connesso alla folgorazione; di non essersi ingerito nell’attività dell’appaltatore e di aver nominato il coordinatore responsabile della sicurezza, proprio dopo aver ricevuto la diffida delle Ferrovie dello Stato, in quanto, quale semplice operaio, era sprovvisto di ogni competenza in materia e del tutto ignaro della circostanza che la linea di alta tensione fosse attiva e di non essere pertanto destinatario degli obblighi derivanti dalla legge e relativi all’adozione di misure di cautela e protezione per i lavori da svolgersi a distanza inferiore a quella prevista dalla legge dalle linee elettriche, obblighi  gravanti su chi si occupa della sicurezza del cantiere.

Le decisioni di legittimità della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione essendo lo stesso fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che hanno riproposto le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame. La Corte di Appello, ha sottolineato la suprema Corte, aveva evidenziato che il committente/responsabile dei lavori non aveva valutato e/o fatto valutare il rischio specifico, per il quale aveva ricevuto formale diffida dalla RFI, relativo alla vicinanza del fabbricato ai cavi elettrici di alta tensione, ritenendo che l’avvenuta nomina di un coordinatore per l’esecuzione (peraltro, riguardante unicamente lavori di rifacimento intonaci esterni, demolizione e ricostruzione di un balcone e sistemazione gronde) non fosse stata affatto idonea a trasferire a tale figura tecnica le competenze e le responsabilità in ordine alla alta vigilanza, che grava sul committente. Il committente, infatti, secondo il giudice di appello, aveva conservato il ruolo di responsabile dei lavori, non avendo mai attribuito tale ruolo al coordinatore per la sicurezza che era stato nominato limitatamente per la fase di esecuzione delle opere e con esclusivo riferimento ai lavori di rifacimento degli intonaci esterni, alla demolizione e ricostruzione di un balcone e alla sistemazione delle gronde e non per il rifacimento del tetto.

Proprio alla luce di tale premesse il giudice di appello aveva concluso che l’imputato era rimasto responsabile per l’omessa osservanza del divieto della RFI di proseguire le opere di ristrutturazione del fabbricato di sua proprietà, non collocato a distanza di sicurezza dalla linea di corrente ad alta tensione, e per l’omessa informazione dell’appaltatore di tale situazione di pericolo per cui la Sez. IV ha ritenuta la decisione adottata dalla Corte di Appello pienamente conforme alla legge.

La suprema Corte ha osservato in merito che il committente o il responsabile dei lavori, ai sensi dell’art. 90, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008, deve attenersi nelle fasi di progettazione dell’opera, ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 15, in particolare: a) al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente; b) all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro. Il rinvio all’art. 15 del D. Lgs. n. 81 del 2008, ha precisato la Cassazione, comporta che “sul committente gravi, insieme al datore di lavoro, l’obbligo di assicurare le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e, dunque, di valutare tutti i rischi per la salute e sicurezza (lett. a) e di eliminare i rischi e, ove ciò non sia possibile, di ridurli al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico (lett. c)” , sicché non ha ritenuto che avesse pregio l’argomentazione del ricorrente, secondo cui gli obblighi di cui agli artt. 80 e seguenti del D. Lgs. n. 81 del 2008 non graverebbero sul committente, ma solo sul datore di lavoro e in particolare quello di cui all’art. 83, secondo cui non possono essere eseguiti lavori in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell’allegato IX, salvo che vengano adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi.

Alla luce di tale disciplina, come correttamente affermato dai giudici di merito, “l’imputato, nel suo ruolo di committente, non avendo nominato un responsabile dei lavori, avrebbe, difatti, dovuto valutare i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori, tra cui sicuramente ricade quello derivante dalla vicinanza dell’area ad un cavo di alta tensione, di cui, in considerazione della diffida ricevuta dalle RFI, non può affermarsi l’ignoranza”.

Ha ricordato ancora la suprema Corte che“in tema di infortuni sul lavoro, il committente, nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche non contemporanea) di più imprese esecutrici, ha l’obbligo: 1) di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi di cui all’art. 26, comma 3, d.lgs n. 81 del 2008; 2) di nominare il coordinatore per la progettazione dell’opera di cui agli artt. 89, comma 1, lett. e), e 91 d.lgs n. 81 del 2008 (CSP), deputato a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC); 3) di nominare il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 d.lgs n. 81 del 2008 ( CSE), deputato a verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi”. Nel caso in esame quindi i giudici di merito hanno esattamente fondato la responsabilità del committente proprio sulla incompletezza e inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi, che non contemplava affatto il rischio connesso alla vicinanza del cantiere ai cavi di alta tensione, essendo la presenza di più imprese sul cantiere confermata dalla nomina del coordinatore per la fase esecutiva.

Per completezza ha così concluso la suprema Corte, ai sensi dell’art. 26, primo comma, lett. b, del D. Lgs. n. 81 del 2008, il committente deve fornire all’appaltatore dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui deve operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività, sicché, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, tra gli obblighi specifici a cui resta limitata la responsabilità del committente, in tema di sicurezza sul lavoro, va ricompreso quello dell’informazione sui rischi dell’ambiente di lavoro e sulla cooperazione nell’apprestamento delle misure di protezione e prevenzione del cui adempimento, nel caso in esame non vi è stata alcuna allegazione.

In conseguenza della inammissibilità del ricorso il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e, non essendovi ragioni di esonero, al pagamento della somma di 2000 euro alla Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 17223 del 19 aprile 2019 (u.p. 2 aprile 2019) – Pres. Piccialli – Est. Picardi – P.M. De Masellis – Ric. F.C..  – Sul committente grava, insieme al datore di lavoro, l’obbligo di assicurare le misure generali di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e dunque di valutare e eliminare tutti i rischi e ove ciò non sia possibile di ridurli al minimo.

Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it

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