Il direttore tecnico di cantiere oltre a tutelare la sicurezza dei lavoratori è tenuto a vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme alle normative vigenti ed è anche garante della sicurezza dei fruitori dell’opera una volta realizzata.
Oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione non è l’infortunio occorso a un lavoratore ma l’incidente occorso a un bambino di appena 18 mesi che, arrampicatosi alla ringhiera di protezione del terrazzo posto al quarto piano di un albergo presso il quale soggiornavano i suoi genitori, grazie a una serie di appigli che la stessa presentava, ha scavalcato la ringhiera stessa ed è precipitato nel vuoto da una altezza di circa tre metri e mezzo sulla copertura di un terrazzo sottostante decedendo per le lesioni subite.
Il Tribunale, individuata per l’accaduto la responsabilità dell’amministratore dell’albergo, del costruttore e del direttore tecnico del cantiere installato per la sua fabbricazione, sia pure con il concorso dei genitori che avevano lasciato incustodito il bambino, ha condannato per omicidio colposo tutti gli imputati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni alla parte civile. La Corte di Appello successivamente ha deciso il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato confermando le statuizioni civili.
Sul ricorso presentato dal direttore tecnico di cantiere la suprema Corte ha dovuto dare riscontro alla domanda se tale figura, oltre a vigilare sulla sicurezza dei lavoratori nel cantiere ancora in corso d’opera, sia tenuto anche a controllare se la costruzione rispondesse alle normative vigenti, e ha sostenuto in merito, con una decisione a dire il vero non da tutti condivisa, che il direttore tecnico fosse tenuto a vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme alla normativa, vigente e che siano stati rispettati i canoni di costruzione ma che comunque sia anche garante della sicurezza di tutti i fruitori dell’opera una volta che essa sia stata realizzata e quindi in una successiva fase per così dire “statica”.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale aveva riconosciuto il direttore tecnico di un’impresa responsabile di omicidio colposo, in cooperazione colposa con altri imputati, condannandolo in conseguenza alla pena di giustizia oltre che al risarcimento dei danni a favore della parte civile, ha dichiarato non doversi procedere penalmente nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per prescrizione confermando nel contempo le statuizioni civili.
Con riferimento alla dinamica del fatto era accaduto che un bambino di diciotto mesi era morto per il grave trauma riportato a seguito di una caduta nel vuoto da un’altezza di circa tre metri e mezzo dalla terrazza della camera di un albergo sita al quarto piano occupata dalla sua famiglia che si trovava in vacanza sino ad una tettoia sottostante. I giudici di merito avevano ritenuto che il piccolo avesse scavalcato il parapetto della terrazza, costituito parte in muratura e parte in metallo, e che avesse perso l’equilibrio cadendo all’esterno a testa in giù e che la ragione della precipitazione fosse da individuarsi nella altezza del parapetto, inferiore a quanto consentito, e nella presenza nello stesso di una pluralità di vietati appigli (battiscopa, componenti in ferro battuto della ringhiera, in particolare riccioli di metallo) e di aperture di dimensioni superiori a 10 centimetri di diametro, tali cioè da consentire ipoteticamente l’attraversamento, in concreto adoperati dal bimbo per arrampicarsi, facendo leva con i piccoli piedi, sino in cima, per poi precipitare, essendo la parte superiore del corpo più pesante di quella inferiore.
In particolare, era stato ritenuto, in base a una perizia e a consulenze tecniche, che il terrazzo dell’hotel, che era stato oggetto di lavori di ristrutturazione autorizzati, non presentasse i requisiti di sicurezza rispetto al rischio di caduta all’esterno imposti per le costruzioni non solo dalle norme di buona tecnica UNI ma da una pluralità di fonti normative sulle disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati (legge 9 gennaio 1989 n. 13) e sull’abolizione delle barriere architettoniche (l. r. 30 agosto 1991 n. 32) nonché sulle prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche (D.M. 14 giugno 1989 n. 236) e sull’attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione (D.P.R. 21 aprile 1993 n. 246).
Erano stati ritenuti responsabili della morte del piccolo l’amministratore delegato della società proprietaria dell’albergo, quale committente dei lavori di ristrutturazione, il responsabile dell’area tecnica del Comune che, a seguito di ispezione dei luoghi, pur avendo rilevato che il parapetto e la ringhiera in questione erano stati realizzati in violazione delle prescrizioni di legge, dei regolamenti e delle specifiche regole dell’arte che disciplinano tale materia, aveva rilasciato il certificato di agibilità dell’immobile, e ancora l’amministratore unico della società esecutrice, subappaltatrice dei lavori in questione, nonché il direttore dei lavori di ristrutturazione e, appunto, il direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori. La insufficiente vigilanza inoltre esercitata in concreto dai genitori sul piccolo, in tenerissima età, aveva comportato il riconoscimento da parte dei giudici di merito di un concorso di colpa dei genitori stessi nella produzione dell’evento letale nella misura del 70%.
Il direttore tecnico dell’impresa esecutrice ha ricorso per cassazione contro la sentenza tramite il proprio difensore di fiducia e ha chiesto il suo annullamento affidandosi ad un unica motivazione con riferimento all’attribuzione a suo carico, considerata illegittima ed erronea, di una posizione di garanzia a tutela dei terzi e dell’obbligo attribuitogli, assieme al titolare della ditta esecutrice dei lavori, di verificare la conformità del parapetto alla normativa vigente a tutela della incolumità dei terzi. Lo stesso ha sostenuto che era stato indicato nel piano operativo di sicurezza (POS) come direttore tecnico e responsabile del servizio di prevenzione e protezione e che aveva assunto quindi una posizione di garanzia solo per prevenire gli infortuni dei lavoratori non essendo emersa alcuna norma o adempimento contrattuale in base al quale avrebbe dovuto sovraintendere alla corretta esecuzione dei lavori in modo conforme alla normativa urbanistica, come invece hanno in maniera non condivisibile affermato i giudici di merito.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso non è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha evidenziato che il tema del processo non era se il direttore tecnico fosse o meno garante della sicurezza dei lavoratori e di coloro che possano entrare in contatto con loro nella fase dinamica della costruzione, perché ciò non era contestato nel caso di specie né era contestabile, ma se tale figura fosse anche garante della sicurezza dei terzi fruitori, a qualunque titolo, dell’opera, una volta che essa sia stata realizzata e quindi nella successiva fase per così dire “statica”, ove non siano stati rispettati i corretti canoni di costruzione. Era in discussione, in altre parole, se fosse o meno tenuto, come hanno ritenuto i giudici di merito a vigilare affinché l’opera fosse eseguita in maniera conforme alla normativa vigente, quesito al quale era da dare una risposta affermativa.
La Corte di Cassazione, nel prendere la sua decisione, ha preso le mosse dalla previsione del Decreto del Ministero dei lavori pubblici 19 aprile 2000 n. 145 secondo il quale “l. l’appaltatore è responsabile della disciplina e del buon ordine nel cantiere e ha l’obbligo di osservare e far osservare al proprio personale le norme di legge e di regolamento. 2. L’appaltatore, tramite il direttore di cantiere assicura l’organizzazione, la gestione tecnica e la conduzione del cantiere. 3. La direzione del cantiere è assunta dal direttore tecnico dell’impresa o da altro tecnico formalmente incaricato dall’appaltatore per cui i compiti di organizzazione, gestione tecnica e conduzione del cantiere comportano, tra gli altri, la verifica dell’impiego dei materiali, il controllo degli impegni contrattuali e la conformità delle opere al progetto”.
Nel caso in esame. ha osservato la Cassazione, non è risultata rispettata la conformità dell’opera alla normativa urbanistica. Secondo il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, infatti, e secondo quanto previsto dalla concessione edilizia rilasciata dal Comune, il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore erano responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica. Passando quindi alla specifica posizione del direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori, la Cassazione ha sostenuto che le responsabilità del costruttore ex art. 29 del D.P.R. n. 380 del 2001 si estendono al direttore tecnico, figura cui l’appaltatore, anziché agire in prima persona, demanda le attività inerenti la gestione del cantiere, tra cui certamente l’esecuzione delle opere in conformità alla normativa vigente. In altre parole, ha precisato la Sez. IV, così come il committente e l’appaltatore-costruttore sono tenuti alla tutela non solo dei lavoratori in corso d’opera ma anche degli utenti del manufatto una volta ultimato, allo stesso modo vi è tenuto il direttore tecnico, che è diretta emanazione nel cantiere dell’imprenditore-costruttore.
Per quanto riguarda infine la lamentela della difesa sul punto della non avvertibilità della pericolosità della ringhiera scavalcata dal bambino la Cassazione ha fatto presente che l’intera sentenza di appello aveva descritto, in verità, a più riprese in termini macroscopici la divergenze che avevano reso concretamente “scalabile” il parapetto (altezza insufficiente, fori più ampi del consentito, battiscopa idoneo quale appiglio, presenza di riccioli di metallo).
Alla luce quindi delle considerazioni sopraindicate la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal direttore tecnico e ha condannato lo stesso al pagamento delle spese processuali.
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it