Indicazioni sul processo di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro. Focus sulla distinzione tra pericoli e rischi, sui tre livelli di rischio, sulla identificazione dei pericoli, sugli strumenti utilizzati e sui rischi da valutare.

Più volte abbiamo ricordato, anche negli articoli sul decennale del D. Lgs. 81/2008, come una delle colonne portanti di qualunque strategia di prevenzione aziendale sia rappresentata dalla valutazione dei rischi.

Tuttavia dai dati che emergono dagli incidenti lavorativi, che sono tornati ad aumentare insieme alle malattie professionali, si rileva come in molti luoghi di lavoro i rischi non siano ancora adeguatamente valutati o lo siano in modo superficiale, senza attenzione ai rischi effettivi e con uno scarso coinvolgimento di coloro che meglio conoscono le realtà lavorative.

Per trovare informazioni che permettano alle aziende di migliorare i processi di valutazione dei pericoli sono presenti in rete diversi documenti realizzati anche dai dipartimenti di prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro che sono presenti nelle aziende sanitarie regionali.

Ci soffermiamo oggi, ad esempio, sul documento “La valutazione del rischio”, a cura di Maria Rosaria Libone (Azienda USL 12 Viareggio, ora Azienda USL Toscana Nord Ovest) che fornisce varie informazioni introduttive al processo di identificazione e valutazione dei rischi.

Ci soffermiamo, in particolare, su:

I pericoli e i livelli di rischio

Nel documento viene ricordata la distinzione tra pericolo e rischio.

  • Pericolo: “situazione da cui può derivare un danno a persone o cose (caduta, scivolamento, schiacciamento, urto, ustione, elettrocuzione ecc..)” – “Proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore (es. materiali o attrezzature di lavoro, metodi o pratiche, etc.) aventi il potenziale di causare danno; 
  • Rischio: “combinazione della entità del danno (indipendentemente dalla tipologia) e di probabilità che il danno si manifesti” – “Probabilità che sia raggiunto il potenziale di danno nelle condizioni di utilizzo, ovvero di esposizione, di un determinato fattore”.

E in questo senso il rischio relativo al fenomeno pericoloso considerato è “una funzione di:

  • gravità del danno possibile per il fenomeno pericoloso considerato; 
  • probabilità di accadimento del danno considerato:
    • frequenza e durata di esposizione
    • probabilità di accadimento di un evento pericoloso
    • possibilità di evitare o limitare il danno”. 

Il documento indica poi che si possono identificare “tre livelli di rischio:

  • accettabile: “un rischio talmente ridotto da potere essere considerato praticamente nullo”. Un rischio accettabile (livello medio-basso o basso) “comporta danni fisici di lieve entità o soltanto danni economici”;
  • tollerabile: “un rischio non nullo ma tollerabile se non è possibile ridurlo ulteriormente con interventi tecnici o organizzativi”. Un rischio tollerabile (livello medio) comporta “danni fisici di entità grave, anche potenzialmente mortale”;
  • inaccettabile: “la condizione di rischio deve comunque essere rimossa dall’ambiente di lavoro prima di continuare a lavorare”. Un rischio inaccettabile (livello alto o medio-alto) riguarda la “probabilità non trascurabile di eventi pluri-mortali o danni all’ambiente”.

In questo senso la valutazione del rischio è il “processo decisionale mediante il quale si stabilisce che un rischio è ‘accettabile’, ‘tollerabile’ o ‘inaccettabile’”.

Ovvero è il “procedimento di valutazione della possibile entità del danno, quale conseguenza del rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori nell’espletamento delle mansioni, derivante dal verificarsi di un pericolo sul luogo di lavoro”. 

Il documento, che vi invitiamo a visionare, ricorda poi che la percezione del rischio è il modo “con cui le persone percepiscono il pericolo”. E un approccio equilibrato alla sicurezza “è sviluppato soltanto se il rischio reale coincide (o quasi) con quello percepito. Occorre approfondire le modalità di percezione del rischio e correggere le distorsioni con opera di Informazione/formazione”. 

Come identificare i pericoli? 

Il documento ricorda innanzitutto come la normativa vigente non richieda “la quantificazione della probabilità degli eventi incidentali o nocivi che sarebbe praticamente impossibile” (l’approccio quantitativo “è usato nella valutazione dei grandi rischi ed in tutte le aree produttive in cui è necessaria una trattazione più rigorosa in termini di affidabilità di macchine ed impianti”, ad es. il settore nucleare, le raffinerie, …).

Si segnala poi che l’identificazione dei potenziali pericoli generalmente è sviluppata attraverso alcuni strumenti-indagini, “quali per esempio:

  • liste di controllo (check-list);
  • verifica di conformità alle norme;
  • verifica di conformità ai criteri di buona tecnica;
  • rispetto delle norme generali di cautela (art.15 D.Lgs. 81/08);
  • tecniche e metodologie sistematiche”.

I rischi da valutare nei luoghi di lavoro

Dopo aver fornito alcune indicazioni su come decidere i livelli di rischio, il documento indica che bisogna valutare:

  • i rischi per la sicurezza o di infortunio
  • i rischi per la salute
  • i rischi “trasversali”.

A questo proposito segnala che i rischi di infortunio possono riguardare:

  • carenze delle macchine e impianti: ad esempio “cesoiamento, stritolamento, tagli, abrasioni, ustioni, contatto con superfici acuminate, superfici abrasive, superfici bagnate o scivolose”, …
  • condizioni particolari dell’ambiente di lavoro: ad esempio “investimento, cadute, seppellimento, sprofondamento, elettrocuzione”,…
  • assenza di direttive specifiche aziendali: ad esempio con riferimento a “investimento da parte di macchine semoventi, urti contro macchine in funzione”,…
  • comportamenti imprudenti dei lavoratori
  • mancanza dei mezzi individuali di protezione
  • accidentalità
  • …”

rischi per la salute sono relativi ad agenti fisici, agenti chimici, agenti biologici e agenti cancerogeni o mutageni (nel documento sono riportati vari esempi di agenti fisici e chimici).

Mentre i rischi trasversali possono “essere causa sia di infortunio che di danni alla salute”.

Ad esempio possono essere attribuiti a:

  • assenza di direttive aziendali
  • fatica fisica dovuta a:
    • spostamento di pesi
    • effettuazione di movimenti incongrui e/o ripetuti
    • mantenimento prolungato di posture fisse (es. stazione eretta)
    • necessità di assumere posizioni viziate
  • fatica nervosa è strettamente collegata all’organizzazione del lavoro vera e propria
    • tempi, ritmi e carichi di lavoro
    • rapporti gerarchici, autoritarismo
    • mancanza di autonomia professionale
    • monotonia, ripetitività
    • eccesso di responsabilità o deresponsabilizzazione
    • mancata gratificazione, frustrazione, dequalificazione
    • inadeguatezza delle mansioni
    • paura di perdere il posto di lavoro
    • difficoltà di inserimento nel gruppo, ecc”. 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento che si sofferma anche sulle misure di prevenzione, sugli aspetti normativi della valutazione dei rischi e sulle metodologie di analisi e valutazione.

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

“ La valutazione del rischio”, a cura di Maria Rosaria Libone – Azienda USL 12 Viareggio.

Fonti: USL Viareggio, Puntosicuro.it