
In che modo e con quali strumenti il datore di lavoro deve garantire la vigilanza nel caso in cui ai preposti siano assegnate mansioni operative, dando attuazione al principio per cui la vigilanza ha la priorità: una recente sentenza.
Si tende a dare per scontato che il preposto sia un soggetto che, oltre ad esercitare l’attività di coordinamento e vigilanza che il Testo Unico gli riconosce e gli attribuisce, possa svolgere anche compiti di natura esecutiva. O meglio – per impostare correttamente la questione – si tende a dare per scontato che la vigilanza predisposta dal datore di lavoro e dal dirigente sia da considerarsi sempre e comunque efficace anche nel caso in cui essa sia organizzata in una maniera tale che i preposti svolgano anche mansioni operative all’interno del luogo di lavoro.
Ma in realtà tale questione – sul piano strettamente giuridico – è tutt’altro che ovvia e banale.
Secondo la giurisprudenza penale della Suprema Corte, infatti, il datore di lavoro (o il dirigente) può validamente predisporre un sistema organizzativo nel quale i preposti svolgano anche mansioni operative, a patto che egli “regoli” la loro attività attraverso delle specifiche direttive ispirate ai criteri che vedremo.
Ciò affinché l’attività di vigilanza sull’osservanza da parte dei lavoratori degli obblighi di salute e sicurezza e delle relative disposizioni aziendali, esercitata dal preposto sulla base di una norma cogente di natura penale che la rende obbligatoria, non rischi nei fatti di essere depauperata ed erosa dall’attenzione, dal tempo e dalle energie impiegati dal preposto stesso nello svolgimento di compiti operativi.
Prima di esaminare la questione nel dettaglio, attraverso l’analisi di una importante sentenza di poco più di un mese fa, un punto deve essere da subito chiaro: questa tematica non riguarda – se non in maniera meramente collaterale – la responsabilità del preposto, il quale ai sensi dell’art.2 c.1 lett.e) in comb. disp. artt.19 e 56 del D.Lgs.81/08 è chiamato a sovrintendere e vigilare “nei limiti dei poteri” (determinati dal tempo, dall’ampiezza delle aree da sovrintendere, dalle direttive e istruzioni ricevute etc.) realmente detenuti nonché “nei limiti delle proprie attribuzioni e competenze”.
Il tema coinvolge piuttosto la responsabilità del datore di lavoro e del dirigente, chiamati – ai sensi dell’art.18 c.1 lett.f) e c.3-bis) del D.Lgs.81/08 – a predisporre un efficiente sistema di vigilanza che tenga conto del principio giurisprudenziale secondo il quale “l’obbligo datoriale di vigilare sull’osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive”; tuttavia, “quanto alle concrete modalità di adempimento dell’obbligo di vigilanza [del datore di lavoro, n.d.r.], esse non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale, tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione aziendale (e viceversa).” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 4 aprile 2019 n.14915).
Sotto il profilo della responsabilità del datore di lavoro nella predisposizione di un adeguato sistema di vigilanza, poi, è bene ricordare che la giurisprudenza sottolinea da tempo che le modalità con cui la vigilanza può essere organizzata dal datore di lavoro sono varie.
Secondo la Corte, infatti, “sul piano modale, l’obbligo di vigilanza può essere adempiuto, quando la legge non ne preveda di specifici, in differenti modi, dovendosi optare per le forme che appaiono più adeguate allo scopo, nelle circostanze date.” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 9 ottobre 2015 n.40719).
Tutto ciò premesso e tenendo a mente il principio – su richiamato – in base al quale la vigilanza è un obbligo originario del datore di lavoro e del dirigente, prendiamo ora in esame la recente Cassazione Penale, Sez.IV, 28 febbraio 2025 n.8289,con cui la Corte si è pronunciata sul tema della validità o meno di un sistema di vigilanza predisposto in azienda nel quale ai preposti siano assegnate anche mansioni operative (nella fattispecie: la mansione di carrellista).
Con questa sentenza, la Suprema Corte circa un mese fa ha confermato la responsabilità penale dell’amministratore delegato A. per il reato di omicidio colposo commesso con violazione di norme di salute e sicurezza ai danni di B., autista della ditta esterna C.
Vediamo cosa si era verificato nello specifico.
Era accaduto che, il giorno dell’infortunio, il “B., autista dipendente della ditta “T. Srl”, giunto presso il porto industriale di Livorno per il ritiro di una partita di cellulosa, posizionava il proprio autoarticolato nei pressi della banchina antistante al deposito doganale in concessione alla ditta C.”
E’ stato così che, “nel corso delle operazioni di carico di alcune balle, affidate al carrellista D., dipendente della ditta C., il B., spostandosi a piedi presso il terminal, veniva travolto mortalmente dal carrello condotto dal D.”
I Giudici di meritoavevano “ritenuto che l’evento fosse ascrivibile alla condotta colposa dell’imputato, sebbene determinato da ulteriori concause, tra le quali la condotta gravemente colposa della vittima, inosservante dell’obbligo di trattenersi nei pressi del proprio mezzo durante le operazioni di carico, se non addirittura all’interno della cabina, come previsto nelle regole di comportamento affisse anche nell’ufficio del “terminal C.”.”
Si tenga in considerazione che un “fattore determinante dell’evento è stato individuato nel mancato controllo sullo svolgimento dell’attività del carrellista da parte del preposto E.”
Risultava dimostrato, infatti, che laddove il preposto fosse stato in condizioni di vigilare e fosse quindi intervenuto, l’evento non si sarebbe verificato.
La sentenza sottolinea, a tale proposito, che “tale controllo [del preposto, n.d.r.], secondo i giudici di merito, era risultato, in concreto, inesigibile per colpa del datore di lavoro, odierno ricorrente, a causa del fatto che lo stesso preposto era stato addetto, contestualmente, alle mansioni di carrellista.”
Era stato accertato che il preposto,“infatti, al momento del sinistro, era intento a caricare balle di cellulosa su un altro camion parcheggiato dietro a quello del B., omettendo il controllo sulle operazioni svolte dal D.”
E’ evidente che, nel caso di specie, trattasi di una responsabilità riconducibile al livello datoriale per una inadeguata organizzazione dell’attività lavorativa sotto il profilo della vigilanza, dal momento che “la doppia mansione, ad avviso dei giudici di merito, aveva determinato l’impossibilità di poter contemporaneamente controllare l’operato dell’altro carrellista; e ciò per una scelta imprenditoriale del datore di lavoro.”
E “conseguentemente, la decisione di affidare al preposto l’obbligo specifico di controllo dell’altro carrellista e quello di eseguire le medesime mansioni di carrellista risultava inadeguata a consentire la sicurezza dell’ambiente di lavoro.”
Pertanto, “per le suddette ragioni, è stato ritenuto che il A., nella sua veste di amministratore delegato della ditta C., fosse responsabile di quanto accaduto.”
A fronte della contestazione relativa alla mancata vigilanza, il datore di lavoro A. ha ricorso in Cassazione facendo presente che “la motivazione [della sentenza d’appello, n.d.r.] ha incentrato la penale responsabilità sulla circostanza delle doppie funzioni attribuite al preposto E., il quale avrebbe dovuto svolgere funzioni di controllo e compiti operativi, nella specie di carrellista”, laddove invece, secondo l’imputato, “nessuna disposizione di legge prevede l’incompatibilità del ruolo di preposto con altre mansioni affidabili allo stesso.”
Secondo il ricorrente, “d’altro canto, ciò sarebbe ricavabile anche da alcune massime giurisprudenziali che affermano la non necessaria presenza costante e continua dello stesso preposto sui luoghi di lavoro.”
A parere del datore di lavoro A., “la motivazione offerta dalla Corte fiorentina, relativa alla impossibilità del E. di procedere al controllo, risulterebbe infondata, e comunque non esclusa dalla circostanza che costui avesse svolto anche un ruolo operativo proprio. Tra l’altro, una diversa interpretazione condurrebbe a ritenere che il preposto in azienda debba svolgere solo i compiti connessi al ruolo di vigilanza, slegato da ogni altra mansione, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 19 del decreto legislativo 81/08 che, pur attribuendo obblighi specifici al medesimo, non vieta lo svolgimento di compiti operativi.”
Ancora, l’imputato ha fatto presente nel suo ricorso che il preposto “E., dotato di perfetta autonomia gestionale, qualora avesse ritenuto quell’attività particolarmente rischiosa, avrebbe potuto organizzare il lavoro in maniera diversa, non compiendo contestualmente altre operazioni e segnalando al F. (carrellista) il pericolo immediato che in quel momento si stava verificando.”
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso e confermato la condanna dell’amministratore delegato A.
La Cassazione ha ricordato anzitutto che “l’evoluzione della disciplina posta a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori è orientata verso la prevenzione mediante organizzazione” e che “la giurisprudenza ha colto questa evoluzione, enfatizzando la priorità della pretesa ordinamentale ad una efficiente organizzazione prevenzionistica.”
Con riferimento al caso di specie, poi, “la relazione istituita tra le fondamentali scelte organizzative e l’evento chiarisce che principalmente nella colpa per difettosa organizzazione si rinviene la ragione del rimprovero al datore di lavoro.”
Trovo molto interessante il punto della sentenza in cui la Corte sottolinea che “l’attribuzione di responsabilità per il fatto colposo ha progressivamente spostato la propria attenzione dalla mancata adozione di singole misure di prevenzione alla mancata o inidonea “progettazione” della sicurezza del lavoro”, con la conseguenza che “il deficit organizzativo è divenuto il principale addebito mosso al datore di lavoro.”
Infatti – prosegue la Cassazione – “si pretende da questi la predisposizione di un sistema di gestione della prevenzione, articolato in termini congrui rispetto alle dimensioni e alla complessità dell’organizzazione produttiva, sia quanto alle figure soggettive chiamate a concorrere al funzionamento di tale sistema, sia quanto alle funzioni da assegnare ai diversi ruoli (Cass. sez.4, n.27583 del 13/04/22, pag.13 ss).”
A fronte di tale evoluzione normativa e interpretativa, la Cassazione conferma l’impostazione della sentenza d’appello, che aveva sottolineato come “l’aver conferito al preposto anche funzioni operative di carrellista, in quel momento svolte, avesse oggettivamente impedito il controllo sulle operazioni di carico svolte dal collega D. da cui derivò la morte del B.”
Dunque, “in tale contesto, è vero che non esiste un divieto di doppia mansione, ma eventuali compiti accessori rispetto a quello principale – che per il preposto, ai sensi dell’articolo 2 citato, è costituito dall’attività di controllo – devono esser individuati ab origine come secondari rispetto alla suddetta attività.”
Questo è il passaggio fondamentale della sentenza, nonché il messaggio che occorre trarre da questa pronuncia: l’attività di vigilanza svolta dal preposto è prioritaria rispetto allo svolgimento da parte di quest’ultimo di eventuali compiti operativi.
Ragion per cui, a parere della Cassazione, “al preposto, che è pur sempre un dipendente, non possono attribuirsi cumulativamente compiti di controllo e incarichi a svolgere attività operative, qual è ad esempio quella di carrellista, senza alcuna direttiva che garantisca la priorità della vigilanza, in caso di contestualità tra le due funzioni.”
E’ interessante, sotto questo profilo, il richiamo operato dalla Corte al “principio secondo cui, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del subordinato, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile (Sez.4, n.4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv.265942).”
La Suprema Corte ritiene poi infondato il motivo di ricorso secondo cui “il preposto (E.), dotato di perfetta autonomia gestionale, qualora avesse ritenuto quell’attività particolarmente rischiosa, avrebbe potuto organizzare il lavoro in maniera diversa (pagina 7 del ricorso), non compiendo contestualmente altre operazioni e segnalando al F. (carrellista) il pericolo immediato che in quel momento si stava verificando.”
Secondo la Cassazione, infatti, “si tratta evidentemente, come viene evocato dalle stesse espressioni utilizzate dal ricorrente, di profili organizzativi che avrebbero dovuto essere pianificati dal datore di lavoro.”
In conclusione, nel caso specifico, “per prevenire la concretizzazione del rischio che si intendeva evitare, il datore di lavoro avrebbe dovuto, a livello organizzativo, garantire la presenza di una persona che vigilasse, senza demandare ad altri la scelta discrezionale di dedicarsi ad impegni alternativi opzionabili dal subordinato.”
E “tale garanzia evidentemente non poteva essere assicurata, affidando al preposto una pluralità di compiti, che contestualmente lo impegnavano in altre funzioni, e senza una precisa direttiva a interrompere le accessorie attività operative, in caso fosse risultato necessario dedicarsi alla principale funzione di controllo.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro