L’asportazione dall’area di distribuzione dei carburanti anche di un solo estintore, presidio indispensabile per la sicurezza antincendio, è idoneo, quanto meno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori e delle persone presenti.
Si è espressa la Corte di Cassazione in questa sentenza sulla configurabilità del reato di rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro di cui all’art. 437 del codice penale, chiamata a decidere su di un ricorso presentato dal gestore di un’area di distribuzione carburanti il quale, prima assolto dal Tribunale, era stato poi condannato dalla Corte di Appello per avere rimosso un estintore a servizio dell’area stessa.
Avendo l’imputato richiamato nel ricorso il principio della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 c.p., è necessario che la condotta, commissiva ovvero omissiva, s’inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza dei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo, la suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso e ha sostenuto nella sentenza con cui lo ha rigettato che l’asportazione da un distributore di carburante anche di un solo estintore, presidio indispensabile alla sicurezza del luogo sotto il profilo della prevenzione incendi, è idoneo, quanto meno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori e di tutte le persone gravitanti nell’area di servizio o anche di quelli che hanno accesso alla stessa, trattandosi di un luogo caratterizzato da una elevatissima concentrazione di sostanze infiammabili. Ciò che conta, ha aggiunto la Corte suprema, è la potenziale offensività dell’atto, indipendentemente dal numero di apparecchi rimossi. Nel caso in esame l’azione di rimuovere anche un solo estintore aveva assunto comunque un carattere di potenziale pericolo per la sicurezza sul lavoro.
Per configurare l’ipotesi delittuosa indicata dall’art. 437 c.p., ha precisato ancora la Corte di Cassazione, occorre che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi di impianti, apparecchi o segnali per le prevenzioni di infortuni sul lavoro siano inseriti in un contesto in cui la mancanza o l’inefficienza dei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori. Il reato non si configura infatti solo se l’impianto o l’apparecchiatura rimossa non siano destinati all’utilizzo di una pluralità di dipendenti o non risultino idonei a prevenire il pericolo, circostanza questa assente nel caso in esame. Ciò che assume centrale rilevanza, infatti è il carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione o omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro riconosciuta anche se la violazione della normativa prevenzionale abbia messo a repentaglio l’incolumità anche di un singolo lavoratore.
L’indagine quindi finalizzata ad individuare una eventuale responsabilità deve essere svolta sul piano della potenziale offensività del comportamento di chi non ha rispettato la normativa prevenzionale nei confronti di tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con l’ambiente lavorativo, piuttosto che su quello dell’individuazione dei soggetti materialmente coinvolti.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha assolto il gestore di un’area di distribuzione carburanti dal reato di cui all’art. 432 c.p. e lo ha invece ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 1 del D. Lgs. n. 66 del 1948 e 437 c.p. condannandolo conseguentemente alla pena di cinque mesi e sedici giorni di reclusione.
Allo stesso era stata contestata la violazione dell’art. 437 c.p. afferente alla rimozione da parte dell’imputato di un apparecchio destinato alla prevenzione di disastri o infortuni sul lavoro e, segnatamente, di un estintore allocato nell’area di servizio. A ragione della decisione confermativa della sussistenza di reato sopraindicato la Corte territoriale aveva evidenziato l’ininfluenza della circostanza che fosse stato rimosso un solo estintore, valorizzandone l’innegabile natura di presidio alla prevenzione degli incendi, indispensabile alla sicurezza sul luogo di lavoro e osservando che “la mancanza di anche un solo estintore ha l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori gravitanti attorno all’attività imprenditoriale e all’ambiente di lavoro, rendendo più difficile la tutela dai pericoli d’incendi e più facile la loro estensione”.
L’imputato ha fatto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e ha contestata l’applicazione dell’art. 437 c.p. richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta da tale articolo, è necessario che la condotta, commissiva ovvero omissiva, s’inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo. Il ricorrente ha sottolineato inoltre che nel caso in esame non c’era stato l’elemento del pericolo per l’incolumità pubblica ed era mancato altresì qualsiasi approfondimento da parte dei giudici di merito sullo stato dei luoghi, sull’eventuale presenza di strutture confinanti con l’area di servizio, sulla densità abitativa dei luoghi limitrofi, tutti elementi reputati decisivi al fine di verificare la sussistenza in concreto della fattispecie contestata.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso che ha pertanto rigettato. L’art. 437 c.p., ha precisato la stessa, contempla il reato di “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro” e sanziona con la reclusione da sei mesi a cinque anni la condotta di chiunque “omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia” prevedendo inoltre, al comma 2, che “se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”. Il reato, ha aggiunto, è ricompreso tra quelli di pericolo per la pubblica incolumità e, nella sua forma commissiva (rimozione ovvero del danneggiamento degli impianti, apparecchi ovvero segnali), è un reato comune.
La giurisprudenza di legittimità, ha così proseguito, chiamata a enucleare le condizioni alla stregua delle quali è possibile configurare il delitto in esame, ha affermato che “ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 c.p., è necessario che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo”. Viene quindi assegnata una centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione o omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro; in tempi non remoti, è stata riconosciuta una penale rilevanza anche alle condotte che, attraverso la violazione della normativa prevenzionale, abbiano messo a repentaglio l’incolumità pure di un singolo lavoratore.
L’indagine demandata all’interprete, ha così proseguito la Sezione I, dev’essere quindi svolta “sul piano della potenziale offensività del comportamento irrispettoso della normativa prevenzionale – in chiave, essenzialmente, di sua attitudine ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell’ambiente lavorativo piuttosto che su quello dell’individuazione della platea dei soggetti materialmente coinvolti” citando come precedente espressione la sentenza n. 2547 del 30/09/2021 Sez. I, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sull’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche”.
La Corte territoriale quindi nel caso in esame si è correttamente conformata, secondo la Cassazione, ai principi ermeneutici citati, indicando le ragioni per le quali ha ritenuto che la condotta dell’imputato avesse assunto il prescritto carattere di potenziale diffusività del pericolo. Nella motivazione delle sentenze di merito, infatti, si è dato adeguato e coerente conto della circostanza che l’asportazione dal distributore di carburante anche di un solo estintore, sicuro presidio indispensabile alla sicurezza del luogo sotto il profilo della prevenzione d’incendi, era senz’altro idoneo – quanto meno in via astratta – a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori e di tutte le persone gravitanti attorno a quell’area o che avevano accesso, trattandosi di un luogo caratterizzato dal elevatissima concentrazione di sostanze infiammabili. Il giudice di primo grado aveva altresì fatto espresso riferimento all’ulteriore rilevante circostanza, rimasta incontestata, che il distributore di carburante era situato su una strada provinciale, a traffico veicolare ordinario, come documentato dalle immagini riprese dal circuito di video sorveglianza.
Per le ragioni suesposte in conclusione la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e di conseguenza condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, c.p.p..
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it