Sull’obbligo datoriale della massima sicurezza possibile: comportamento eccentrico (imprevedibile e non risarcibile, caduta dalla scala) o comportamento imprudente del lavoratore (prevedibile e risarcibile, investimento ferroviario durante la mansione).
Tra i tanti temi su cui riflettere dopo l’ incidente ferroviario di Brandizzo c’è anche quello connesso alla responsabilità risarcitoria civile. Su questo tema, pur esulando dal contesto specifico e dalle cause della recente tragedia ferroviaria, pubblichiamo un contributo dell’avvocato Rolando Dubini dal titolo “Obbligo datoriale della massima sicurezza possibile (art. 2087 c.d.): comportamento eccentrico (imprevedibile e non risarcibile, caduta dalla scala al di fuori della mansione) o comportamento imprudente del lavoratore (prevedibile e risarcibile, investimento ferroviario durante la mansione)”.
Premessa
1. Comportamento eccentrico del lavoratore, esorbitante la sfera di rischio governata dal garante della sicurezza (c.d. rischio imprevedibile): non è dovuto il risarcimento del danno.
2. Comportamento imprudente, imperito e negligente del lavoratore (rischio prevedibile): è dovuto il risarcimento
Premessa
L’ articolo 2087 del codice civile prevede un obbligo generale fondamentale di prevenzione e protezione a carico dell’imprenditore (datore di lavoro e tutta la sua organizzazione imprenditoriale) di importanza decisiva nell’ordinamento giuridico italiano: «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
Il datore di lavoro deve adoperarsi, nello svolgimento della sua specifica attività professionale, con una diligenza professionale particolare, in base alla quale deve adottare sempre e in ogni caso tutte le misure dettate:
- dalla particolarità del lavoro, in base alla quale devono essere individuati tutti i rischi, le nocività specifiche e le conseguenti misure necessarie e idonee;
- dall’esperienza, in base alla quale devono essere previste le conseguenze dannose, sulla scorta di eventi e di pericoli già verificatisi (non solo infortuni, ovviamente, ma anche incidenti, comportamenti e situazioni pericolosi – c.d. near miss) e dunque ampiamente prevedibili e valutabili, al fine di definire adeguate ed idonee misure di prevenzione e protezione;
- dalla tecnica, della miglior tecnica, in base alle nuove conoscenze in materia di sicurezza, salute e antincendio messe a disposizione dal progresso tecnico-scientifico.
Così la Cassazione (n. 23944, 23.06.2010): “è principio non controverso quello secondo cui il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa; tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche [D.Lgs. 81/2008], proprio, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 c.c.” (v. Cass. n. 18628/2010).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, in relazione al comportamento del lavoratore che subisce un infortunio, sottolinea che ciò che davvero rileva è verificare se tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l’evento (per tutte si veda, Cassazione Penale Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp).
1. Comportamento eccentrico del lavoratore, esorbitante la sfera di rischio governata dal garante della sicurezza (c.d. rischio imprevedibile): non è dovuto il risarcimento del danno.
Coerentemente con tale orientamento con le sentenze 5.1.2018 n. 146 e 15.1.2018 n. 749, la Corte di Cassazione ha ribadito un proprio orientamento costante, in forza del quale non è dovuto un risarcimento al lavoratore se la sua condotta è stata del tutto avulsa dalla prestazione lavorativa affidatagli, nonché, a fronte di comportamenti abnormi ed imprevedibili (esorbitanti dalla sfera lavorativa governata dal soggetto datoriale al quale può essere attribuibile l’evento).
Per l’esattezza in tali casi il datore di lavoro non è responsabile per gli infortuni occorsi ai dipendenti. Lo è invece quando il sinistro sia riconducibile ad un suo comportamento colpevole, collegato alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza imposto da norme di legge, ovvero, desumibile dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, dall’esperienza o dalla particolarità della mansione, ai sensi dell’art. 2087 c.c., obbligo imprenditoriale della massima sicurezza tecnologicamente fattibile.
Nella sentenza del 5.1.2018 n. 146 (Cass. Sez. Lavoro), il dipendente, un operaio, aveva proposto ricorso avverso la sentenza che aveva escluso la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro per i danni subiti a causa di un infortunio accaduto durante il completamento dei lavori di impianto di alcuni pali elettrici. Avendo il ricorrente rilevato che il ramo di un albero poggiava su di un cavo elettrico, i componenti della squadra da lui stesso guidata avevano deciso di tagliarlo. Perciò indossata l’attrezzatura di lavoro, l’operaio era salito sulla scala a pioli appoggiata all’albero, e mantenuta a terra da un operaio, cadendo al suolo per l’improvviso distacco della scala dal sostegno. I giudici di merito avevano respinto la richiesta risarcitoria del lavoratore, sulla base della mancata allegazione, ex art. 2087 c.c., della prova del fatto costituente l’inadempimento della società datrice di lavoro e della correlazione causale di tale inadempimento con il danno subito. La Cassazione ha confermato l’infondatezza delle pretese risarcitorie del ricorrente, ricostruendo la natura dell’obbligo legale di prevenzione imposto al datore di lavoro, ma anche dei precisi limiti oltre i quali nessun addebito nei suoi riguardi potrebbe trovare accoglimento.
In primo luogo è stata sottolineata la natura sussidiaria dell’ art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico, idonea a ricomprendere tutte le misure che – nonostante non siano espressamente considerate e valutate dal legislatore in norme di legge – appaiano idonee, secondo la migliore scienza ed esperienza, nonché, sulla base delle particolarità del lavoro, necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
La Corte ha sottolineato che l’interpretazione estensiva dell’ art. 2087 c.c. non può spingersi sino a addebitare una responsabilità oggettiva dell’imprenditore per ogni infortunio occorso ai dipendenti in azienda, poiché, per inderogabili principi costituzionali, la responsabilità datoriale deve necessariamente essere ricollegabile ad un comportamento colpevole, riconducibile alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza ben identificabile.
Confermando così il prevalente e consolidato orientamento giurisprudenziale che qualifica come contrattuale la responsabilità datoriale di cui all’ art. 2087 c.c.
Dunque gli oneri probatori nella domanda di risarcimento del danno da infortunio sul lavoro sono propriamente indicati dall’art. 1218 c.c.: il lavoratore che lamenti di aver subito un danno, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure necessarie ad evitare il danno, incluse quelle previste, e spesso non scritte, della massima sicurezza tecnologicamente fattibile di cui all’art. 2087 del codice civile. La Cassazione, accogliendo gli argomenti delle sentenze di merito, ha precisato che la condotta, il comportamento, del lavoratore che ha condotto all’infortunio sia successiva al compimento della prestazione lavorativa cui lo stesso era tenuto e, altresì, attuata senza darne preventiva comunicazione alla società datrice, al fine di ottenere eventualmente i necessari dispositivi e mezzi di lavoro idonei ad evitare i rischi di caduta.
Nel caso specifico la suprema corte non ha ravvisato alcun fatto integrante un inadempimento della parte datoriale correlato in rapporto di causalità materiale con il danno subito dal ricorrente, né è stata riscontata alcuna violazione dell’obbligo di vigilanza in materia di osservanza delle misure di sicurezza per la tutela dell’incolumità dei lavoratori.
In tale contesto la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “alla stregua dell’art. 2087 c.c., non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione anche in relazione a condotte del dipendente che, pur non rientranti nella nozione di inopinabilità e di abnormità, siano state poste in essere successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, perché non rientranti nella suddetta prestazione e perché effettuate senza darne allo stesso preventiva comunicazione secondo le direttive impartite. Corollario di tale principio è che la parte datoriale non incorre nella responsabilità di cui alla norma codicistica per non avere fornito le attrezzature necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione né di non avere esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti”. Proprio perché si tratta di prestazione non richiesta, non prevista, possiamo perciò affermare che tale comportamento ha attivato un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l’evento.
2. Comportamento imprudente, imperito e negligente del lavoratore (rischio prevedibile): è dovuto il risarcimento
La Corte di Cassazione è attestata su un proprio orientamento costante, in forza del quale è dovuto il risarcimento al lavoratore se la sua condotta, seppur imprudente, imperita e negligente è comunque riconducibile alla prestazione lavorativa affidatagli (inerenti alla sfera lavorativa governata dal soggetto datoriale al quale può essere attribuibile l’evento).
La Suprema Corte di Cassazione civile sezione lavoro sentenza n. 16026/2018 ha in tal senso ancora una volta confermato che il datore di lavoro è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori.
Il fondamento normativo è ovviamente l’art. 2087 Codice civile ai sensi del quale il datore di lavoro ha sempre l’obbligo di impiegare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova. La vicenda riguarda la responsabilità del datore di lavoro R.F.I. per l’infortunio mortale occorso ad un lavoratore investito da un treno allorquando stava operando un controllo, prima dell’orario fissato per l’intervento, sugli scambi ferroviari che, dopo l’interruzione della circolazione dei treni, sarebbero dovuti servire per far passare carrelli e motoscale di una ditta da un binario all’altro per operazioni di sostituzione dei cavi della linea elettrica. Secondo la Corte territoriale, l’inopinata decisione del lavoratore di intervenire prima del tempo, in assenza di prassi in tal senso e in violazione di una precisa indicazione datoriale rispetto all’orario di svolgimento dell’intervento sugli scambi, costituiva comportamento del tutto atipico ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo, sicché esso, ponendosi come causa esclusiva dell’evento, spezzava il nesso tra attività lavorativa e danno.
La Cassazione ha accolto il ricorso contrario a quella decisione proposto degli eredi del lavoratore deceduto affermando i seguenti principi:
- che “in effetti, secondo un consolidato ed univoco orientamento interpretativo, il datore di lavoro è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, quali destinatari della tutela (Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656), dimostrando, secondo l’assetto giuridico posto dall’art. 2087 c.c., di aver messo in atto ogni mezzo preventivo idoneo a scongiurare che, alla base di eventi infortunistici, possano esservi comportamenti colposi dei lavoratori;
- che unico limite a quanto sopra è quello del comportamento del lavoratore – c.d. rischio elettivo – che ponga in essere una “condotta personalissima (…) avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e a motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata” (Cass. 5 settembre 2014, n. 18786; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2642; Cass. 24 settembre 2010, n. 20221);
- che la Corte d’Appello, limitandosi ad evidenziare la pur grave anomalia della condotta del lavoratore (per essersi indotto ad un intervento anticipato rispetto all’orario stabilito con ordine di servizio) per concludere che ciò solo avrebbe realizzato una situazione del tutto atipica ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo, non ha adeguatamente considerato tali principi; che, infatti, la Corte territoriale, per quanto abbia motivatamente tratto dall’Istruttoria testimoniale il dato in merito alla sussistenza di un ordine di servizio contenente la fissazione di un preciso orario di intervento e quello in merito all’assenza di prassi di interventi anticipati rispetto all’interruzione della circolazione (se non sul presupposto, in questo caso non sussistente, di una previa organizzazione in tal senso), ha poi affermato l’esistenza del rischio elettivo pur a fronte di una lavorazione pacificamente attuata sui binari e dunque almeno in apparenza attinente al lavoro, senza neppure che fosse evidenziata la ricorrenza di un qualche motivo personale del lavoratore, rispetto alla anticipazione temporale da cui è derivato il sinistro, tale da poter in ipotesi interrompere il nesso causale tra prestazione lavorativa e verificarsi del danno; che, inoltre, la Corte d’Appello non ha tenuto conto del fatto che la consegna ampiamente anticipata delle chiavi necessarie all’operazione sul deviatoio, pacificamente emersa, rispetto all’orario di interruzione della circolazione, se anche non possa intendersi (come riterrebbero i ricorrenti) quale autorizzazione ad un intervento prima del tempo, milita in senso contrario rispetto all’adozione di cautele preventive di salvaguardia, della cui dimostrazione è onerato, come detto, il datore di lavoro, anche rispetto a comportamenti anticipatori (seppur anomali o colposi) dei lavoratori;
- che, pertanto, vi è stata violazione dell’art. 2087 c.c., sia per quanto riguarda l’individuazione dei presupposti del c.d. rischio elettivo, sia per quanto riguarda l’adozione delle misure di salvaguardia imposte dalla norma, restandone congiuntamente violato, come denunciato dai ricorrenti, anche l’art. 2697 c.c., stanti gli oneri probatori in proposito posti a carico del datore di lavoro; che, in definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi per come accolti, con rinvio alla medesima Corte d’Appello affinché essa, in diversa composizione, riesamini le circostanze di causa alla luce dei principi di diritto come sopra delineati”.
L’obbligo di garantire questa sicurezza nell’ambiente di lavoro mirata anche ai comportamenti imprudenti dei lavoratori è rigoroso e prescinde dal costo economico delle misure necessarie, e deve anche considerare eventualmente i migliori strumenti tecnologici e misure di prevenzione e organizzative all’avanguardia rispetto all’esperienza e alle evidenze scientifiche del momento.
La “massima sicurezza tecnologicamente fattibile” ( art. 2087 c.c.), rilevabile con l’ordinaria diligenza, è uno standard che permetta di contenere le fonti di pericolo per i lavoratori adottando ‘nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori’ (Cass. pen., sez. IV, 30 maggio 2013, n. 26247).
Fonti: Puntosicuro.it, Rolando Dubini (penalista Foro di Milano, cassazionista)