Con l’ordinanza n. 463 del 09.01.2025, la Cassazione afferma che le norme collettive possono escludere dal computo del periodo di comporto le assenze dovute a infortuni o malattie professionali, così da non porre a carico del dipendente le conseguenze pregiudizievoli subite a causa dell’attività lavorativa espletata.
Il fatto affrontato
La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per superamento del periodo di comporto, a fronte delle assenze dal servizio causate dall’insorgenza di una malattia professionale.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, non avendo la società datrice considerato che il CCNL applicato al rapporto, in caso di malattia professionale, prevedeva la conservazione del posto per un periodo pari a quello di percezione della relativa indennità dall’INAIL.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che la contrattazione collettiva, ai fini della conservazione del posto, può prevedere che vengano escluse dal computo del comporto le assenze per malattia causate da infortuni o malattie professionali.
Per la sentenza, in tali circostanze, la regolamentazione del comporto è legata non già ai presupposti stabiliti dall’ordinamento per il risarcimento del danno e all’esistenza della responsabilità civile del datore, bensì alla esistenza dei diversi presupposti (oggettivi e soggettivi) previsti in ambito INAIL ai fini dell’erogazione della mera indennità per inabilità temporanea prevista dal T.U. 1124/1965.
Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, ai fini dell’ampliamento del comporto, è sufficiente che esista soltanto l’origine professionale della malattia e che essa sia correlata alla prestazione lavorativa secondo le regole dell’assicurazione obbligatoria.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando l’illegittimità dell’impugnato recesso.
Fonti: WST, lavorosi.it