Quali sono gli errori più comuni che si commettono nelle aziende nel qualificare un soggetto quale dirigente di fatto e qual è invece il modo corretto di intendere il concetto di “regolare investitura” del dirigente secondo la Cassazione.

Spesso sento utilizzare l’espressione “dirigenti di fatto” con riferimento a soggetti che, sotto il profilo della salute e sicurezza, sono a tutti gli effetti quelli che io invece, usando un’espressione della Suprema Corte, definirei senza alcun dubbio “dirigenti di diritto”. Ovvero, molto semplicemente, dirigenti ai sensi del D.Lgs.81/08.

Normalmente chi utilizza impropriamente l’espressione “dirigente di fatto” ha sì intuito che, per essere tale, un soggetto deve essere sprovvisto di quella che l’art.299 del D.Lgs.81/08 chiama “regolare investitura” (e che la Cassazione per lo più tende a indicare con l’espressione “investitura formale”), ma non ha compreso realmente in cosa consista esattamente tale investitura.

Per la mia esperienza, gli errori più comuni in tal senso sono quelli che sovrappongono impropriamente l’investitura formale: 1) all’inquadramento contrattuale da dirigente; 2) all’essere destinatari di una delega di funzioni ai sensi dell’art.16 D.Lgs.81/08; 3) alla detenzione da parte del soggetto di un potere di spesa.

Detto in maniera meno schematica, i principali misunderstanding che riscontro in quest’ambito sono essenzialmente legati da un lato al ritenere che l’investitura formale che un dirigente ai sensi del D.Lgs.81/08 debba avere per essere tale sia rappresentata dall’inquadramento contrattuale e, dall’altro, all’infondata convinzione secondo cui il dirigente che non sia destinatario di una delega di funzioni ai sensi dell’art.16 del D.Lgs.81/08 o di un considerevole potere di spesa sia un dirigente di fatto e non di diritto.

Da lì, di conseguenza, si producono comunicazioni errate con effetto domino a cui credo che la gran parte di noi abbia assistito almeno una volta: corsi di formazione che vengono introdotti da soggetti che dicono al formatore che in aula sono stati convocati i “ dirigenti di fatto” e quelli “con contratto da dirigente” o, ancora, riunioni nelle quali si distingue tra (presunti) “dirigenti di fatto” e dirigenti con delega di funzioni. E così via.

In pratica, come accennavo all’inizio, in tutti e tre i casi si attribuisce un significato erroneo al concetto di “regolare investitura”.

Con riferimento al primo fraintendimento, va sottolineato anzitutto che la definizione di “dirigente” contenuta nell’art.2 c.1 lett.d) del D.Lgs.81/08 – che rappresenta la fonte alla quale rifarsi per identificare tale soggetto – non fa alcun riferimento all’inquadramento contrattuale (constatazione ricorrente, peraltro, in materia di ruoli di salute e sicurezza, dal momento che il D.Lgs.81/08 nel suo complesso molto raramente fa riferimento a tali aspetti formali).

Nella realtà, “in molte aziende di dimensioni medio-piccole potranno assumere il ruolo di dirigente, a fini prevenzionali, anche quadri o impiegati di concetto (specie rientranti nell’area tecnica) che siano stati investiti, in determinati settori dell’attività aziendale, di ampi poteri decisionali, nell’ambito degli indirizzi generali fissati dal datore di lavoro.” ( F.Stolfa, L’individuazione e le responsabilità del datore di lavoro e dei dirigenti in materia di sicurezza sul lavoro, in Working Papers di Olympus 33/2014, p.18.)

Sempre con riferimento, poi, alla nozione di “dirigente” prevista dal D.Lgs.81/08, va ricordato che, “in questo caso, a differenza del datore di lavoro, alcun riferimento viene fatto alla nozione “civil-lavoristica” (che ad esempio avrebbe potuto utilizzare il rinvio all’inquadramento nel sistema di classificazione contrattuale/aziendale); rileva invece solo una nozione “funzionale”. (G. Natullo, Continuità e innovazione nel nuovo Codice della sicurezza sui luoghi di lavoro, pp.335-6.)

Per quanto riguarda il secondo fraintendimento relativo alla correlazione tra il ruolo di dirigente ai sensi dell’art.2 c.1 lett.d) del D.Lgs.81/08 e la delega di funzioni, occorre ricordare che “il dirigente ed il preposto sono indubbiamente destinatari diretti (iure proprio) delle norme antinfortunistiche, prescindendo da una eventuale “delega di funzioni” conferita dal datore di lavoro.” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 11 marzo 2013 n.11492).

La nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sul caso Thyssenkrupp ( Cassazione Penale, Sez. Un., 18 settembre 2014 n.38343) ha a suo tempo chiarito che “è diffusa l’opinione (e la si rinviene spesso negli atti giudiziari) che i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto nascano necessariamente da una delega. Al contrario, le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall’investitura o dal fatto.” (Per approfondimenti, rinvio al precedente contributo “Il preposto e il dirigente non sono figure create da una delega”, pubblicato su PuntoSicuro del 18 ottobre 2023 n.5485.)

E ancora, per quanto riguarda il punto 3) relativo alla detenzione di un eventuale potere di spesa, occorre precisare che, secondo giurisprudenza costante, “la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente” ( Cassazione Penale, Sez. IV, 12 novembre 2008 n.42136); per approfondimenti su tutti questi aspetti, rinvio al precedente contributo “Come individuare il dirigente in materia di sicurezza: i criteri”, pubblicato su PuntoSicuro del 25 luglio 2023 n.5439.

Dunque, a fronte di tutto ciò, cosa si deve intendere correttamente con l’espressione “regolare investitura”?

Ancora una volta, è la definizione di “dirigente” contenuta nell’art.2 c.1 lett.d) del D.Lgs.81/08 a guidarci nell’interpretazione, allorché essa fa espresso riferimento all’incarico aziendale quale parametro di riferimento al quale devono corrispondere – in termini di adeguatezza – le competenze professionali detenute da tale soggetto nonché i suoi poteri gerarchici e funzionali (che sono, appunto, “adeguati alla natura dell’incarico conferitogli”).

La presenza o meno di un incarico aziendale (ad es. quale direttore tecnico, direttore produzione, responsabile di settore etc.), quale titolo giuridico (“investitura”) in base al quale un soggetto organizza un’attività lavorativa e vigila sulla stessa in qualità di dirigente ai sensi dell’art.2 c.1 lett.d) D.Lgs.81/08, costituisce l’elemento che permette di discriminare tra il dirigente “di diritto” e il dirigente “di fatto”. 

E’ la Cassazione Penale stessa ad indicarci l’incarico aziendale quale discrimine atto a separare – in termini di distinzione – i ruoli di diritto da quelli di fatto.

Nel caso del preposto, ad esempio, con riferimento al ruolo “di diritto”, la Corte afferma chiaramente che, “se per la prima [figura] è necessario, tra l’altro, che egli abbia ricevuto un incarico dal datore di lavoro e che abbia ricevuto direttive per l’esecuzione dei lavori (cfr.art.2 cit), nel caso di assunzione di fatto del ruolo la derivazione della posizione di garanzia dal concreto espletamento dei poteri tipici del preposto segnala che non vi è alcuna preliminare investitura da parte del datore di lavoro” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 29 maggio 2014 n.22246).  

Una volta chiarito che l’investitura formale che discrimina la figura di dirigente di diritto (meglio: il dirigente) da quella di dirigente di fatto è rappresentata semplicemente dall’incarico aziendale, vediamo a questo punto in quali casi la Cassazione ha qualificato un soggetto “dirigente di fatto” a fronte dell’assenza di tale regolare investitura.

Cioè, vediamo chi sia realmente e correttamente il dirigente di fatto.

Un esempio giurisprudenziale in tal senso ci viene offerto da una recente sentenza ( Cassazione Penale, Sez.IV, 6 maggio 2024 n.17680), con cui la Corte ha confermato la condanna di B. quale “dirigente di fatto” della “T. Costruzioni e Strade Srl” per il reato di lesioni colpose in danno di C.

L’infortunio si era verificato nel 2017 all’interno di un impianto di frantumazione gestito dalla T.

Era accaduto, in particolare, che “il giorno dei fatti il nastro trasportatore dell’impianto non funzionava bene” e dunque, “per risolvere il problema, B. si avvicinò al macchinario insieme a C. – dipendente della società con mansioni di carpentiere – e mise in movimento il nastro trasportatore facendolo girare a vuoto in modo da ripulirlo dai calcinacci che potevano rallentarlo.”

Il carpentiereC. “constatò che vi erano dei calcinacci attaccati a un rullo posto nella parte finale del nastro e, con gesto istintivo, utilizzando un varco privo di protezione, cercò di rimuoverli con la mano. L’avambraccio fu afferrato dagli organi in movimento e il lavoratore riportò un “trauma da maciullamento” cui conseguì l’amputazione del terzo prossimale dell’arto superiore destro.”

La Corte precisa che “il capo di imputazione attribuisce a B. la posizione di “dirigente di fatto” ai sensi dell’art.299 D.Lgs.n.81/08 e gli contesta: di aver affidato a C. compiti che non era formato a svolgere; di non aver preteso che egli si attenesse alle disposizioni aziendali in materia di sicurezza in violazione dell’art.18, comma 1, lett.c) e lett.f), D.Lgs.n.81/08.”

Infatti, va detto che già “il Tribunale ha ritenuto la responsabilità di B. riconoscendogli la qualifica di dirigente di fatto e di responsabile della sicurezza e sottolineando che, al momento dell’infortunio, C. stava operando sotto la sua supervisione.”

A questo punto, è rilevante sottolineare il fatto che B. aveva ricevuto dalla datrice di lavoro A. (coimputata) una lettera con la quale riceveva “l’incarico di “preposto” ai fini della sicurezza.”

Con riferimento alla sua qualificazione – operata dai Giudici – come dirigente di fatto, “la sentenza di primo grado osserva […] che B. consentì al lavoratore “di rimanere vicino alla macchina accesa in un momento in cui era possibile accedere direttamente al punto in cui si trovava l’ostruzione”; consentendo così, nei fatti, al lavoratore di agire direttamente sulla stessa ed entrare in contatto con gli organi lavoratori.”

Quanto alla condotta di C., “secondo il Tribunale, l’istintivo comportamento del lavoratore era prevedibile, rientrava nella sfera di rischio che il dirigente di fatto era chiamato a governare, e avrebbe dovuto essere impedito non consentendo a C. di avvicinarsi agli organi lavoratori in movimento, resi accessibili dalla rimozione della griglia di protezione che, di regola, chiudeva il varco nel quale l’infortunato introdusse la mano.”

La Corte d’Appello, dal canto suo, aveva chiarito che B. “svolgeva di fatto mansioni organizzative e direttive proprie del datore di lavoro; dava disposizioni ai dipendenti circa i compiti da svolgere; si occupò in prima persone di verificare le ragioni del malfunzionamento del nastro trasportatore; si fece affiancare da C. nel compimento di tali attività; era nelle immediate vicinanze del luogo ove si verificò l’infortunio.”

Secondo la Cassazione, in definitiva, “per quanto riguarda la posizione di B. […], come i giudici di merito hanno sottolineato, quel giorno egli era presente sul posto, sovraintendeva in concreto allo svolgimento del lavoro e si avvicinò al nastro trasportatore insieme a C.”

A parere della Corte, “pertanto (sia che gli si attribuisca la qualità di preposto che quella di dirigente di fatto), egli era certamente in condizione di governare il rischio che si concretizzò: poteva e doveva impedire al lavoratore di avvicinarsi a un macchinario dal quale erano state rimosse le necessarie protezioni; poteva e doveva vigilare affinché non fosse violato il divieto di compiere operazioni su organi in movimento, espressamente sancito, anch’esso, dall’allegato VI al D.Lgs.n.81/08”.

Proseguendo con l’analisi della giurisprudenza in materia, ancora, con Cassazione Penale, Sez.IV, 15 maggio 2019 n.20837, la Corte ha confermato la condanna di G.F. e G.R. perché, “il primo quale legale rappresentante della omonima ditta e dunque datore di lavoro, il secondo quale dirigente di fatto ai sensi dell’art.299, d.lgs.n.81/2008, disponendo turni di lavoro massacranti di oltre dieci ore continuative anche notturne senza possibilità di riposo e tali da cagionare necessariamente cali di attenzione e concentrazione (art.18, lett.c, d.lgs.n.81/2008), facevano sì che il lavoratore X.S. conducente di una betoniera, subisse durante l’attività di trasporto del calcestruzzo un colpo di sonno, con conseguente incidente stradale dal quale derivavano gravi lesioni personali.”

Si era verificato che “X.S. dipendente della ditta individuale G.F., con mansioni di autista delle autobetoniere, il giorno 3 luglio 2010, alle ore 13.00 circa, nel percorrere la strada provinciale per tornare dal cantiere all’impianto di betonaggio della T. S.p.A. presso il campo base sito in …, era uscito di strada, abbattendo il guard-rail e rovesciandosi nella scarpata per alcuni metri.”

Era stato accertato che “la T. S.p.A., appaltatrice dei lavori del Lotto 13 della Variante di Valico dell’autostrada A1, pur avendo propri autisti ed automezzi, aveva stipulato con la ditta individuale G.F. un contratto di nolo a caldo per avvalersi, a chiamata, degli autisti e dei mezzi di tale ditta per caricare il calcestruzzo dall’impianto di betonaggio e trasportarlo nel luogo di utilizzo del cantiere, ove, in base alla programmazione, i lavori si svolgevano a ciclo continuo di giorno e di notte.”

A fronte di tale quadro, “i due imputati venivano condannati in quanto ritenuti entrambi titolari di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore: G.F., quale formale datore di lavoro del X.S., legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, e il fratello, G.R., presente costantemente in cantiere, quale alter ego del titolare e deputato ad attuarne le direttive in sua assenza, in particolare attribuendo al lavoratore i massacranti turni di lavoro che avevano condotto all’infortunio, così andando di fatto a ricoprire la posizione di dirigente ex art.299, d.lgs.n.81/2008.”

La Cassazione ha confermato che G.R.fosse a tutti gli effetti “titolare di una posizione di garanzia di fatto ritraibile dall’art.299, d.lgs.n.81/2008”, ricordando che, “secondo il diritto vivente, pertanto, la disposizione in esame [art.299, n.d.r.] concretizza, dal punto di vista normativo, il principio di effettività […], nel senso che assume il ruolo di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, senza necessità di un elemento probatorio documentale o formale, potendo il giudice del merito fondare il convincimento anche su testimonianze od altri accertamenti fattuali (Sez.4, n.34299 del 04/06/2015, Ficara, Rv.264410).”

Tutto “ciò posto, il G.R. è stato considerato a ragione dirigente di fatto, in quanto presente costantemente in cantiere e deputato a stabilire gli orari di lavoro degli autisti: egli attuava le direttive del fratello in sua assenza ed affidava al X.S. gli orari più massacranti, nonostante quest’ultimo avesse fatto presente di sentirsi stanco, con ciò violando la precisa prescrizione normativa oggetto di incolpazione (art.18 del d.Lgs.n.81/2008) secondo cui i datori di lavoro ed i dirigenti, nell’affidare i compiti ai lavoratori, debbono tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute ed alla sicurezza.”

Non si può, infine, non richiamare – nella materia che stiamo trattando – la sentenza del Tribunale di Torino, Seconda Corte di Assise, 14 novembre 2011 n.31095 sul caso Thyssenkrupp, che ha condannato l’RSPP C. di tale azienda sia in qualità di RSPP che di dirigente di fatto per le omissioni collegate ad entrambe le posizioni di garanzia.

Secondo la sentenza, “C. risulta, nel già indicato organigramma aziendale in sequestro, come “responsabile” dell’area EAS (nominato nel 1999 […]); non risulta invece, agli atti, che C. rivestisse il ruolo di “dirigente”.”

Tuttavia “C., nella sua veste di “responsabile” di quel servizio, operava, di fatto, come dirigente. Con poteri indiscutibilmente gerarchici e decisionali nei confronti dei suoi diretti sottoposti […] tutti citati e qui da ricordare in particolare anche sul loro rapporto di sottoposizione gerarchica a C. per tutta l’area a lui affidata, sia nel settore “ecologia” (depurazione acque), sia nel settore “sicurezza” ed emergenza antincendio.”

Sotto questo profilo, “a titolo di esempio, si può qui riportare come risponde G. alla domanda su chi l’avesse incaricato di svolgere le stesse mansioni di L. dopo le dimissioni di quest’ultimo: “C…non mi ricordo di preciso…comunque se vuole la frase…non la ricordo, mi ha solo detto che c’era da fare anche quello e se me la sentivo…”.”

E’ risultato accertato, poi, che egli operava anche “con poteri decisionali manifestatisi ufficialmente all’esterno: è sufficiente, a questo proposito, ricordare il già ampiamente citato “ordine” […] intitolato “modifica del piano di emergenza interno, emesso proprio da C. da lui inviato a[i colleghi] del seguente tenore: “in allegato le nuove disposizioni sul piano di emergenza. Se ritenete necessario, sono disponibile ad effettuare una riunione con tutti i sorveglianti per chiarire ulteriormente le modifiche in oggetto”; in allegato a tale e-mail, troviamo la “Comunicazione interna”, avente ad oggetto appunto: “modifica del piano di emergenza interno” […]”.

Infine, “C. si era tra l’altro occupato, in prima persona, dei lavori necessari per l’ottenimento del certificato di prevenzione incendi (v., in atti, e-mail da C. a M., P. e S. ovvero solo a P., tutte relative a quei lavori ed ai relativi importi, inviate i 16/7/2003, 24/3/2004, 20/7/2006: quest’ultima anche in risposta alla precedente compagnia assicurativa […]: infatti il periodo è successivo all’incendio di Krefeld, v. sopra), della procedura per il D.Lgs 334/99 (ricordiamo qui la presenza, anche di C. oltre che di S., alla riunione conclusiva del CTR, come “rappresentanti aziendali” v. sopra), aveva seguito le visite delle assicurazioni nello stabilimento […]. D’altronde 1o stesso C., nel corso del suo esame, ha più volte affermato che si era trovato a dovere “gestire” (insieme a S., suo “datore di lavoro”), nello stabilimento di Torino, una situazione “così”.”

Olympus – Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro – L’individuazione e le responsabilità del datore di lavoro e dei dirigenti in materia di sicurezza sul lavoro”, a cura di Francesco Stolfa, avvocato a Trani e docente nel Master in “Gestione del Lavoro e delle relazioni sindacali” dell’Università di Bari, Working Paper di Olympus 33/2014

Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 11492 del 11 marzo 2013 (u. p. 24 gennaio 2013) –  Pres. Marzano – Est. Piccialli – P.M. Scardaccione – Ric. G. R. e C. G.

Corte di Cassazione – Penale Sezioni Unite – Sentenza n. 38343 del 18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014) – Pres. Santacroce – Relat. Blaiotta – P. G. Destro – Thyssenkrupp: le condanne inflitte andranno ridefinite, ma non aumentate – Criteri di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente.

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 42136 del 12 novembre 2008 – Responsabilità di un dirigente.

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 22246 del 29 maggio 2014 – Preposto di diritto e preposto di fatto.

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 17680 del 06 maggio 2024 – Infortunio all’interno di un impianto di frantumazione durante la pulizia del nastro trasportatore. Quando il datore di lavoro fa tutto giusto. Responsabilità del dirigente di fatto. Art. 299 D.Lgs. 81.

Corte di Cassazione Penale, Sez.IV – Sentenza n.20837 del 15 maggio 2019 –  Turni di lavoro massacranti per il conducente di una betoniera e incidente stradale. Responsabilità del datore di lavoro e del dirigente di fatto

Tribunale di Torino, Seconda Corte di Assise – Sentenza n.31095 del 14 novembre 2011 – Sentenza Thyssenkrupp

Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)