Quale può essere il ruolo degli impianti di ventilazione e climatizzazione nel controllo del rischio di diffusione del virus negli edifici? Quando spegnerli? Come regolarli e manutenerli? Ne parliamo con l’ing. Adriano Maggi, CTE Inail.

La ventilazione adeguata e il regolare ricambio d’aria negli ambienti di lavoro e negli ambienti di vita “oltre che per mantenere condizioni di comfort, sono necessari per garantirne la salubrità riducendo la concentrazione di particolato e inquinanti di natura biologica”. A ricordarlo era un Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità ( Rapporto ISS COVID-19 n. 33/2020) che in piena emergenza COVID-19 sottolineava come che qualità dell’aria indoor e microclima potessero rappresentare fattori chiave nella trasmissione di infezioni.

E proprio in relazione a questi temi e a queste indicazioni durante l’emergenza sanitaria COVID-19 sono stati poste molte domande e sono sorti diversi dubbi riguardo alle funzionalità, alla manutenzione, al ruolo degli impianti di climatizzazione e ventilazione, anche nei luoghi di lavoro.

Dubbi a cui il nostro a giornale ha provato a rispondere con diversi articoli, contributi e interviste, ma che, a distanza di più di un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza COVID-19 in Italia, è bene rivedere alla luce delle nuove conoscenze, dei nuovi documenti pubblicati e delle linee guida (ad esempio i Rapporti ISS o le linee guida AICARR, ASHRAE o REHVA).

Per farlo abbiamo deciso di realizzare una intervista video, benchè a distanza, all’ing. Adriano Maggi della Consulenza Tecnica per l’Edilizia dell’ Inail, nonché RSPP della Direzione generale Inail e responsabile della manutenzione di diversi impianti in Inail.

Adriano Maggi, durante la manifestazione “ Ambiente Lavoro 2020”, ha partecipato il 2 dicembre 2020 come relatore al workshop online Inail “La nuova geografia degli spazi. I luoghi di lavoro nel tempo del Covid” con una relazione dal titolo “Gli impianti di ventilazione e climatizzazione”.

Nell’intervista l’ing. Maggi fornisce informazioni e risposte ai tanti dubbi in merito all’uso, regolazione e manutenzione degli impianti di climatizzazione nei luoghi di lavoro e di vita in relazione all’emergenza COVID-19.

Quale può essere oggi il ruolo di questi impianti, in negativo o in positivo, nel controllo del rischio di diffusione del virus negli edifici?

Le unità di trattamento dell’aria devono rimanere accese o devono essere spente? Il ricircolo dell’aria deve essere eliminato? I fancoil e le altre unità interne ai locali devono essere spenti?

Quanto è importante una corretta manutenzione durante l’emergenza pandemica? È necessario effettuare la pulizia dei canali di distribuzione dell’aria con maggiore frequenza?

È necessario fare qualche particolare regolazione negli impianti riguardo a umidità e temperatura?

Ci sono strumenti tecnici e linee guida di approfondimento su questi temi?

Riguardo alle tecniche adottate fino ad oggi per la riduzione dei consumi energetici, alla luce della pandemia devono essere riviste?

La pandemia ha permesso di aumentare l’attenzione sul tema della qualità dell’aria all’interno degli ambienti di lavoro?

Questi gli argomenti trattati nell’intervista:

Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di visualizzare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.

L’intervista di PuntoSicuro ad Adriano Maggi

Il ruolo degli impianti di climatizzazione e ventilazione e il contagio del virus

Ricordando che la principale modalità di trasmissione del virus SARS-CoV-2 è quella per via aerea quale può essere oggi il ruolo degli impianti di ventilazione e climatizzazione, in negativo o in positivo, nel controllo del rischio di diffusione del virus negli edifici e nei luoghi di lavoro?

Adriano Maggi: Gli impianti di climatizzazione e di ventilazione presenti negli edifici hanno un ruolo importante perché, si è vero, da una parte possono contribuire a diffondere il virus in ambiente, ma bisogna dire che un impianto ben progettato, gestito e manutenuto può contribuire in maniera significativa alla riduzione del rischio da contagio, riducendo la concentrazione di eventuali carichi virali presenti in ambienti chiusi.

Quindi è fondamentale, per una corretta gestione degli impianti di climatizzazione e ventilazione, capire prima di tutto la modalità di diffusione del virus – e su questo i virologi ci hanno insegnato parecchio in questi mesi – ma è importante capire anche il funzionamento degli impianti: qual è il tasso di ricambio dell’aria; la direzione e l’intensità dei flussi dell’aria; analizzare la collocazione delle postazioni di lavoro in funzione della posizione delle bocchette di distribuzione dell’aria.

Bisogna prima di tutto partire dalla conoscenza sia degli impianti che delle modalità di diffusione del virus per capire quali siano le misure da adottare per una corretta gestione degli impianti.

Sappiamo che, se all’interno di un ambiente di lavoro, è presente un soggetto infetto asintomatico, tramite il respiro emette delle particelle di dimensioni variabili. Quindi queste particelle, in qualche modo, se sono di grosse dimensioni vanno subito a terra nel raggio di uno o due metri, mentre a noi quelle che più ci preoccupano sono le particelle più piccole che si diffondono sotto forma di aerosol. Quindi queste particelle possono essere movimentate dal flusso dell’aria prodotto dall’impianto di climatizzazione e ventilazione e quindi diffondersi nell’aria. Quindi bisogna partire prima di tutto da una buona conoscenza degli impianti per valutare effettivamente quali siano le corrette misure da adottare per la gestione degli impianti stessi.

È evidente che fin dalla comparsa del virus siano stati molti i dubbi relativi all’uso e alla manutenzione degli impianti di ventilazione e climatizzazione. E lei, nella sua relazione, ne elenca diversi fornendo utili risposte. Ne ricordo alcuni: le unità di trattamento dell’aria devono rimanere accese o devono essere spente? Il ricircolo dell’aria deve essere eliminato? I fancoil e le altre unità interne ai locali devono essere spenti?  Cominciamo a dare alcune risposte ricordando anche di che impianti stiamo parlando…

A.M.: Allora partiamo dall’unità di trattamento dell’aria. L’unità di trattamento dell’aria è essenzialmente una macchina che permette un rinnovo dell’aria all’interno dei nostri ambienti di lavoro. Quindi è una macchina che prende aria dall’esterno, la riscalda o la raffredda, a seconda se siamo in inverno o in estate, la umidifica o la deumidifica e la immette all’interno degli ambienti. Dopodiché la stessa macchina permette di prelevare l’aria eventualmente contaminata all’interno dell’ambiente di lavoro e la espelle all’esterno.

L’unità di trattamento dell’aria presente nei nostri uffici, nei nostri ambienti di lavoro permette un rinnovo dell’aria, in qualche modo permette una diluizione delle cariche virali presenti in ambiente. Quindi è importante, è fondamentale tenere le unità di trattamento dell’aria accese.

Questo è importante sottolinearlo perché nella prima fase della pandemia – anche diciamo pensando a quello che era successo in un ristorante in Cina dove c’era stato un contagio di parecchie persone per l’effetto di un climatizzatore – c’era stata un po’ di paura e quindi inizialmente c’era chi riteneva di dover spegnere in via precauzionale tutti gli impianti.

L’unità di trattamento dell’aria invece riduce il rischio da contagio e deve essere tenuta accesa. Anzi, come suggerito poi dalla anche dall’Istituto Superiore di Sanità e da altre associazioni di categoria, è opportuno accendere le unità di trattamento dell’aria qualche ora prima dell’inizio dell’attività lavorativa e spegnerla qualche ora dopo l’uscita dei lavoratori, proprio per assicurare un lavaggio dell’aria presente nell’ambiente.

Dobbiamo ricordare che le unità di trattamento dell’aria possono avere una funzione di ricircolo, quindi una funzione che, in qualche modo, per contenere i consumi energetici, può essere attivata. In questo caso, nel periodo di emergenza sanitaria, la funzione di ricircolo deve essere disattivata, o tramite un sistema di supervisione se l’impianto è dotato di un sistema di supervisione oppure anche manualmente chiudendo la serranda di ricircolo.

Dove non è possibile disattivare totalmente il ricircolo a causa delle specifiche di funzionamento dell’impianto l’Istituto Superiore di Sanità consiglia comunque di far funzionare l’impianto adattando e rimodulando la quantità di aria primaria necessaria e riducendo la quota di aria di ricircolo. Se poi non ci sono problemi di sicurezza, è opportuno aprire, nel corso della giornata lavorativa, le finestre, per pochi minuti, più volte al giorno, per aumentare ulteriormente il ricambio dell’aria.

Infine un altro aspetto molto importante da analizzare è se utilizzare i fancoil, i ventilconvettori, quei mobiletti che abbiamo spesso nei nostri uffici e che permettono di raffreddare o di riscaldare l’aria oppure anche gli stessi condizionatori che abbiamo nei nostri ambienti, anche negli ambienti domestici. Se sia opportuno tenerli spenti oppure accesi.

Il fancoil ricordo che è una macchina che, essenzialmente dotata di una batteria, preleva l’aria dall’ambiente, la riscalda o la raffredda a seconda che siamo in inverno o estate e la reimmette nell’ambiente stesso. Quindi effettivamente non rinnova l’aria all’interno di un ambiente, ma la movimenta soltanto per riscaldarla o raffreddarla. Quindi il problema di questi impianti è quello della movimentazione dell’aria. Movimentando l’aria posso in qualche modo spingere le particelle che contengono il virus a una certa distanza.

Questo fenomeno è importante soprattutto per quelle particelle più piccole – quindi per l’aerosol – che possono essere spinte a una distanza maggiore dal soggetto infetto che può emetterle. L’Istituto Superiore di Sanità ha detto che per velocità dell’aria superiori a 0,25 metri al secondo si ha un incremento di gittata delle particelle di aerosol quindi con una conseguente riduzione dell’efficacia del distanziamento interpersonale.

Se c’è un soggetto infetto che emette queste particelle, in genere rimangono vicino al soggetto infetto, però se c’è della movimentazione dell’aria, per effetto di questi fancoil oppure split, in questo caso le particelle possono in qualche modo diffondersi l’interno dell’ambiente.

Quindi è opportuno, in ambienti in cui ci sono più persone, evitare la collocazione di postazioni di lavoro in adiacenza a fancoil o condizionatori che possono causare, con i loro flussi d’aria diretti verso i lavoratori, la dispersione di agenti patogeni. È importante ridurre la velocità del ventilatore del fancoil, inibendo la velocità massima o intermedia, in modo tale da ridurre il flusso dell’aria. Imporre l’uso della mascherina, indipendentemente dalla distanza delle postazioni di lavoro, inoltre, se non c’è un’elevata richiesta di raffreddamento o di riscaldamento, è opportuno spegnere i terminali.

In ogni caso si possono comunque fare delle misure della velocità dell’aria nei vari punti del locale per capire se effettivamente i nostri impianti possono causare dei rischi aggiuntivi oppure no.

Riguardo anche al gran numero di lavoratori attualmente in smart working e telelavoro, cosa si può fare con i climatizzatori domestici? Immagino che in questi casi non si possa bloccare il ricircolo dell’aria…

A.M.: Il climatizzatore che abbiamo in casa, ma spesso anche nei nostri uffici ne abbiamo di simili, in qualche modo movimentano l’aria senza rinnovarla.

Naturalmente se in casa siamo soli, non è un problema. Se però dividiamo gli spazi con altre persone che possono essere potenzialmente soggetti infetti, allora questa movimentazione dell’aria, questo ricircolo, può essere un problema.

Quindi la misura comunque è sempre quella. Cercare di diluire il più possibile l’aria, magari aprendo le finestre, quindi favorendo in qualche modo l’ingresso di aria pulita, aria non contaminata, che sicuramente riduce, può abbattere il rischio da contagio del virus SARS-CoV-2.

Le risposte sulla manutenzione degli impianti di climatizzazione e ventilazione

Diamo poi qualche informazione sulla manutenzione. Quanto è importante una corretta manutenzione durante l’emergenza pandemica? In particolare, è necessario effettuare la pulizia dei canali di distribuzione dell’aria con maggiore frequenza?

A.M.: Per quanto riguarda la pulizia dei canali bisogna dire che, per prevenire il rischio di contagio da coronavirus, non sono necessarie modifiche alle normali procedure di pulizia e manutenzione dei canali, che comunque deve essere fatta per prevenire anche altri rischi.

La pulizia dei canali naturalmente non è efficace per prevenire il trasporto del virus tra ambienti diversi, dato che il sistema di ventilazione non è una fonte di contaminazione se si seguono le indicazioni relative al recupero del calore e al ricircolo. I virus, attaccati a piccole particelle di polvere, non si depositano facilmente all’interno dei canali e quindi normalmente vengono trasportati dal flusso d’aria. Molto più importante è aumentare la portata di aria esterna ed evitare il ricircolo dell’aria.

Bisogna naturalmente prestare attenzione ai recuperatori di calore presenti nelle unità di trattamento dell’aria. Sappiamo che i recuperatori di calore possono essere di due tipi: a flussi incrociati, e quindi garantiscono una completa separazione tra l’aria che viene immessa in ambiente e l’aria che viene prelevata dall’ambiente stesso (questo tipo di recuperatori non danno problemi e possono essere utilizzati) e i recuperatori rotativi che possono creare una contaminazione tra l’aria di ingresso e l’aria di uscita e quindi, in questo periodo, devono essere disattivati.

Bisogna poi inoltre fare attenzione a tutte le varie soluzioni che in questo periodo, da alcune imprese specializzate nel settore, ci vengono proposte. Spesso soluzioni che sono finalizzate, in qualche modo, a ridurre altri rischi, quelli ad esempio dovuti alla proliferazione batterica. Dobbiamo ricordarci che il SARS-CoV-2 è un virus, non è un batterio, quindi alcune misure che in genere vengono adottate per ridurre la proliferazione batterica nel caso del SARS-CoV-2 non sono utili o necessarie.

Durante la sua relazione lei ha fatto riferimento anche al controllo di umidità e temperatura. È necessario fare qualche particolare regolazione?

A.M.: Sì, questo è importante, perché soprattutto nella fase iniziale alcuni proponevano un innalzamento delle temperature all’interno degli ambienti di lavoro per ridurre la sopravvivenza del virus.

In effetti è vero. Il virus, se dovessimo portare la temperatura interna dell’ambiente al di sopra dei 30°, anzi dei 37 gradi centigradi, con umidità relative molto elevate, il virus sicuramente diminuirebbe la propria sopravvivenza. Ma sarebbero temperature e condizioni microclimatiche insopportabili per i lavoratori.

Quindi possiamo dire che le condizioni microclimatiche non ci possono aiutare, all’interno dei nostri ambienti lavoro, a ridurre la sopravvivenza del virus.

Però bisogna comunque prestare attenzione all’umidità relativa all’interno degli ambienti. Sappiamo che le mucose nasali sono più sensibili alle infezioni con umidità relativa bassa, del 10 o del 20%. Quindi tali valori di umidità rendono le mucose secche riducendone la funzione di barriera al virus. Questo problema si può avere soprattutto in inverno quando l’aria che viene presa dall’esterno prima di essere immessa in ambiente viene riscaldata, quindi questo provoca una riduzione dell’umidità relativa, riduzione tanto maggiore quanto più bassa è la temperatura esterna. Quindi nel funzionamento invernale è necessario umidificare l’aria prima che venga immessa in ambiente.

L’umidità relativa in ambiente non dovrebbe essere inferiore al 40, 50% proprio per avere delle mucose nasali non secche e che quindi, in qualche modo, possano creare una prima barriera al virus.

Questo problema, naturalmente, non è presente in estate dove, in genere è più umida e quindi in estate viene fatto il processo inverso: l’aria viene deumidificata prima di essere immessa. Quindi è importante avere una umidità relativa non bassa all’interno dei nostri ambienti di lavoro.

(…)

La pandemia e la maggiore attenzione per la qualità dell’aria

Potremmo dire che, in fondo, questa terribile pandemia ci ha portato ad avere una maggiore attenzione alla qualità dell’aria nei luoghi di lavoro e alla giusta e corretta manutenzione degli impianti?

A.M.: Sicuramente la pandemia ci ha permesso di capire non solo l’importanza che gli impianti di climatizzazione e ventilazione possono avere per prevenire il rischio di contagio dal virus SARS-CoV-2, ma anche per garantire la qualità dell’aria all’interno degli ambienti di lavoro.

Un buon impianto di rinnovo dell’aria è necessario per assicurare anche un buon microclima, per ridurre la concentrazione di sostanze nocive, come composti organici volatili, radon, sostanze chimiche, … anche per assicurare un basso tasso di anidride carbonica.

Importanti, ad esempio, anche per assicurare una buona concentrazione degli alunni delle scuole.

Nelle nostre scuole, ad esempio, ancora oggi in gran parte delle aule scolastiche non c’è un impianto di rinnovo dell’aria e quindi quando trenta ragazzi, insieme, si ritrovano in un’aula scolastica, dopo 5, 6, 7 ore di lezione, l’anidride carbonica, la CO2, raggiunge valori abbastanza alti che sicuramente in qualche modo ostacolano l’attività scolastica. Su questo, ad esempio, la Germania è partita prima dell’Italia, ha incentivato notevolmente l’adozione di impianti di rinnovo dell’aria anche nelle scuole.

Questa sensibilità adesso comincia ad esserci anche da noi in Italia.

E quindi sicuramente anche in futuro ci sarà una maggiore attenzione all’importanza che gli impianti di climatizzazione e ventilazione possono avere per tutti gli aspetti legati alla salute e sicurezza sul lavoro.

Fonti: Puntosicuro.it