Riflessioni sulla valutazione della colpa e l’accertamento del rapporto di causalità in relazione al documento di valutazione dei rischi. L’apparato sanzionatorio, la causalità della condotta e della colpa, le concause e l’errore umano.
La normativa interviene con lo strumento sanzionatorio penale a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in due diversi momenti. Innanzitutto in via preventiva con norme precauzionali, oggi raccolte per lo più nel D.Lgs. 81/2008, accompagnate da specifiche sanzioni penali. E successivamente, laddove si verifichi un evento lesivo (lesione, morte, malattia professionale), mediante gli artt. 590 e 589 del codice penale. Tuttavia l’intera disciplina in materia di sicurezza sul lavoro tende alla prevenzione di tali eventi lesivi e quando questi si realizzino “perché ciò possa essere fonte di responsabilità penale – a titolo di colpa – è necessario che l’evento sia conseguenza della violazione della regola precauzionale, che, dunque, assolve ad una duplice funzione: preventiva e repressiva”. E si sottolinea che nella recente normativa, preso d’atto della difficoltà di “eliminare tout court i pericoli connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa, ci si è concentrati sul controllo dei fattori di rischio, attraverso l’introduzione dell’obbligo per il datore di lavoro di redazione del documento di valutazione dei rischi”.
Ad introdurre in questi termini lo strumento sanzionatorio e la valutazione della colpa nel mondo della sicurezza, è un intervento che si è tenuto al convegno, organizzato dall’ Ordine degli ingegneri della Provincia di Bergamo, “ La prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro secondo la moderna strategia di derivazione Europea” (Bergamo, 16 novembre 2012).
In “La valutazione della colpa e l’accertamento del rapporto di causalità in relazione al documento di valutazione dei rischi”, a cura della Dott.ssa Ilaria Sanesi (Giudice Tribunale Penale di Bergamo), si indica che riguardo alla reazione che “l’ordinamento riserva alla lesione dei beni dell’integrità fisica e della vita che le norme precauzionali intendono proteggere, l’intervento sanzionatorio è affidato a due fattispecie di diritto comune: gli artt.590 e 589 c.p., dedicati, rispettivamente, alle lesioni colpose e all’omicidio colposo”.
A questo proposito la relatrice ricorda che se il nesso di causalità e colpa “sono concettualmente e ontologicamente distinti”, nella “materia degli infortuni sul lavoro, in cui usualmente l’illecito si configura come reato omissivo colposo, essi si presentano, tuttavia, strettamente connessi”.
Da un punto di vista pratico l’accertamento che il giudice penale è tenuto a compiere nei processi per infortunio sul lavoro “può così essere scandito:
– il giudice deve, in primo luogo, accertare la causa materiale dell’evento lesivo, indipendentemente dalla condotta dell’uomo che può avervi dato causa (la c.d. causalità materiale);
– in secondo luogo, il giudice è chiamato a verificare l’interferenza umana sulla produzione dell’evento, accertando, in particolare, se la condotta dell’imputato o degli imputati abbia avuto un’efficacia causale sul verificarsi dell’evento (la c.d. causalità della condotta), accertamento che nel reato omissivo interferisce con la problematica delle posizioni di garanzia, dovendosi considerare se l’obbligo di tenere le condotte omesse incombesse sull’imputato o sugli imputati;
– in terzo luogo, il giudice deve valutare se il comportamento umano, rilevante nel determinismo dell’evento lesivo, sia stato posto in essere in violazione delle regole cautelari, generiche o specifiche, preordinate a evitare quell’evento (che, dunque, dovrà rappresentare la concretizzazione del rischio che le regole cautelari miravano a scongiurare), potendo, poi, l’agente prevedere che la sua condotta omissiva avrebbe avuto quella o analoghe conseguenze lesive (è questo il profilo della prevedibilità dell’evento), provocate invece dalla violazione della regola cautelare (la c.d. causalità della colpa);
– infine, il giudice deve verificare se l’evento non si sarebbe verificato ponendo in essere la condotta colposamente omessa, ossia se l’evento era evitabile ove l’imputato avesse tenuto il comportamento positivo imposto dalle norme precauzionali, ovvio essendo che, se l’evento fosse destinato a prodursi ugualmente, anche nel caso in cui l’agente avesse attivato tutti gli interventi richiestigli, le conseguenze dell’omissione non potrebbero essere a lui addebitate”.
Si ricorda che nella realtà alcuni di questi passaggi vengono in rilievo “solo in materia di causalità omissiva, quando l’infortunio derivi dalla violazione di un comando” (ad esempio non aver valutato un determinato rischio, non aver formato adeguatamente il lavoratore, non averlo dotato di dispositivi di protezione individuale, non aver adottato determinate misure di sicurezza) e “non già della violazione di un divieto” (ad esempio “aver ordinato ai lavoratori di riprendere il lavoro in un cantiere sospeso, aver inserito sostanze vietate nel processo produttivo”).
L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi in specifico sulla “causalità della condotta” e sulla “causalità della colpa”.
Riguardo a quest’ultima si sottolinea come “non ogni violazione della regola cautelare è idonea a configurare una responsabilità del datore di lavoro per l’evento lesivo occorso al lavoratore, ma occorre che quell’evento rientri nel novero di quelli che la norma cautelare mirava a evitare, che, tradotto in termini di colpa, significa che l’evento in concreto verificatosi, per essere addebitabile al soggetto agente, doveva essere, secondo un giudizio ex ante, prevedibile ed evitabile mediante l’osservanza della regola precauzionale violata”. E si indica che, con specifico riferimento al documento di valutazione dei rischi, “il rapporto di causalità non può essere desunto unicamente dall’omessa previsione del rischio dell’evento lesivo nel relativo documento, dovendo tale rapporto essere accertato in concreto”.
La relatrice a questo proposito riporta diversi esempi. Ad esempio il caso di una sentenza di annullamento della Suprema Corte, “relativa ad un infortunio determinato dal trascinamento del braccio dell’operatrice nei rulli in movimento di un macchinario, in cui la sentenza impugnata si era limitata ad affermare che, se il rischio fosse stato valutato, l’infortunio si sarebbe evitato, senza accertare altre violazioni colpose, quali la mancata adozione di misure precauzionali atte a scongiurare tale rischio (neppure individuate in motivazione) o la mancata formazione della lavoratrice”.
L’intervento si sofferma poi sulla rilevanza delle c.d. concause e dell’errore umano.
In particolare sotto il profilo delle c.d. concause, “che è quello che maggiormente viene in rilievo nei processi in materia di infortunio sul lavoro, dove il problema non è tanto l’individuazione del meccanismo causale che ha determinato l’evento lesivo, quanto quello del rilievo di fattori ulteriori (l’ errore del lavoratore, il difetto di funzionamento del macchinario)”, l’art.41, II co. c.p. stabilisce che le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento, ossia “quando si pongono al di fuori delle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie eziologica attribuibile alla condotta dell’agente, costituendo un fattore eccezionale, che, malgrado il più alto grado di previdenza e di prudenza, non sia evitabile con alcuna misura precauzionale”.
Dunque perché sia possibile escludere il nesso di causalità “non basta sia intervenuto nella produzione dell’evento un fatto illecito altrui – tipicamente il comportamento erroneo del lavoratore – ma occorre che il fatto stesso abbia i caratteri di una causa eccezionale, atipica, non prevista, né prevedibile”. In particolare la colpa del lavoratore (l’ errore umano) “eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni”, “non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte che ne sia seguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme e che proprio quest’abnormità fu la causa all’evento, dovendosi intendere per abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo e prevenzione (tale non potendo qualificarsi il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante nelle sue attribuzioni e nel segmento di lavoro attribuitogli)”.
Concludiamo la presentazione di questo interessante intervento, riportando quanto detto dalla relatrice sulle tipologie dei comportamenti erronei dei lavoratori.
Infatti di fronte ad un comportamento erroneo da parte del lavoratore, occorre distinguere tra:
– “errori frutto di una inadeguata formazione o istruzione, di cui il datore di lavoro è comunque chiamato a rispondere perché sono il risultato della violazione di un obbligo di formazione specificamente impostogli dall’ordinamento;
– errori di mera disattenzione, di cui il datore di lavoro è ugualmente chiamato a rispondere laddove le conseguenze lesive si sarebbe evitate con l’adozione di misure precauzionali, avendo il soggetto garante l’obbligo di prevenire anche i rischi, sicuramente prevedibili, derivante da disattenzioni e imprudenze del lavoratore (si tratta dei casi oggetto di diverse sentenze della Corte di Cassazione. Ad esempio il caso di un lavoratore “che, alla guida di un carrello elevatore che trasporta rottami, attraversa un reparto, anziché passare all’esterno, ed è travolto da un carrello su binari, in cui la responsabilità del datore di lavoro viene individuata nel non aver dotato il carrello, che una volta spinto si muoveva per inerzia, di segnalatori luminosi e acustici, in presenza di segnalazioni relative ai rischi connessi alla viabilità interna al reparto, nel non aver valutato il rischio derivante da transito dei carrelli su binario nel documento di valutazione dei rischi e nel non aver vietato il transito interno al reparto”);
– “errori derivanti dalla violazione da parte del lavoratore delle regole precauzionali espressamente stabilite dal datore di lavoro, ove si tratterà di verificare se tali erano regole, oltre ad essere state comunicate, erano state comprese, se il lavoratore era stato messo in condizioni di metterle in pratica, se erano regolarmente violate con la compiacenza del datore di lavoro, se confliggevano con altre indicazioni ricevute dal datore di lavoro (ad esempio sulla tempistica con cui eseguire il lavoro), se potevano valere anche in una situazione di emergenza”.
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Fonti: Puntosicuro.it