Le modalità con cui vengono attualmente gestite, dalle aziende di grandi dimensioni, le crisi conseguenti ad un grave infortunio sul lavoro, dimostrano che sussistono ampi margini di miglioramento.
Negli ultimi 25 anni le problematiche riguardanti la sicurezza e la tutela della salute hanno assunto un peso economicamente e socialmente rilevante:
sotto la spinta derivante dal progressivo recepimento delle direttive europee con il nuovo approccio proposto;
per un’accresciuta attenzione da parte dei massmedia;
grazie ad una maggiore, anche se altalenante, incisività degli organi di vigilanza e della magistratura;
per le critiche e gli stimoli continui da parte delle Organizzazioni Sindacali riguardo la politica prevenzionale adottata dalle aziende.
In Italia, l’approccio prevalente nei confronti della sicurezza e tutela della salute è stato ed è tuttora quello che ci porta a percepire la sicurezza e la tutela della salute solo come un rigido adempimento di norme legali e procedure tecniche che non producono valore alcuno ma che, invece, va ad intralciare le normali attività produttive.
Altra caratteristica dell’italico approccio è quella che ci porta ad attivarci solo dopo che si è presentato il problema, spesso con l’emanazione di nuove norme che, in genere, sortiscono un unico effetto che è quello di creare ulteriore confusione ed aumentare il carico d’incendio nelle biblioteche degli addetti ai lavori.
Va anche detto che molto spesso i soggetti coinvolti (aziende e addetti ai lavori vari), nel tipico approccio, stile “fast-food”, tendono a ricercare ed accettare solo soluzioni veloci anche se qualitativamente scadenti ed inefficaci; inoltre, questi stessi soggetti mantengono l’approccio da “specchietto retrovisore” in quanto, per dimensionare l’impegno al miglioramento futuro utilizzano come unico parametro di riferimento “quanto” facevano in passato.
L’approccio più impattante, ai fine della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro è quello che porta le aziende a non investire adeguatamente perché il problema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro non è considerato come “critico” in quanto:
non crea vincoli che ci impediscono il raggiungimento degli obiettivi prioritari, quindi,
non necessita di investimenti prioritari e, dunque,
si possono minimizzare i costi prevenzionali connessi.
Le conseguenze di tali approcci sono sotto gli occhi di tutti gli addetti ai lavori e non.
In particolare, la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro risulta palesemente non integrata nel sistema di gestione aziendale; inoltre manca una specifica “Cultura della Sicurezza”, in quanto questa non è integrata tra i principi ed i valori che regolano i rapporti tra gli individui e l’organizzazione d’appartenenza.
Palese risulta l’incapacità, al di là delle “enunciazioni di facciata”, di attribuire realmente alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, una “pari dignità” con la Produzione, la Qualità, ecc.
Manca, non solo nelle piccole e medie aziende, un sistema di analisi Costi/Benefici dell’attività prevenzionale (costi diretti e indiretti, incidenza degli infortuni sugli indici produttivi, qualitativi, ecc.).
Gli obiettivi specifici da individuare e raggiungere non sono definiti con chiarezza così come i ruoli e le funzioni necessarie per il raggiungimento degli stessi.
Le azioni da attuare non sono individuate e programmate secondo precise priorità fornendo le risorse necessarie (economiche, umane e tecnologiche); inoltre, spesso mancano criteri condivisi per la verifica sulle modalità d’attuazione delle azioni prefissate con la conseguente mancata individuazione delle azioni correttive e preventive più efficaci.
Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, l’autorità e le responsabilità non sono delegate in modo coerente con l’organizzazione esistente e nel pieno rispetto delle norme di legge vigenti
Infine, manca palesemente, e gli ultimi gravi eventi luttuosi avvenuti anche in grandi aziende lo dimostrano, la capacità di gestire una crisi derivante da gravi infortuni.
Prima di entrare nel merito delle modalità con cui gestire una crisi in seguito ad un grave infortunio sul lavoro avvenuto in una grande azienda, è opportuno fare alcune premesse.
Innanzi tutto, pensare di mantenere costantemente il risultato ““ Zero Infortuni” è un’utopia; è un obiettivo raggiungibile ma sicuramente non mantenibile nel tempo. Questo perché il rischio di infortunio è sempre presente in quanto legato a variabili intimamente connesse al “funzionamento” dell’azienda: comportamentali, socio-organizzative, economiche, normotecniche, ecc.
Infine, vale la pena ricordare che le conseguenze, in caso di gravi infortuni sul lavoro, possono essere:
sequestro dell’ambiente di lavoro/ macchina/ linea/ impianto,
indagine giudiziaria,
interventi di adeguamento dell’ambiente di lavoro/ macchina/linea/ impianto o loro messa fuori servizio,
attribuzioni delle responsabilità a persone fisiche e delle responsabilità amministrative all’ente e conseguente “rinvio a giudizio”,
danni (immagine, economici, ecc.).
Come prevenire le crisi
Possiamo definire la crisi come un avvenimento in grado di pregiudicare la business continuity di un’azienda e che, in quanto tale, richiede l’immediata messa in atto di azioni in grado di contenerne gli effetti e ridurre l’impatto sulla reputazione dell’azienda.
L’esperienza insegna che le crisi conseguenti a gravi infortuni sul lavoro trovano terreno fertile in quelle grandi aziende dove l’applicazione delle norme e delle regole tecnico-legali in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro sono applicate con superficialità se non disattese, non ci sono competenze adeguate e diffuse ai vari livelli aziendali, le motivazioni alla sicurezza sono insufficienti se non totalmente mancanti.
In altre parole, manca del tutto una cultura della sicurezza intesa, come già detto prima, quale integrazione della stessa tra i principi e valori che regolano il rapporto tra il personale e l’organizzazione in cui operano.
In genere una crisi di questo tipo si innesca perché sono stati trascurati:
i rischi tradizionali, per negligenza, per incompetenza, ecc..
i rischi sistemici, causati da malfunzionamenti interni del sistema organizzativo aziendale e dalle interazioni tra il sistema e l’ambiente esterno;
i rischi evolutivi, conseguenti a grandi cambiamenti nell’ambiente esterno che possono riguardare i valori e i principi di riferimento, l’evoluzione tecnologica, ecc..
Per ridurre al minimo il rischio di una crisi derivante da gravi infortuni sul lavoro, l’azienda dovrebbe porsi delle domande come, ad esempio, le seguenti:
abbiamo individuato tutte le fonti di potenziale pericolo nei processi lavorativi?
abbiamo individuato tutte le mansioni esposte alle fonti di potenziale pericolo?
abbiamo associato a ciascuna mansione il personale esposto?
abbiamo individuato l’entità dei rischi a cui è esposto ciascun individuo durante la sua attività?
l’organizzazione aziendale è strutturata in modo tale da favorire il raggiungimento degli obiettivi prevenzionali?
il livello delle competenze dei soggetti coinvolti è tale da rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi prevenzionali?
i comportamenti di tutto il personale coinvolto sono coerenti con gli obiettivi prevenzionali fissati?
enfatizziamo costantemente l’integrazione della sicurezza e della tutela della salute tra i valori e i principi aziendali?
non gestiamo la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro secondo schemi costruiti a tavolino?
dialoghiamo apertamente e con continuità con gli interlocutori interni (rappresentanze sindacali e RLS) ed esterni (enti di vigilanza), in modo da costruire dei “legami” utili in caso di crisi?
abbiamo strutturato un sistema aziendale, efficace ed efficiente, di comunicazione finalizzata, quali-quantitativamente coerente con gli obiettivi prevenzionali fissati?
sviluppiamo processi di coinvolgimento e condivisione degli obiettivi prevenzionali a tutti i livelli?
abbiamo definito un sistema di incentivazione finalizzato agli obiettivi prevenzionali ma correlato agli obiettivi qualitativi e produttivi (Produttività-Qualità-Sicurezza)?
monitoriamo costantemente la coerenza dei processi decisionali con gli obiettivi prevenzionali fissati?
analizziamo le situazioni passate traendone un adeguato feedback utile per la gestione delle situazioni di crisi?
effettuiamo periodiche diagnosi, ai vari livelli e nelle differenti funzioni (dai vertici agli operatori), riguardo gli atteggiamenti inerenti la sicurezza sul lavoro?
attuiamo programmi di formazione continua per il personale mediante processi di apprendimento che favoriscano lo sviluppo delle capacità di diagnosi, controllo e gestione proattiva e creativa delle possibili situazioni di crisi (simulazioni, ecc.)?
Risposte positive a queste domande, ovviamente, riducono significativamente il rischio di una crisi in seguito ad infortunio sul lavoro.
Come gestire le crisi
L’eventuale crisi in seguito ad infortuni sul lavoro deve essere gestita in quattro ben distinte fasi:
assunzione responsabilità,
comunicazione,
definizione degli interventi da attuare,
gestione della crisi.
Per quanto riguarda l’assunzione di responsabilità, ci sono quattro cose da fare:
rigore e rapidità nell’affrontare l’emergenza e nel soccorso alle persone colpite e alle loro famiglie;
raccogliere velocemente informazioni al fine di definire la reale natura e le concrete dimensioni del problema;
costituire un team che segua direttamente la crisi;
iniziare a scrivere un resoconto dal momento della genesi dell’evento in poi fino alla conclusione della crisi.
Ci sono anche quattro cose da non fare ma che, nella realtà, sono poi gli errori che vengono commessi con maggiore facilità dalle aziende non preparate a gestire una crisi:
non darsi alla “fuga” facendo riferimento alle procedure in vigore, alle norme interne, ecc., per le quali non ci si sente responsabili;
evitare posizioni di “stallo decisionale” giustificandole con la mancanza di informazioni;
evitare reazioni eccessive, spinte da meccanismi di risoluzione dell’ambiguità, da protagonismo, da strategie politiche, dalla possibilità dell’utilizzo delle risorse, ecc.;
evitare che tutta l’organizzazione aziendale si focalizzi sulla crisi.
Per quanto riguarda la comunicazione, è estremamente importante:
evitare i “silenzi” in attesa delle informazioni per poter “rassicurare”;
individuare il target (massmedia, sindacati, enti di vigilanza, associazioni, ecc.);
dimostrare il possesso di tre capacità essenziali:
serietà organizzativa, decisionale e procedurale,
riconoscimento delle reali dimensioni del problema,
riconoscimento degli interlocutori interni e esterni,
al fine di non perdere credibilità.
Per la definizione degli interventi da attuare è necessario:
interrogarsi a fondo sulla reale natura e le concrete dimensioni del problema esaminando anche le concause, le interazioni con la struttura organizzativa e le conseguenze;
attivare il “sistema di dialogo” con gli interlocutori interni ed esterni;
individuare cosa sia realmente in gioco e cioè quale siano i rischi che si stanno realmente correndo durante lo sviluppo della crisi;
individuare i valori/principi (responsabilità, solidarietà, ecc.) e i criteri decisionali che serviranno da riferimento;
costruire un sistema decisionale “ad hoc” (partendo dalla struttura gerarchica esistente e integrando in esso altre figure chiave) e rendendone nota a tutti l’esistenza;
stabilire le caratteristiche fondamentali delle modalità di risposta nel rispetto dei valori/principi di riferimento;
costituire un gruppo di supporto per chi decide, con l’incarico di:
individuare i possibili scenari configurabili,
evidenziare i possibili sviluppi della situazione di crisi,
vigilare sulla gestione della crisi,
al fine di garantire la qualità del processo decisionale.
Per la gestione della crisi, devono essere garantiti i seguenti “punti fermi”:
assumere la responsabilità della crisi;
individuare le parti dell’organizzazione realmente interessate dalla crisi;
comunicare i valori e i principi dell’organizzazione;
definire “chi fa cosa”, “come e quando la fa”, “in quale contesto” e “di cosa ha bisogno per farla”;
ordinare secondo priorità le emergenze durante tutto lo sviluppo della crisi;
controllare quali-quantitativamente la comunicazione finalizzata;
gestire i conflitti che si manifesteranno durante la crisi;
individuare gli errori commessi per correggerli;
prendere iniziative;
monitorare in continuo l’integrità del sistema;
monitorare la fase del “dopo crisi”.
Nell’ambito delle fasi di gestione della crisi, è anche necessario organizzare un gruppo di lavoro per la gestione della stessa.
Ciò richiederà:
l’individuazione del luogo (stabilimento, sede centrale, ecc.) da dove verrà affrontata la crisi e i supporti logistici necessari;
l’immediata attivazione e il coinvolgimento delle funzioni aziendali coinvolte e le competenze aggiuntive necessarie;
l’individuazione degli esperti incaricati di analizzare il caso (tecnici, legali, medici del lavoro, ecc.);
il supporto (logistico, ecc.) da dare agli esperti;
la comunicazione, a tutti gli interessati (interni e esterni), dell’esistenza e della reperibilità del Gruppo di Crisi.
Il Gruppo di Crisi dovrà essere messo nelle condizioni di lavorare nella massima trasparenza, organizzando il “feedback” sulle informazioni diffuse e monitorando le informazioni date e ricevute, le decisioni prese e le ragioni/criteri di tali scelte e sostenendo la struttura organizzativa e gli individui più esposti.
La crisi dovrà essere monitorata costantemente nella sua evoluzione (progressi, errori, azioni correttive, ecc.); Si dovrà costantemente garantire la “qualità” dei rapporti con l’esterno (ASL, VV.F., Magistratura, Associazioni, Popolazione, ecc.) e, ovviamente, con le rappresentanze interne dei lavoratori.
Ritornando sulla fase di comunicazione, è necessario distinguere tre tipologie di destinatari della comunicazione:
il pubblico interno,
gli infortunati e le loro famiglie,
gli organi di informazione.
Per quanto riguarda la comunicazione con il pubblico interno, è necessario:
individuare le varie tipologie di pubblico: colleghi di reparto, RLS/RSU, ecc.;
definire le tecniche di comunicazione;
strutturare canali di comunicazione che stimolino il feed-back;
organizzare riunioni con il personale suddiviso per tipologia.
Per la comunicazione con gli infortunati e le loro famiglie, è opportuno:
attuare una comunicazione rapida i cui criteri distintivi siano l’umanità, il tatto e la manifesta concreta preoccupazione di garantire sostegno e supporto, da parte dell’azienda, agli infortunati e alle loro famiglie;
rendere noti i nominativi e la reperibilità degli interlocutori aziendali a cui ricorrere per superare difficoltà di vario tipo: burocratiche, economiche, sanitarie, psicologiche, ecc..
Per la comunicazione con gli organi di informazione, è anche qui opportuno:
non sottrarsi all’obbligo morale e operativo di fornire informazioni;
non mentire, non tergiversare e non minimizzare il fatto;
fornire informazioni nella fase “a caldo” e, poi, nella fase successiva dove le richieste riguarderanno le misure di prevenzione e protezione attuate, le responsabilità, ecc.;
fornire informazioni frequentemente in modo preciso, completo e coerente evitando di “rassicurare”;
disporre di un “portavoce” autorevole con competenze tecniche e decisionali;
predisporre materiale informativo quale:
interventi attuati per il miglioramento della sicurezza,
benchmarking con altre aziende del settore,
andamento infortuni e malattie professionali.
Riguardo la comunicazione, bisogna assolutamente evitare uno degli errori ricorrenti da parte delle aziende al verificarsi di un grave infortunio sul lavoro e cioè quello di lasciare condurre il gioco ai massmedia.
Va evidenziato che i mass media vanno trattati in modo diverso in funzione delle loro esigenze (giornali, TV, radio, ecc.); ad essi vanno sempre spiegate:
le difficoltà esistenti,
le responsabilità sociali assunte dall’azienda,
i valori e i principi che guidano la gestione della crisi.
Avvicinandoci alle conclusioni di questo contributo, è opportuno fornire qualche consiglio su cosa non fare nel “dopo crisi” ed evitare ulteriori errori:
non bloccare il processo all’apparire dei primi segnali favorevoli;
non fare confusione tra:
la fine della gestione tecnica dell’emergenza e la fine della crisi;
la fine della crisi con i massmedia e la fine dei problemi da risolvere;
non “cantare vittoria” se non prima si sia sicuri che non ci siano più “strascichi” della crisi.
In conclusione, dopo questa lunga disamina, è importante non pensare mai che la comunicazione sia la parte essenziale della fase di gestione della crisi per infortuni sul lavoro e per malattie professionali, in quanto questa è un fatto strategico ed è attuabile solo se integrata in un’attività continua per la prevenzione e la protezione dai rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Fonti: Puntosicuro.it, Carmelo G. Catanoso (Ingegnere Consulente di Direzione)