Un contributo si sofferma sulle aggressioni al personale sanitario come rischio lavorativo. Focus sulla legge 113/2020, sull’organizzazione lavorativa, sulla valutazione dei rischi, sulla riunione periodica e la formazione.
Come ricordato nell’articolo “ Indicazioni per la valutazione e la prevenzione delle aggressioni”, la violenza nei luoghi di lavoro è un rischio che rientra nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro normata dal Decreto legislativo 81/2008 e come tale deve essere attentamente valutato tenendo conto degli eventi sentinella, della tipologia di attività e di utenza. E questo vale anche per i tanti casi di aggressioni e violenze commesse sul personale sanitario e socio-sanitario.
Per parlare di questa tipologia di aggressioni e fare alcune riflessioni sulla normativa e sulla necessaria valutazione dei rischi, possiamo fare riferimento ad un intervento di Paolo Pascucci (professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo) pubblicato sul numero 1/2022 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell’Osservatorio Olympus dell’ Università degli Studi di Urbino. Un contributo che costituisce un’ampia rielaborazione di interventi presentati l’11 marzo 2022 al seminario “Violenza nei confronti degli operatori sanitari: educare per prevenire” e al webinar “Violenze contro operatori sanitari e socio-sanitari. Oltre l’indignazione alcune proposte per la salute e sicurezza dei lavoratori”.
Come già ricordato in un precedente articolo di presentazione, nell’intervento “Le aggressioni al personale sanitario come rischio lavorativo” Pascucci ricorda l’orientamento della giurisprudenza che, in relazione al rischio di rapina nelle banche e si interroga sulla natura del rischio di aggressioni nelle strutture sanitarie sottolineando come si tratti spesso di un rischio endogeno che può essere causato da disfunzioni dell’organizzazione del servizio.
E si indica che se i rischi di aggressione che avvengono nel settore sanitario possono spesso assumere leconnotazioni di rischiendogeni, c’è la necessità di “adottare non solo misure puramente difensive, tipiche di una prevenzione secondaria, ma anche misure organizzative che possano quanto più possibile eliminare alla fonte i fattori che concorrono ad alimentare i rischi, secondo una logica ispirata al principio della prevenzione primaria”.
Dopo aver parlato, nel precedente articolo di presentazione dell’intervento, di rischi endogeni e modelli organizzativi, ci soffermiamo oggi sui seguenti temi:
- Le aggressioni al personale sanitario e la legge 113/2020
- Le aggressioni al personale sanitario e la valutazione dei rischi
- Le aggressioni: le sanzioni, la riunione periodica e la formazione
Le aggressioni al personale sanitario e la legge 113/2020
Nell’affrontare il tema dei rischi di aggressioni al personale sanitario Paolo Pascucci si sofferma anche sulla legge 14 agosto 2020, n. 113.
Si indica che “qualunque residuo dubbio sulla prevedibilità degli eventi di aggressione al personale sanitario è stato definitivamente spazzato via dall’emanazione della l. n. 113/2020” recante “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”. Una legge che ha posto “esplicitamente in diretta relazione il fenomeno delle aggressioni al personale sanitario con la disciplina della sicurezza del lavoro nel momento in cui nell’art. 2, comma 1. lett. d, ha attribuito all’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie anche il compito di monitorare l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione a garanzia dei livelli di sicurezza sui luoghi di lavoro ai sensi del d.lgs. n. 81/2008” (l’Osservatorio è stato istituito con un decreto del 27 gennaio 2022).
Si indica che nella legge il collegamento con la disciplina della sicurezza sul lavoro “emerge anche nell’art. 7 il quale prevede che, al fine di prevenire episodi di aggressione o di violenza, le strutture presso le quali opera il personale menzionato nell’art. 119 prevedono, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento”.
Rimandiamo alla lettura del contributo che si sofferma ampiamente anche su un altro aspetto su cui agisce la legge, quello sanzionatorio.
Le aggressioni al personale sanitario e la valutazione dei rischi
Paolo Pascucci sottolinea nel contributo che una “cattiva organizzazione del lavoro può far emergere rischi psico-sociali, compresi atteggiamenti violenti tra gli stessi operatori sanitari” e una “cattiva organizzazione dell’assetto e del funzionamento della struttura sanitaria ai fini dell’erogazione del relativo servizio pubblico può concorrere a generare rischi di tensione, di aggressività e di violenza in capo agli utenti di tale servizio”.
E chiaramente il fatto che in molti casi “il rischio possa essere innescato o quanto meno favorito dalla disorganizzazione aziendale incide sul modo di prevenirlo, presupponendo la sua valutazione il più ampio coinvolgimento del personale e non solo la pur necessaria consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza”.
Parlando di valutazione dei rischi si indica, dunque, che, “come accade per gli altri rischi psico-sociali, la loro analisi non può prescindere da un’indagine sul campo volta a segnalarne tutte le possibili fonti che difficilmente possono essere individuate adeguatamente ‘dall’alto’”.
Dunque la valutazione dei rischi di aggressioni non può “prescindere dall’ascolto dei lavoratori e del loro malessere, considerando la particolare importanza in tal caso dei cosiddetti ‘eventi sentinella’”. E questo per “mirare le azioni di prevenzione là dove ve ne sia maggior bisogno e considerando attentamente tutte le possibili criticità dell’organizzazione del lavoro che possano in qualche modo concorrere ad alimentare le manifestazioni violente”.
L’intervento, che rimanda, per quanto riguarda i fattori di rischio ed le misure di prevenzione applicabili, alla Raccomandazione del Ministro della salute n. 8 del novembre 2007, sottolinea come la valutazione dei rischi di aggressioni “dovrebbe essere inglobata in tutte le scelte strategiche e organizzative dell’azienda: sia quelle che riguardano aspetti strutturali e logistici, sia quelle che hanno a che fare con il modo di eseguire le prestazioni lavorative”.
E tra l’altro – continua Pascucci – “obbligando il datore di lavoro a valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008, menziona in particolare quelli riguardanti ‘gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari’, quali ben possono essere, a ben guardare, i rischi di aggressioni che incombono sul personale sanitario esposto ad un maggiore contatto con il pubblico”.
Le aggressioni: le sanzioni, la riunione periodica e la formazione
Dunque un documento di valutazione dei rischi di una struttura sanitaria che non considerasse i rischi di aggressioni sarebbe palesemente incompleto e, dal punto di vista squisitamente giuridico, equivalente – come afferma la giurisprudenza – ad un’omessa valutazione” (Cass. pen., sez. IV, 16 marzo 2010, n. 10448), “con le possibili conseguenze sanzionatorie dell’art. 55 del d.lgs. n. 81/2008”. Né, come emerge nella sentenza n. 1299 del 26 ottobre 2021 del Tribunale di Bari che ha condannato il direttore generale di una ASL, “la valutazione dei rischi di sicurezza sul lavoro, compreso quello in esame, potrebbe essere subordinata a criteri economici”.
Si sottolinea poi che la questione delle aggressioni “deve essere monitorata costantemente anche nell’ambito della riunione periodica di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 81/2008 alla quale partecipano tutti gli attori del sistema di prevenzione aziendale”.
Senza dimenticare, infine, l’altro fondamentale strumento della prevenzione: la formazione.
Attività e azioni di formazione e informazione devono essere calibrate “in modo da consentire ai lavoratori di affrontare adeguatamente il rischio violenza ove non sia altrimenti eliminabile, come prevede l’art. 37 del d.lgs. n. 81/2008 quando obbliga il datore di lavoro ad assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata”. Senza dimenticare i “requisiti quali-quantitativi” previsti dai vari Accordi Stato-Regioni per i corsi di formazione – che ora sono, come ricordato anche nei nostri articoli, in fase di revisione – sono “requisiti minimi che vanno integrati in caso di necessità”: questi corsi di formazione devono essere finalizzati “non solo a consentire di affrontare il fenomeno, ma anche ad individuarne le radici al fine di rendere effettivo quel coinvolgimento dei lavoratori nell’analisi del rischio” di cui si parlava nel contributo e che è prevista anche dal d.lgs. n. 81/2008.
Concludiamo ricordando che l’intervento del prof. Pascucci si sofferma ampiamente anche sul tema delle responsabilità partendo anche dalle motivazioni della sentenza, già citata, del Tribunale di Bari.
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Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it, gazzettaufficiale.it