normative
Pubblichiamo la seconda e ultima parte dell’articolo, scritto per PuntoSicuro dall’avvocato Lorenzo Fantini, sull’assetto attuale e futuro delle competenze legislative in materia di salute e sicurezza. Nella prima parte sono stati individuati gli indirizzi passati in materia, è stato descritto il percorso e l’adeguamento del Testo Unico alla situazione all’assetto portato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. Ora si arriva all’oggi, alle prospettive reali di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni e alle novità della delega, contenuta nel Jobs Act – approvato definitivamente il 3 dicembre in Senato – che riguarda anche la materia della “igiene e sicurezza sul lavoro”.

3. La prospettiva di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza

Nella prima parte di questo contributo ho cercato di fornire una – per quanto sintetica – ricostruzione storica e sistematica delle ragioni e dei contenuti della definizione, operata dal “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, dell’assetto delle competenze tra Stato e Regioni in materia antinfortunistica.

Al riguardo, ritengo utile sottolineare come il tema del cambiamento delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia stato, negli anni successivi alla pubblicazione del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro e del decreto “correttivo” (d.lgs. n. 106/2009) del d.lgs. n. 81/2008, di costante attualità, per ragioni non tanto di tipo dottrinale quanto, invece, più legate alla difficoltà di applicazione di una normativa non semplice nelle diverse parti del territorio italiano, troppo spesso interpretata dagli organi di vigilanza competenti in materia – i quali, va ricordato, sono ex lege le ASL ma anche, in taluni settori (edilizia su tutti) le Direzioni Territoriali del Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, in altri, organi diversi (si veda quanto previsto all’articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008) – in modo niente affatto uniforme nelle diverse Regioni o Province autonome.

In tale contesto, solo in parte mitigato dalla operatività (oggi apprezzabile, dopo un primo periodo di stasi nelle relative attività) della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza (chiamata a fornire indirizzi operativi comuni agli organi di vigilanza di Stato e Regioni su temi di natura generale discussi in materia di salute e sicurezza sul lavoro) prevista dall’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008, si è sempre più diffusa tra gli operatori la convinzione che sia opportuno se non addirittura necessario un mutamento almeno dell’assetto istituzionale – se non proprio delle competenze legislative – della salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alle attribuzione della titolarità della vigilanza in materia.

Al riguardo, valore paradigmatico va attribuito alle ampie considerazioni svolte al punto 2.5. della “Relazione finale”, approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica [1], da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, che si riportano – parzialmente – di seguito.

“2.5. La proposta della Commissione. L’istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro

In vista della scadenza del suo mandato, la Commissione d’inchiesta ha sentito come suo dovere non solo la necessità di segnalare l’esistenza di una serie di difficoltà e di ritardi nel coordinamento e nella cooperazione tra gli organismi statali e periferici del sistema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ma anche l’esigenza di individuare e suggerire, al Governo e al Parlamento, possibili soluzioni. La prima ipotesi presa in considerazione è stata quella di una proposta di modifica dell’articolo 117 della Costituzione per riportare alla competenza esclusiva dello Stato la potestà legislativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Si trattava certamente di una proposta «forte», in quanto incideva direttamente sull’assetto del nostro sistema istituzionale e, come tale, è stata oggetto di un’ampia riflessione all’interno della Commissione.
Con questa proposta di revisione costituzionale non si intendeva tuttavia sottrarre competenze o poteri alle Regioni e alle Province autonome, in nome di una malintesa forma di statalismo o centralismo, bensì piuttosto ripristinare le condizioni per l’esercizio di un effettivo potere di indirizzo e di programmazione nelle politiche a favore della salute e sicurezza sul lavoro, capace di dispiegarsi in maniera univoca su tutto il territorio nazionale, per assicurare uguali livelli di tutela di diritti che – è bene ribadirlo – sono costituzionalmente garantiti. Un potere di questo tipo potrebbe essere esercitato soltanto dallo Stato, ma non andrebbe ad interferire con le altre attribuzioni spettanti alle Regioni in questo settore, considerato tra l’altro che l’azione amministrativa – ossia le concrete competenze operative, volte a tradurre in pratica gli indirizzi politici – dovrebbe necessariamente esplicarsi a livello locale, come prevede del resto anche l’articolo 118, primo comma, della Costituzione, in applicazione del principio di sussidiarietà.
Questa posizione trova conforto nel confronto con l’assetto normativo di altri Paesi. All’inizio della XVI legislatura, la Commissione d’inchiesta ha svolto un’apposita indagine in tre Paesi dell’Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito), dalla quale è risultato che in tutti e tre gli Stati la potestà legislativa in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” è di esclusiva competenza statale, anche in una nazione di marcata impronta federalista come la Germania.
In realtà, sul tema della competenza legislativa si confrontano, legittimamente, due distinte posizioni, fra chi ritiene che essa dovrebbe essere appunto ricondotta in via esclusiva allo Stato, per assicurare una effettiva uniformità di indirizzo, e chi invece sostiene l’opportunità che essa rimanga concorrente fra lo Stato e le Regioni e Province autonome, per garantire una più efficace attuazione in ambito territoriale. Si tratta ovviamente di un tema complesso, che si iscrive nel più generale dibattito sulla ridefinizione dei rapporti e delle competenze tra lo Stato centrale e gli enti locali, intorno al quale esistono opinioni e sensibilità diverse”.

La Commissione prosegue ricordando come le criticità da lei stessa riscontrate nel corso degli anni siano state decisamente negate dalle Regioni a tale scopo audite e, tenendo conto delle medesime, formalizza la proposta che testualmente di seguito si trascrive:

“Come risulta da questa ampia illustrazione, il sistema delle Regioni e delle Province autonome è dunque fermamente contrario ad una revisione dell’articolo 117 della Costituzione, ritenendo che essa non risolverebbe i problemi indicati dalla Commissione d’inchiesta, che andrebbero invece affrontati con interventi volti a rafforzare il coordinamento e la leale collaborazione tra le amministrazioni centrali e periferiche nelle sedi istituzionali già esistenti. Ciononostante, le Regioni hanno comunque riconosciuto l’esistenza di un problema generale, che è appunto quello di assicurare una più efficace uniformità di indirizzo politico e quindi di azione sia a livello nazionale che territoriale, anche se le valutazioni divergono riguardo alle possibili soluzioni.
Nel prendere atto della posizione del sistema regionale, la Commissione ha avviato lo studio di una soluzione alternativa che, senza incidere sul riparto delle competenze costituzionali in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, possa tuttavia fornire correttivi all’attuale situazione, nella convinzione che occorra comunque prevenire quei rischi di eccessiva dispersione e disomogeneità dell’azione amministrativa che – è bene ripeterlo – sono emersi in modo chiaro durante l’inchiesta, in particolare attraverso la ricognizione diretta svolta in tutte le Regioni d’Italia negli ultimi due anni.
Si è già spiegato che nell’attuale assetto istituzionale il coordinamento a livello centrale delle attività di prevenzione e di vigilanza per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro spetta al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di vigilanza, previsto dall’articolo 5 del Testo unico. Tuttavia, per le difficoltà già indicate, il Comitato non ha potuto finora svolgere appieno questa funzione, il che costituisce un oggettivo elemento di debolezza del sistema e impone un ripensamento della natura e degli strumenti a disposizione di questo organismo. Come si è già accennato nel paragrafo 2.3, partendo da tale assunto, dopo un’attenta riflessione la Commissione d’inchiesta ha elaborato una proposta, mirante a sopprimere il Comitato e a sostituirlo contestualmente con una nuova «Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro», che ne assumerà le funzioni. L’Agenzia eserciterà tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto all’assetto vigente. I diversi aspetti dell’iniziativa sono stati esaminati in particolare nelle sedute del 14 e del 21 novembre 2012 e hanno condotto alla predisposizione di un testo normativo che, su iniziativa del presidente Tofani e dei componenti della Commissione, è infine confluito nel disegno di legge n. 3587, presentato in Senato il 27 novembre 2012 e intitolato «Istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro».
La scelta di proporre questa soluzione si rende necessaria proprio alla luce delle considerazioni precedenti: il sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico è infatti necessariamente complesso e articolato, coinvolgendo le competenze di una pluralità di soggetti istituzionali e sociali. Serve quindi una modalità di raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e, contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali. Al riguardo, la Commissione ha ritenuto che tale compito possa essere meglio assolto da un organismo dedicato, che sia al tempo stesso operativamente snello e dotato di adeguate competenze e risorse.
La formula dell’Agenzia, già prevista e presente nel nostro ordinamento con compiti di supervisione e controllo in vari settori di pubblico interesse (si pensi, solo per fare un esempio, all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie), è apparsa quindi la scelta più idonea a soddisfare queste esigenze”.

La Commissione, dopo aver esplicato nel dettaglio la proposta (effettivamente confluita in un vero e proprio disegno di legge), conclude sul punto formulando: “L’auspicio (…) che questa iniziativa possa trovare il sostegno convinto di tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali del Paese, per giungere ad una sua rapida attuazione nella prossima legislatura, e contribuire così in questo modo ad una più efficace azione di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali”.

4. Il “Jobs act” e le possibili novità in materia: “solo” semplificazioni o anche rivisitazione delle competenze istituzionali?

Tutto quanto sin qui ricordato va inserito in un momento storico nel quale l’elemento di prepotente attualità è l’esistenza di un testo – all’interno del Jobs Act approvato in modo definitivo il 3 dicembre 2014 a Palazzo Madama – che prevede, tra l’altro, una vera e propria delega in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per quanto di portata assolutamente non chiara e con una formulazione che desta, del tutto legittimamente, non poche perplessità (al riguardo si rinvia a Il Jobs act e le modifiche in materia di salute e sicurezza, di Tiziano Menduto, su www.puntosicuro.it del 6 novembre 2014, che contiene anche una intervista a Cinzia Frascheri sull’argomento).

In particolare, il testo del Ddl n.1428-B, approvato in Senato pochi giorni fa con le modifiche della Camera dei Deputati del 25 novembre 2014, comprende una delega che riguarda anche la materia della “igiene e sicurezza sul lavoro” (espressione evidentemente superata in quanto, come noto, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008, di “igiene sul lavoro” non si parla più per essere, invece, utilizzata la più generale dizione di “salute e sicurezza sul lavoro”) in ordine alla quale: “il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese”.

L’articolo 1, comma 5, del documento in commento individua come segue i principi e criteri direttivi [2] della possibile delega:
a) “razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) introduzione del divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
e) rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione
della tenuta di documenti cartacei;
f) revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita,
nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
g) previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore;
h) individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
i) revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione nell’ambito della dorsale informativa di cui all’articolo 4, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e della banca dati delle politiche attive e passive del lavoro di cui all’articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, anche con riferimento al sistema dell’apprendimento permanente;
l) promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)”.

Il testo approvato e la possibile rivisitazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro costituisce, a parere di chi scrive, una importante opportunità.

In particolare, mi pare utile che si possano sfruttare oltre cinque anni di applicazione del “testo unico” – un tempo non lungo ma sufficiente ad individuare taluni errori nella attuale regolamentazione, resi evidenti dalla applicazione della normativa in concreto – per migliorarne la comprensibilità e l’efficacia in termini di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Al riguardo, pur comprendendo le preoccupazioni che sono state espresse (nell’ambito della già segnalata intervista resa a Tiziano Menduto) da Cinzia Frascheri in ordine all’ipotesi di un troppo radicale mutamento dell’assetto legislativo italiano in materia di salute e sicurezza, non le reputo condivisibili in ragione della circostanza che tale scelta non sarebbe giuridicamente possibile per la semplice ragione che, come noto, il “testo unico” è regolamentazione di derivazione comunitaria che, quindi, non ammette modifiche legislative che comportino la lesione di livelli di tutela già vigenti in Italia e a loro volta attuativi di direttive comunitarie.

In tale contesto ritengo che l’occasione da cogliere, anzi, dovrebbe essere quella di snellire le disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza e perfezionarle, partendo dalla garanzia del più rigoroso e insuperabile rispetto dei livelli di tutela che sono trasposizione in Italia delle previsioni delle direttive comunitarie di riferimento.

In tale scenario, come già esposto ancora molto “fluido” sia quanto alla possibilità che l’intervento di riforma si realizzi sia quanto alla sua conclusiva portata,è parimenti auspicabile un intervento sull’assetto delle competenze tra Stato e Regioni, che dovrebbe muoversi nella direzione di una modifica dell’assetto istituzionale oggi vigente.
Ciò per le ragioni già evidenziate dalla Commissione di inchiesta nella citata “Relazione finale” e anche per l’eccessivo proliferare di interventi a livello regionale e provinciale troppo disomogenei tra loro e realizzati con strumenti impropri, vale a dire non con leggi ma con decreti, delibere o, addirittura, per mezzo di circolari, in quanto inidonei a sostituire la legislazione nazionale (per quanto “cedevole” nel senso sopra illustrato). Tale modifica potrebbe essere limitata ad alcuni aspetti dell’assetto istituzionale in materia (è il caso della Agenzia proposta dalla Commissione d’inchiesta), realizzandosi a struttura costituzionale invariata, oppure – auspicabilmente – potrebbe passare per mezzo del disegno di legge di modifica costituzionale, anch’esso in discussione in Parlamento, che prevede la devoluzione della materia della salute e sicurezza allo Stato.

Una simile scelta sarebbe essa stessa una semplificazione, sia in quanto individuerebbe un riferimento unico a livello nazionale in luogo di tanti a livello territoriale (in ordine ai quali neppure è possibile ipotizzare rapporti di tipo gerarchico che giustifichino interventi di correzione nei riguardi di provvedimenti regionali o provinciali non coerenti con quelli di altre Regioni o Province autonome) e sia perché renderebbe possibile l’eliminazione, per quanto graduale, di atti (si pensi, per tutti, ai molteplici Accordi in Conferenza Stato-Regioni applicabili alla materia della formazione alla salute e sicurezza sul lavoro) complessi e spesso in contrasto tra loro.

Fondamentale, qualora si decidesse di mutare il quadro normativo di riferimento, sarebbe collocare la materia della salute e sicurezza sul lavoro nell’ambito dell’ “ordinamento civile” materia che già oggi, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, ricade nella sfera della competenza esclusiva dello Stato. Tale conclusione si impone in quanto le disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza in Italia sono, come pacifico, innanzitutto attuative dell’obbligo generale di tutela di cui all’articolo 2087 del codice civile, interpretato – dai Giudici civili e penali – in base al noto principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” [3]. Ciò varrebbe a dire riconoscere una volta per tutte che la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è “oggetto di un’obbligazione contrattuale del datore di lavoro alla quale fa riscontro il diritto del lavoratore a che siano approntate tutte le misure necessarie a garantirgli l’integrità fisica e la personalità morale” (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 24).

Si tratta, del resto, di una interpretazione condivisa dalla giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui tutto ciò che riguarda i rapporti intersoggettivi tra datore e lavoratore deve essere collocato nell’ “ordinamento civile” (Corte cost. n. 50/2005), compresa l’ipotetica disciplina legislativa (allo stato, inesistente) del mobbing, fenomeno che “rientra nell’ordinamento civile” in quanto “non può non mirare a salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali del lavoratore” (Corte cost., n. 359/2003). Come può dirsi – a parere di chi scrive – a maggior ragione per la massima parte della disciplina vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

A favore della tesi della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della salute e sicurezza sul lavoro depone, altresì, la circostanza che la maggior parte delle norme allo stato applicabili è assistita da sanzione penale la quale, a meno che non si intenda – come l’ordinamento vigente non consente – ipotizzare una differente disciplina regionale, resta nella completa disponibilità del legislatore statale.

Al riguardo – in tal modo in qualche misura “tradendo” una volontà di dare alla attuale formulazione dell’articolo 117 della Costituzione una interpretazione che non vanifichi, con specifico riguardo alla infelice espressione “tutela e sicurezza del lavoro”, il principio della “devoluzione” della legislazione alle Regioni – il Consiglio di Stato, nel già descritto parere del 2004, era arrivato addirittura ad ipotizzare la possibilità che “la disposizione statale preveda il nucleo del precetto (…), al contempo enunciando il criterio tecnico alla stregua del quale il legislatore regionale può attendere alla specificazione, sempre in chiave tecnica, dello stesso precetto statale” prefigurando una tecnica normativa “composita” che appare di ben difficile applicabilità.
In ogni caso, la posizione complessivamente assunta dal Consiglio di Stato (e descritta nel dettaglio nella prima parte di questo contributo) appare in un certo senso (a mio parere, fortunatamente) “isolata”, ancora più ove si consideri che nel parere in commento sembra argomentarsi nel senso che sarebbero le Regioni a dover legiferare in materia di salute e sicurezza sul lavoro spettando allo Stato unicamente la determinazione dei principi generali in materia in alcuni limitati casi. Al riguardo, è sufficiente rimarcare come la Corte costituzionale nella più volte citata sentenza n. 359 del 2003 ha affermato che anche ove sia assente una disciplina legislativa “deve ritenersi precluso alle Regioni intervenire, in ambiti di potestà legislativa concorrente, dettando norme che vanno ad incidere sul terreno dei principi fondamentali”.

In un tale contesto la devoluzione della competenza legislativa in materia di salute e sicurezza allo Stato in luogo delle Regioni eliminerebbe anche solo potenzialmente la disomogeneità tra normative territoriali di salute e sicurezza, la quale espone i lavoratori al rischio del difetto di tutela sui luoghi di lavoro e lo Stato alla responsabilità risarcitoria per incompleta attuazione delle direttive comunitarie; ciò proprio in una materia, quale la salute e sicurezza sul lavoro, che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati e che, pertanto, impone la sicura (ed uniforme anche a livello territoriale) individuazione di alcune garanzie di base rispetto alle quali la potestà legislativa concorrente delle Regioni si manifesti – casomai – unicamente tramite deroghe migliorative rispetto ai livelli dettati dalla legislazione statale.

Avv. Lorenzo Fantini

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[1] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it
[2] Il testo è stato leggermente modificato il 25 novembre dalla Camera dei Deputati rispetto alla prima versione approvata dal Senato della Repubblica nella seduta pomeridiana dell’8 ottobre 2014.
[3] In ordine al quale, quanto alla relativa importanza e portata, sia consentito rinviare a Dubini-Fantini, I compiti e le responsabilità delle figure della prevenzione, EPC, 2014, Volume II

Fonti: Avvocato Lorenzo Fantini, Puntosicuro.it