Una sentenza della Cassazione si sofferma su un infortunio con un carrello elevatore usato da soggetti terzi non autorizzati. È possibile escludere la posizione di garanzia in virtù della estraneità dell’infortunato alla organizzazione lavorativa?
Sappiamo che il carrello elevatore non è solo una delle più diffuse attrezzature nei luoghi di lavoro, ma anche una delle macchine per sollevare e trasportare carichi che è più spesso coinvolta in infortuni lavorativi. E sono diverse le sentenze, anche di Cassazione, che hanno affrontato il tema delle responsabilità in casi di infortunio ad esempio con riferimento a carenze nell’attrezzatura (Sentenza n. 9140 del 28 febbraio 2018) o alla mancanza di idonea formazione (Sentenza n. 47470 del 16 ottobre 2017).
Tuttavia cosa succede quando il mezzo viene utilizzato da terzi estranei all’organizzazione lavorativa in cui il mezzo è normalmente utilizzato?
Per rispondere a questa domanda possiamo fare riferimento ad una recente sentenza della Corte di Cassazione – Sentenza n. 13583 del 28 marzo 2019 – che interviene sull’utilizzo del carrello elevatore da parte di soggetti terzi non autorizzati e si chiede se è possibile escludere la posizione di garanzia solo in virtù della estraneità dell’infortunato alla organizzazione lavorativa.
Con riferimento alla sentenza, l’articolo si sofferma su:
- Le sentenze di primo e secondo grado e i ricorsi
- La posizione della Corte d’Appello
- Le indicazioni della Cassazione
Le sentenze di primo e secondo grado e i ricorsi
Nella suddetta pronuncia della Corte di Cassazione si indica che la Corte d’Appello di Salerno ha riformato la sentenza con la quale il tribunale di quella città aveva riconosciuto V.P. “penalmente responsabile nella qualità di legale rappresentante” della XXX società cooperativa del reato di cui all’art. 589, cod. pen., “posto in essere ai danni di M.F., dichiarando l’estinzione dello stesso per prescrizione”.
In particolare – continua la sentenza – “si era contestato al V.P., a titolo di colpa specifica, di non avere adottato tutte le cautele necessarie affinché il carrello elevatore, nell’occorso utilizzato dalla vittima”, autista alle dipendenze della ditta di trasporti YYY s.a.s., “venisse utilizzato da persone idonee e con specifica competenza e neppure vigilato affinché quel mezzo non fosse utilizzato da terzi estranei, ciò anche in violazione degli artt. 70 e 71 co. 8 punto 2/1 e art. 163 co. 3 d. Lgs. 81/08 (mancata installazione di apposita segnaletica per regolare il traffico e segnalare i pericoli ai conducenti dei mezzi e delle macchine operatrici), al fine di evitare condizioni di pericolo sul luogo di lavoro”.
Contro la sentenza sono stati presentati diversi ricorsi, del procuratore generale presso la Corte d’Appello di Salerno e delle parti civili:
– il primo “ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale, per avere la corte dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione in ipotesi aggravata dalla violazione della normativa antinfortunistica, rispetto alla quale la novella legislativa di cui alla legge n. 251 del 2005, applicabile al caso di specie, ha previsto il raddoppio del termine”;
– la difesa delle parti civili ha “dedotto violazione di legge e vizio della motivazione per avere la corte escluso l’ipotesi aggravata, e ritenuto di conseguenza l’estinzione del reato per prescrizione, pur emergendo incontrovertibilmente dalla motivazione della sentenza appellata che il reato era stato commesso in un luogo di lavoro con violazione della normativa a tutela dei lavoratori”.
La posizione della Corte d’Appello
Nella sentenza si indica che secondo la corte d’Appello “aveva ritenuto che la posizione di garanzia assunta dal V.P. (quale legale rappresentante della ditta che si occupava della movimentazione delle merci all’Interno di uno stabilimento di proprietà di terzi), nei confronti dei propri dipendenti si estendesse anche alle operazioni di carico e scarico delle merci e, quindi, anche alla vittima, lavoratore alle dipendenze di una ditta diversa, incaricata del trasporto della merce, ma non della sua movimentazione con i carrelli all’interno di quello stabilimento”. In particolare il M.F. si era posto alla guida di un carrello elevatore “senza indossare la cintura di sicurezza e senza rispettare le direttive emergenti dal manuale di istruzione dei macchinari e, in particolare, senza rispettare la segnaletica, peraltro assente sui carrelli, approfittando del fatto che i mezzi erano incustoditi”.
A fronte poi di una contestazione con la quale si era rimproverato al V.P., oltre alla colpa generica, la violazione di specifiche norme contenute nel D.Lgs. 81/2008, il giudice d’appello “ha tuttavia ritenuto che il capo d’imputazione contemplasse solo una colpa generica, non basata sulla violazione degli obblighi di formazione e informazione in ordine alla pericolosità dei mezzi presenti nell’ambiente di lavoro e che, in ogni caso, detti obblighi gravassero su un altro soggetto, titolare di una ditta diversa da quella di cui il V.P. era legale rappresentante e da quella alle cui dipendenze lavorava la vittima”.
Inoltre ha escluso “la configurabilità di una posizione di garanzia in capo all’imputato, sull’assunto che la vittima era un terzo qualificato, ben consapevole dei suoi compiti e che avrebbe dovuto limitarsi al trasporto, e non anche allo scarico, delle merci. Quel giudice, peraltro, ha ammesso che in concreto la vittima aveva utilizzato i carrelli elevatori in modo improprio e senza autorizzazione e adeguata formazione e che ciò costituiva circostanza prevedibile da parte del V.P., ma ha contestualmente precisato che egli non aveva alcun obbligo nei confronti del M.F., siccome dipendente di un’altra ditta, con la quale non vi era alcun rapporto di lavoro, il compito della ditta del V.P. essendo limitato alla movimentazione dei carrelli all’interno dello stabilimento” della ditta YYY.
Le indicazioni della Cassazione
La Cassazione indica che i motivi presentati nei ricorsi sono tutti fondati.
Le denunciate violazioni di legge “sono certamente esistenti. Anche la motivazione è peraltro inficiata da insanabili contraddizioni e manifeste illogicità, riscontrabili pur a fronte della sostanziale stringatezza dell’apparato argomentativo”.
La Corte suprema opera una premessa.
Si segnala che nel capo d’imputazione è contestata, oltre alla colpa generica, “anche quella specifica derivante dalla violazione della normativa speciale inerente all’uso di attrezzature da lavoro. A fronte di tale contestazione, l’obbligo motivazionale del giudice d’appello avrebbe dovuto essere ben più penetrante rispetto alla semplice negazione dell’evidenza risultante dal capo d’imputazione”.
Torniamo al caso in esame.
Si indica che “sebbene la cornice normativa nella quale andava inquadrata la vicenda che ci occupa fosse valutabile alla stregua di una situazione di sostanziale coesistenza di più organizzazioni lavorative nel medesimo contesto e, quindi, del rischio interferenziale che ne conseguiva, deve prendersi atto che, in base alla contestazione d’accusa, al V.P. è stato contestato, in via generica, di avere omesso di adottare misure atte a scongiurare un utilizzo improprio (tale perché effettuato da soggetti non qualificati) dei carrelli elevatori e di vigilare affinché ciò non avvenisse, ma anche di avere violato le regole che impongono l’adozione di particolari cautele nell’uso delle attrezzature da lavoro e di apposita segnaletica nei luoghi in cui detti mezzi vengono impiegati”.
E dunque si tratta di capire se tali obblighi “fossero diretti alla salvaguardia della sicurezza del solo personale autorizzato a utilizzare quelle attrezzature all’interno dello stabilimento o se essi si riferiscano anche alla sicurezza di tutti coloro che vi si trovino impegnati in attività lavorativa, ancorché terzi estranei all’organizzazione facente capo al V.P.”.
A questo proposito, e in linea generale, la sezione della Cassazione ha già definitivamente chiarito “che il datore di lavoro che, con una propria condotta, abbia determinato l’insorgere di una fonte di pericolo, è titolare di una posizione di garanzia inerente ai danni provocati non soltanto ai propri dipendenti, ma anche ai terzi che frequentano le strutture aziendali (cfr. sez. 4 n. 38991 del 10/06/2010, Quaglieri e altri, Rv. 248850). Ed infatti, la configurabilità della circostanza aggravante della violazione di norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, atteso che il rispetto di tali norme è imposto anche quando l’attività lavorativa venga prestata anche solo per amicizia, riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purché detta prestazione sia stata posta in essere in un ambiente che possa definirsi di ‘lavoro’ (cfr. sez. 4 n. 7730 del 16/01/2008, Musso, Rv. 238757)”.
Si sottolinea poi che tale principio è stato successivamente ribadito, precisandosi che “le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’Impresa”.
E ne consegue che laddove in tali luoghi ci siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, “perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli arti. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi [cfr. sez. 4 n. 23147 del 17/04/2012, De Lucchi, Rv. 253322; n. 2343 del 27/11/2013 Ud. (dep. 20/01/2014), S. e altro, Rv. 258436]”.
In relazione a tali “consolidati principi” e “tenuto conto che la corte d’appello si è limitata ad affermare l’insussistenza dell’aggravante contestata, escludendo inoltre la posizione di garanzia del V.P. solo in virtù della estraneità del M.F. alla organizzazione lavorativa facente capo al primo”, la sentenza – conclude la Cassazione – “deve essere annullata con rinvio perché si proceda all’esame dei motivi d’appello rassegnati dall’imputato, esclusa la causa estintiva ritenuta in sentenza”.
Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it