Un saggio si sofferma sul rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro in riferimento agli obblighi di sicurezza e all’art. 2087 c.c. Le norme di riferimento, l’articolo 29-bis, le responsabilità e gli obblighi gravanti sul datore di lavoro.
È evidente quanto sia necessario riflettere in questi mesi sull’impatto dell’emergenza COVID-19 in materia di salute e sicurezza e di diritto sul lavoro e lo abbiamo provato a fare in questi mesi presentando alcuni saggi pubblicati in diverse riviste e working paper.
Torniamo oggi a presentare, in particolare, un saggio pubblicato su “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista dell’Osservatorio Olympus e pubblicazione semestrale dell’ Università degli Studi di Urbino; un saggio che ci permette di mettere a fuoco, pur considerando che la normativa emergenziale è in continua evoluzione, gli obblighi che gravano sul datore di lavoro per realizzare la dovuta protezione del dipendente dal rischio di contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro.
Il saggio dopo avere individuato nei Protocolli nazionali, settoriali, regionali la fonte degli obblighi evidenzia che i Protocolli hanno assunto forza di legge a seguito dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 33/2020. E muovendo da questo presupposto – come indicato nell’abstract del saggio – l’indagine viene incentrata sul “rapporto tra l’art. 2087 c.c. e le misure di sicurezza previste dai Protocolli, per concludere che tali misure identificano in via esclusiva gli obblighi del datore di lavoro per la prevenzione del contagio da Covid-19”.
In questo articolo ci soffermiamo brevemente sui seguenti argomenti:
- Le norme di riferimento riguardo all’emergenza COVID-19
- Il rapporto tra l’art. 2087 del Codice civile e la normativa emergenziale
- Gli obblighi e alle responsabilità che gravano sul datore di lavoro
Le norme di riferimento riguardo all’emergenza COVID-19
Nel saggio “ Il rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro: obblighi di sicurezza e art. 2087 c.c. (prime osservazioni sull’art. 29-bis della l. n. 40/2020)”, a cura di Arturo Maresca (Professore ordinario di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma), vengono inizialmente riportate le norme di riferimento, alla stesura del saggio, e si indica che “la disposizione dalla quale occorre prendere le mosse per ricostruire il dato normativo vigente è quella contenuta nell’art. 1, comma 14, del d.l. 16 maggio 2020, n. 33, convertito con l. 14 luglio 2020, n. 74, in forza della quale ‘le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16’. Norma che viene rafforzata dal comma 15 dello stesso art. 1, per cui ‘il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza’”.
E si ricorda anche l’art. 29-bis, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 convertito con l. 5 giugno 2020, n. 40 “con il quale il legislatore ha ritenuto di precisare che ‘ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale’”.
Sono poi ricordate altre norme recanti misure attuative del d.l. n. 33/2020 che fanno riferimento alla previsione sull’intero territorio nazionale del rispetto dei contenuti del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all’allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020.
Rimandiamo alla lettura del saggio che riporta ulteriori dettagli sulla normativa e sui protocolli in materia COVID-19.
Il rapporto tra l’art. 2087 del Codice civile e la normativa emergenziale
In definitiva per l’individuazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro si deve verificare se la normativa speciale, “operando in modo analogo al meccanismo ordinario proprio dell’ art. 2087 c.c. e del TU n. 81/2008, ne costituisce una specificazione predisposta dal legislatore per prevenire il rischio di contagio da coronavirus che rende ripetitiva e, per questo inapplicabile, la tutela apprestata in via generale”.
Insomma “si tratta di capire se l’articolazione di un microsistema congegnato dal legislatore per formare una disciplina speciale di contrasto al Covid-19 organizzando le norme in funzione della varietà degli interessi da proteggere e degli equilibri da salvaguardare, possa al suo interno annoverare anche una sistema di protezione del rischio da contagio nei luoghi di lavoro sostitutivo di quello, altrimenti operante in base alle norme ordinarie (cioè l’art. 2087 c.c. ed il TU)”.
E per dirla in una battuta – continua l’autore – “il punto non è se questo rischio grava sul datore di lavoro, ma piuttosto quali sono le misure di prevenzione prescritte dal legislatore, muovendo dal presupposto scontato che, sul piano generale, la tutela dell’art. 2087 c.c. concorre con quella del TU n. 81/2008, ma ciò però non implica necessariamente che le norme ad hoc della legislazione speciale per il contrasto al COVID-19 si integrano con quelle ordinarie, anziché operare in loro sostituzione”. E “le implicazioni di tale alternativa non sono di poco conto. Infatti, se si dovesse ritenere applicabile anche l’art. 2087 c.c., ciò comporterebbe che l’adempimento dovuto dal datore di lavoro nella predisposizione delle misure di prevenzione al rischio di contagio andrebbe misurato anche con riferimento alle c.d. misure innominate, cioè tutte quelle che, sebbene non espressamente previste, sono ritenute (secondo l’art. 2087 c.c.) ‘necessarie’ per tutelare il lavoratore ‘secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica’”.
Tuttavia “la strada tracciata dal legislatore in ordine alle misure di prevenzione del rischio di contagio da COVID-19 appare sufficientemente chiara, specialmente a seguito dell’ art. 29-bis della l. n. 40/2020”. Infatti, come abbiamo visto, con quest’ultima norma “il legislatore ha voluto non solo individuare e circoscrivere tali misure facendo rinvio ai Protocolli (in tutte le loro articolazioni: nazionale, settoriale, regionale, aziendale), ma anche assumere espressamente posizione circa la loro interazione con l’art. 2087 c.c.”.
Tuttavia “con l’art. 29-bis il legislatore ha voluto indicare una delle (molteplici e variegate) modalità di adempimento dell’art. 2087 c.c. che, quindi, continuerebbe per il resto a mantenere la sua normale operatività oppure ha inteso prescrivere, circoscrivendolo, l’adempimento dovuto in via esclusiva dal datore di lavoro quanto alla prevenzione del rischio di contagio da COVID-19, premurandosi di richiamare l’art. 2087 c.c. proprio per dare soluzione al concorso apparente di questa norma con le ‘prescrizioni’ dei Protocolli”?
Quest’ultima – afferma l’autore – appare la soluzione corretta.
E non si vuole negare “la necessità di adeguamento delle misure di prevenzione dal rischio di contagio da coronavirus con riferimento sia ai sempre possibili miglioramenti sia alla specificità dei luoghi di lavoro, bensì prendere atto che, in considerazione delle peculiari caratteristiche del rischio COVID-19, tali adeguamenti operano con modalità diverse da quelle dell’art. 2087 c.c. e più appropriate rispetto al rischio epidemiologico che deve essere presidiato. Infatti sono affidati ad un sistema specializzato di prevenzione costruito su misura per tale rischio che si fonda non già su un protocollo monolitico, ma si articola in protocolli nazionali, regionali, di categoria o aziendali al cui interno è prevista la costituzione di comitati di monitoraggio – che si affiancano agli organismi che, in via ordinaria, presidiano la sicurezza del lavoro – aggregando le diverse competenze (quella degli RLS, delle RSA/RSU, ma anche con il coinvolgimento delle autorità sanitarie locali)”.
Rimandiamo, anche in questo caso, alla lettura integrale del saggio che riporta ulteriori spiegazioni e specificazioni rispetto alle considerazioni dell’autore.
Gli obblighi e alle responsabilità che gravano sul datore di lavoro
Riguardo in definitiva alla domanda iniziale relativa agli obblighi e alle responsabilità che gravano sul datore di lavoro l’autore indica che è possibile concludere che “il doveroso rispetto delle ‘prescrizioni’ dei Protocolli, insieme alle altre norme speciali espressamente richiamate dal legislatore (come ad esempio l’art. 16 del d.l. n. 18/2020 per quanto riguarda l’obbligo di indossare le mascherine), è idoneo ad escludere la responsabilità del datore di lavoro nei confronti del dipendente contagiato dal virus, senza che la verifica di tale responsabilità possa essere condotta applicando anche l’art. 2087 c.c.. Proprio perché le misure di prevenzione previste dai Protocolli e la vigilanza in ordine alla loro applicazione esauriscono gli obblighi a carico del datore di lavoro sostituendosi all’art. 2087 c.c. per quanto riguarda il presidio del rischio di contagio da COVID nei luoghi di lavoro”.
Si segnala poi che il modello prefigurato dal combinato disposto delle varie norme (con riferimento specifico a artt. 29-bis, l. n. 40/2020 e d.l. n. 33/2020) “appare coerente con quanto previsto dal legislatore nell’art. 30 del TU del 2008 che, esaltando la finalità di prevenzione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori, stabilisce un’esenzione di responsabilità delle persone giuridiche che abbiano ‘adottato ed efficacemente attuato’ un ‘modello di organizzazione e di gestione’, così ‘assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici’ relativi alla sicurezza del lavoro”.
Una coerenza che riguarda – indica l’autore – anche la giurisprudenza più rigorosa “nell’applicazione dell’art. 2087 c.c. che, pur riconducendo la responsabilità del datore di lavoro al principio della ‘massima sicurezza tecnologicamente possibile’, si preoccupa nel contempo di precisare (nell’equilibrio necessario v. Corte cost., 25 luglio 1996, n. 312, in ‘Il Foro italiano’, 1996, I, c. 2957) che la predisposizione delle misure di prevenzione innominate deve tuttavia riguardare ‘comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o trovino comunque riferimento in altre fonti’”. E le “altre fonti”, in questo caso, “sono costituite dai Protocolli dell’art. 1, comma 14”.
In definitiva tali riferimenti normativi e giurisprudenziali evidenziano, quindi, “la coerenza con la scelta compiuta dal legislatore (condensata nel combinato disposto degli artt. 29-bis della l. n. 40/2020 e 1, comma 14, del d.l. n. 33/2020) di contrasto al COVID-19 dando vita ad un microsistema aperto agli apporti di una pluralità di soggetti e focalizzato sulla prevenzione (anziché sulla prospettiva risarcitoria) come deve essere di fronte ad un’emergenza epidemiologica dov’è in gioco la salute pubblica nelle sue inevitabili connessioni con il contenimento del rischio di contagio nei luoghi di lavoro”.
Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:
Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “ Il rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro: obblighi di sicurezza e art. 2087 c.c. (prime osservazioni sull’art. 29-bis della l. n. 40/2020)”, a cura di Arturo Maresca – Professore ordinario di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma (formato PDF, 254 kB).
Scarica la normativa di riferimento:
DECRETO-LEGGE n. 104 del 14 agosto 2020 – Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia.
Fonti: Puntosicuro.it, Gazzetta ufficiale, Università “La sapienza”