I comportamenti da cui si desume la datorialità di fatto e le responsabilità del titolare formale (anche quando è mero prestanome) e del reale gestore: principi ed esempi tratti dalle pronunce di Cassazione Penale degli ultimi due mesi.
Condanna del legale rappresentante quale “mero prestanome” (il figlio) pur sussistendo all’epoca dell’infortunio un soggetto che assumeva di fatto le decisioni aziendali (il padre). Condanna anche della persona giuridica ai sensi del D.Lgs.231/01
Una sentenza del mese scorso (Cass.Pen., Sez.IV, 29 marzo 2021 n.11686) ha confermato la condanna di E.C. (quale rappresentante legale di una S.r.l.) e della S.r.l. stessa quale persona giuridica ai sensi del D.Lgs.231/01, a seguito dell’infortunio subito da un operaio il quale, nell’effettuare lavori di verniciatura di un tetto in legno, è “precipitato dal balcone, che era privo di parapetto o di qualsiasi protezione, nel vuoto per circa tre metri, atterrando sul balcone del piano sottostante”.
Dagli accertamenti “è emerso che era la prima volta che l’operaio si recava in quel luogo, luogo che non conosceva, che non sapeva della mancanza di parapetto, che era stato inviato in loco non già da E.C., legale rappresentante della s.r.l. “T.E.”, ma dal padre G. (deceduto due mesi dopo l’incidente), il quale, di fatto, come riferito da più testimoni, era il vero imprenditore, assumendo tutte le decisioni aziendali.”
Nei giudizi di merito, dunque, è risultato che “la posizione di garanzia attribuita all’imputato è quella di datore di lavoro, amministratore unico e responsabile del servizio di prevenzione e protezione della società.”
E’ importante sottolineare che “è stato ritenuto irrilevante che l’imputato agisse da mero prestanome del padre, ai sensi dell’art.299 del d.lgs. n.81 del 2008”.
Infatti, “si è affermato che «la circostanza che accanto all’imputato vi fosse la figura del padre, quale soggetto più esperto, aggiungerebbe profili di responsabilità ascrivibili in capo a coloro i quali, accanto al datore di lavoro, avessero di fatto impartito e gestito l’attività, senza escludere, comunque la responsabilità originaria del datore di lavoro”; peraltro “a nulla rilevando la circostanza che, in concreto, […] l’imputato non si trovasse a Gela ma a Rimini per partecipare ad un corso di formazione”, dal momento che “permane la responsabilità del datore, nella qualità di garante per la sicurezza dei lavoratori, ancorché non presente sui luoghi di lavoro”.
Nel confermare l’impostazione del Tribunale e della Corte d’Appello, la Cassazione conclude che, “quanto alla asserita veste di mero “prestanome” di E.C., lo stesso – siccome legale rappresentante – è, comunque, destinatario degli obblighi di protezione antinfortunistica, come ritenuto correttamente dalla Corte di merito, conformemente al costante all’insegnamento di legittimità (Sez.3, n.2580 del 21/11/2018, Slabu, Rv.274748-01; Sez.3, n.17426 del 10/03/2016, Tornassi, Rv.267026-01; Sez.4, n.39266 del 04/10/2011, Fornoni, Rv. 251440-01; Sez.3, n.24478 del 23/05/2007, Lalia, Rv.236955-01; Sez.3, n.28358 del 04/07/2006, Bonora e altri, Rv.234949-01). Principio che vale anche ove il legale rappresentante sia un mero prestanome (Sez.F, n.42897 del 09/08/2018, C., Rv.273939-01; Sez.3, n.7770 del 05/12/2013, Todesco, Rv.258850-01; Sez.3, n.14432 del 19/09/2013, Carminati, Rv.258689-01; Sez.3, n.25047 del 25/05/2011, Piga, Rv.250677-01; Sez.3, n.22919 del 06/04/2006, Furini, Rv.234474-01).”
Condannato per omicidio colposo quale datore di lavoro di fatto un socio unico di capitali: gli indici da cui si ricava l’esercizio di un “ruolo di diretta gestione dei lavoratori”
Un’altra sentenza del mese scorso (Cass.Pen., Sez.IV, 16 marzo 2021 n.10143) si è pronunciata sulle responsabilità di un datore di lavoro di fatto, condannando per omicidio colposo V.A., quale socio unico di capitali della C. S.r.l., a seguito dell’infortunio subito da due dipendenti della stessa, i quali “stavano eseguendo operazioni di movimentazione di un gruppo motore idraulico che doveva essere prelevato con apposita gru, manovrata dal G.DM., mentre il V.V. eseguiva le operazioni da terra; a un tratto, il braccio della gru si avvicinava alla linea elettrica aerea dell’alta tensione, generando un arco voltaico che cagionava la morte per folgorazione del V.V. e lesioni gravissime al G.DM. (amputazione della gamba destra).” [Il reato di lesioni colpose si è estinto per prescrizione].
La sentenza precisa che “il V.A., che era anche conduttore del fondo utilizzato come deposito attrezzi della società, risponde dell’infortunio nella qualità anzidetta (socio unico di capitali della C.) e in relazione alla sua posizione di datore di lavoro di fatto.”
In particolare, è stato ravvisato in capo all’imputato “un ruolo di diretta gestione dei lavoratori, delle loro assunzioni e delle loro mansioni, di tal che egli doveva rispondere delle gravi manchevolezze registrate nel cantiere”.
Secondo la Cassazione, nello specifico, “la posizione di garanzia del V.A., in base a quanto emerge dalla sentenza impugnata e dalle emergenze probatorie ivi descritte, è quella del datore di lavoro di fatto: la Corte di merito infatti […] evidenzia che l’odierno ricorrente è stato indicato come proprio datore di lavoro da più di uno dei lavoratori che hanno deposto avanti il Tribunale (G.DM., C.), e che il teste R. ha riferito di essere stato assunto dal V.A. con il quale fece il colloquio di lavoro e che gli indicò le mansioni da svolgere.”
Inoltre – prosegue la Corte – “le direttive sul lavoro da svolgere il mattino dell’incidente erano state impartite dall’imputato (è, ancora, il G.DM. a riferirlo). Inoltre, l’utilizzo del deposito da lui condotto in locazione da parte della C. non è stato formalizzato da alcun atto di cessione, ciò che è stato correttamente ritenuto sintomatico del grado di immedesimazione fra la figura del V. A. e quella della predetta società.”
Tutto ciò dunque rileva – conclude la Cassazione – in quanto “ai sensi dell’art.299, d.lgs.81/2008, «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art.2, comma 1, lett.b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti»; e che, in forza di tale previsione, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto.”
Questo perché “la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro”, in quanto “l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez.4, Sentenza n.10704 del 07/02/2012, Corsi, Rv.252676).”
Il titolare formale e il reale gestore di una attività (nella fattispecie: ristorante): le modalità di applicazione dell’art.299 del D.Lgs.81/08
Concludiamo questa breve rassegna, condotta come sempre senza pretese di esaustività, citando una sentenza di questo mese (Cass.Pen., Sez.IV, 15 aprile 2021 n.14196) che ha confermato la condanna di R.P.C. quale gestore di fatto di un ristorante per un infortunio occorso ad una cliente.
Dalle sentenze di merito è risultato che “la titolarità di fatto della posizione di garanzia in capo all’odierno ricorrente – diversamente da quanto si afferma nell’odierno ricorso e nell’atto di appello, ove si assume che la stessa derivi solo dalla dichiarazione del 2011 della figlia dell’imputato – emerge anche dalla testimonianza del M.llo E. dei Carabinieri di …, il quale ha riferito che R.P.C. era il gestore di fatto del ristorante, a gestione familiare, ed era sempre presente all’interno dello stesso.”
E’ inoltre risultata provata “l’incontestata titolarità formale dell’attività in capo alla figlia dell’odierno ricorrente, che […] riferì che, di fatto, il ristorante lo gestiva il padre, perché lei ed il marito gestivano un altro locale in … e a … si recava saltuariamente, soprattutto la domenica o durante le ferie.”
La Cassazione sottolinea a questo punto che “appare fuori discussione che, in casi come quello che ci occupa, la responsabilità dell’amministratore della società, in ragione della posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente (Sez.4, n.49732 del 11/11/2014, Canigiani, Rv.261181).
E’ altrettanto vero, tuttavia, che tale posizione di garanzia si affianca, e non si sostituisce a quella del titolare apparente.”
La Corte chiarisce poi che “in tema di reati omissivi colposi, infatti, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purché l’agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento concludente consistente nella effettiva presa in carico del bene protetto”.
Inoltre – precisa la Cassazione – “questa Corte ha chiarito che, in tema di infortuni sul lavoro, la previsione di cui all’art.299 D.Lgs.n.81 del 2008 (rubricata esercizio di fatto di poteri direttivi) per la quale le posizioni di garanzia gravano altresì su colui che, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati ha natura meramente ricognitiva del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite e consolidato, per il quale l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale.”
Pertanto “ne deriva che la codificazione della c.d. ‘clausola di equivalenza’ avvenuta con il predetto D.Lgs.n.81 del 2008 non ha introdotto alcuna modifica in ordine ai criteri di imputazione della responsabilità penale concernente il datore di lavoro di fatto, i quali sono, pertanto, applicabili ai fatti precedenti all’introduzione dell’art.299 D.Lgs.n.81 del 2008, senza che ciò comporti alcuna violazione del principio di irretroattività della norma penale (Sez.4, n.10704 del 7/2/2012, Corsi, Rv.252676).”
Fonti: Puntosicuro.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro), Olympus.uniurb.it