L’obbligo del datore di lavoro di ricorrere ad esperti idonei e competenti ai sensi degli articoli 2087 del Codice Civile, 26 e 31 del D. Lgs. n. 81/2008. Le indicazioni di alcune sentenze della Corte di Cassazione.
Una conseguenza dell’onere del datore di lavoro di attuare la migliore scienza, esperienza e tecnologia fattibile a tutela delle condizioni di lavoro, previsto inderogabilmente dall’ articolo 2087 del codice civile per far fronte a tutti gli aspetti rischiosi del lavoro, è costituito dall’obbligo di fare ricorso, ove necessario, ad esperti (idonei dal punto di vista tecnico-professionale, secondo quanto previsto dall’articolo 26 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008), qualora sia privo della necessaria competenza: “in materia di sicurezza del lavoro il datore di lavoro è tenuto ad uniformarsi alla migliore scienza ed esperienza del momento storico in quello specifico settore; e, nel caso in cui per i suoi limiti individuali non sia in grado di conoscere la miglior scienza ed esperienza, consapevole di tali limiti, deve avere l’accortezza di far risolvere da altri i problemi tecnici che non è in grado di affrontare personalmente [Cass. Sez. IV Pen., sent. 16 giugno 1995 n. 6944]”.
In conformità a tale principio la sentenza della Corte di Cassazione Lavoro n. 25599 del 1° dicembre 2006, che riguardava un lavoratore infortunato il quale esponeva di avere subito lesioni profonde alle mani, con postumi permanenti, mentre lavorava ad una macchina per fabbricare scarpe nell’azienda della datrice di lavoro, la quale non aveva provveduto alla necessaria manutenzione della macchina, onde chiedeva che la stessa fosse condannata al risarcimento dei danni. La convenuta, datrice di lavoro, si costituiva in giudizio chiamando in causa l’assicurazione, e il Tribunale rigettava la domanda del lavoratore, confermata con sentenza del 18 marzo 2004 dalla Corte d’Appello di Ancona, la quale ultima, sulla base di una deposizione testimoniale e di un rapporto dell’Azienda sanitaria locale, accertava che, verificata un’irregolarità di funzionamento della macchina causata verosimilmente da un precedente sbalzo di tensione elettrica, la datrice di lavoro aveva provveduto alla riparazione attraverso un tecnico di sua fiducia; nondimeno la disfunzione si era ripetuta, forse per la persistenza delle irregolarità elettriche o forse per carenze della macchina non rilevabili esternamente, e ciò aveva causato l’incidente e rilevando l’assenza di violazioni di specifici obblighi di comportamento o di negligenza da parte della datrice di lavoro, la escludeva la responsabilità della medesima ex art. 2087 cod. civ..
Contro questa sentenza ricorre per cassazione il lavoratore infortunato.
La Cassazione respinge la domanda del lavoratore osservando tra l’altro che è esente da responsabilità il datore di lavoro che “incarichi della riparazione un tecnico di sua fiducia e di capacità professionale non contestata dalle parti in causa, il quale compia la riparazione rivelatasi poi insufficiente per cause non accertate ma comunque non imputabili al datore”: che il più volte evocato art. 2087 cod. civ. imputa all’imprenditore-datore di lavoro i danni all’integrità fisica ed alla personalità morale del lavoratore non secondo un criterio di responsabilità oggettiva bensì in base a negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di specifiche norme, restando a suo carico la prova liberatoria ex art. 1218 cod. civ. (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184).
Vero è “che, nel caso di cattivo funzionamento di una macchina, l’imprenditore, non necessariamente provvisto delle necessarie conoscenze tecniche, si comporta diligentemente rivolgendosi a persona competente; che pertanto non è responsabile ex art. 2087 cod. civ. per i danni da lesioni personali causate da detto cattivo funzionamento il datore di lavoro che, dopo avere constatato il cattivo funzionamento, incarichi della riparazione un tecnico di sua fiducia e di capacità professionale non contestata dalle parti in causa, il quale compia la riparazione rivelatasi poi insufficiente per cause non accertate ma comunque non imputabili al datore; che nel caso di specie il lavoratore danneggiato non ha ritenuto di rivolgere la propria pretesa risarcitoria né all’impresa costruttrice né alla persona che fu incaricata della riparazione della macchina; che sulla richiesta dei mezzi di prova da parte del lavoratore-appellante la Corte di merito ha motivato il rigetto, esattamente osservando che essa, riprodotta nell’epigrafe della sentenza d’appello ed ora nel quinto motivo di ricorso, riguardava fatti già accertati e non contestati”.
Per questi motivi è stato rigettato il ricorso.
Ricorrendo a quest’ultimo principio, nell’ambito del procedimento penale di cui nella Sentenza della Cassazione Penale 3 marzo 2010, n. 8622, la difesa ha avuto buon gioco ottenendo l’annullamento con rinvio della iniziale sentenza di condanna nel merito.
Dapprima vi era stata la condanna dell’imputata datrice di lavoro da parte della Corte di Appello di Trento con sentenza dell’11/6/2008 in parziale riforma della sentenza di condanna pronunziata dal Tribunale di Trento che l’aveva ritenuta responsabile del delitto di cui all’art. 590 c.p., commi 1 e 3 [lesioni colpose gravi] concedendo le attenuanti generiche e applicando la minor pena di Euro 200,00 (Euro 300,00 in primo grado) di multa, per avere, nella sua qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione della X. XXX srl, e nella sua qualità di datore di lavoro del lavoratore infortunato cagionato a costui lesioni personali (schiacciamento primo dito mano destra con frattura apice ungueale, ferita e lesione matrice ungueale) con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni. Alla imputata era stata contestata colpa generica, imprudenza e negligenza nonchè colpa specifica per violazione dell’ art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35 [oggi art. 71 D.Lgs. N. 81/2008] per non avere provveduto, nelle sue qualità, a far dotare la macchina matassatrice XXX matricola (OMISSIS), di apposite protezioni che segregassero i rulli verticali e orizzontali; ancora per violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, commi 1 e 2 per non aver valutato nel documento di valutazione dei rischi il pericolo di trascinamento e schiacciamento degli arti superiori dell’addetto alla macchina in questione.
Il ricorso per Cassazione dell’imputata lamenta e censura la sentenza di condanna “per non aver considerato che la valutazione (negativa) circa la esistenza di uno specifico rischio macchina” era stata operata dalla ditta XXX “avvalendosi dell’opera di esperti consulenti esterni e che la perizia di parte esplicata mediante relazione scritta e mediante esame del ctp in primo grado (udienza del 10/7/2007) aveva dimostrato la imprevedibilità dell’evento che aveva dato causa all’infortunio e la non riconoscibilità del rischio secondo l’ordinaria diligenza”. Quindi cardine del ricorso è l’avvenuta collaborazione di esperti consulenti alla valutazione del rischio, che in effetti si asserisce documentatamente come non prevedibile. La difesa contesta la “inutilità se non … maggiore pericolosità del presidio in plexiglas aggiunto su disposizione dell’ispettorato”.
La Cassazione ha ritenuto fondato l’argomento difensivo: “il provvedimento impugnato accerta nel merito la normale prevedibilità del rischio di trascinamento delle braccia dell’operatore nei rulli della matassatrice in relazione alle caratteristiche della macchina e alle modalità delle operazioni normalmente svolte. La causa dell’infortunio è individuata nella formazione di una asola del cavo in avvolgimento, nell’infilaggio dell’asola medesima nel guanto del lavoratore, e nel conseguente trascinamento del cavo e della mano destra del lavoratore verso i rulli della macchina.
La sentenza impugnata evidenzia la mancata valutazione del rischio nell’apposito documento, e ritiene che ove tale valutazione fosse intervenuta perciò solo sarebbe stato evitato l’infortunio. E, infine, si sofferma sulla irrilevanza della conformità del macchinario a norme CE nel caso di pericolosità tanto facilmente rilevabile da essere poi facilmente corretta su semplice indicazione dell’ispettorato del lavoro.
L’affermazione secondo la quale ove fosse stata operata la valutazione del rischio di imprigionamento degli arti dell’operatore in parti meccaniche della matassatrice in moto e non protette e fosse stato operato l’inserimento di tale previsione di rischio nel documento di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, l’infortunio sarebbe stato certamente evitato, è logicamente priva di giustificazione.
La valutazione dei rischi e la elaborazione di apposito documento costituisce senza dubbio alcuno un passaggio fondamentale per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori, ma il rapporto di causalità tra omessa previsione del rischio e infortunio o il rapporto di causalità tra omesso inserimento del rischio nel documento di valutazione dei rischi e infortunio, deve essere accertato in concreto rapportando gli effetti indagati e accertati della omissione, all’evento che si è concretizzato. Non può essere cioè affermata una causalità di principio. Tale indagine sulla causalità è tanto più indispensabile quando, come nella specie, oggetto di questo procedimento penale, il trascinamento verso i rulli in movimento è stato in concreto determinato da un ulteriore evento costituito dal formarsi di una asola non sciolta in tempo, evento che si aggiunge al sistema di funzionamento proprio della macchina e dunque modifica l’assetto delle funzioni di macchina secondo il loro progetto e la loro omologazione, con aspetti da valutare e sui quali spendere motivazione, anche in termini di prevedibilità del rischio. Infine l’obbligo di motivazione per l’accertamento della causalità e della responsabilità per omissione era ancora più significativo in quanto la macchina con organi in movimento non segregati era caratterizzata da marcatura CE sicchè doveva essere adeguatamente scandagliato il rapporto tra osservanza di regole specifiche ed eventuale decisività della inosservanza di più generali ampie regole di prudenza”.
La sentenza impugnata veniva così annullata con rinvio, per nuovo giudizio.
L’art. 31 comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che “il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici […]”.
Lo stesso art. 31, al comma 4, sancisce ufficialmente questo risalente principio legislativo e giurisprudenziale affermando che: “il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 32”.
Peraltro l’articolo 31 comma 5 del D.Lgs. n. 81/2008 chiarisce anche che “ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia”, quando si tratti di obblighi indelegabili quali quello di effettuare la valutazione di tutti i rischi connessi all’attività lavorativa, di cui agli articoli 17 e 28 del D. Lgs. n. 81/2008.
Infatti “l’eventuale errore di altri soggetti nel valutare la pericolosità dei luoghi e la conseguente eventuale esistenza di altri soggetti responsabili per l’infortunio verificatosi non esclude la responsabilità dei datori di lavoro, atteso che in materia di sicurezza sul lavoro i doveri cui sono tenuti i datori di lavoro di apprestare tutte le misure di sicurezza degli impianti, onde evitare gli infortuni sul lavoro, prescindono dalle attività prescrittive o di controllo di altri soggetti”; “né può essere invocata la buona fede, in quanto la punibilità dei reati colposi non è esclusa da un qualsiasi errore sul fatto che costituisce reato, ma, ai sensi dell’art. 47 codice penale, solo dall’errore non determinato da colpa. E tale non può considerarsi quello del datore di lavoro che abbia fatto affidamento sulla valutazione dei rischi e sulla progettazione da altri eseguita, atteso che la normativa antinfortunistica pone direttamente a carico dell’imprenditore l’obbligo di attuare le misure previste e di accertarsi della loro esistenza, sicché il destinatario di tale obbligo non può eludere tale obbligo trincerandosi dietro eventuali errori di valutazione dei tecnici incaricati” [Corte di Cassazione, sezione IV penale, 31 maggio 1999 n. 6743, Pres. Frangini, Rel. Bianchi, P.m. Matera (Diff), ric. Magliano e altri].
Analogamente “la normativa antinfortunistica è direttamente rivolta ad assicurare che i datori di lavoro assumano tutti i provvedimenti atti ad evitare infortuni, indipendentemente dai controlli e dalle revisioni degli organi ispettivi, il cui parere positivo è irrilevante ai fini di escludere la responsabilità penale del datore di lavoro dal reato di lesioni colpose (per amputazione, nella fattispecie, del braccio intrappolato nella macchina priva dei necessari presidi di sicurezza)” [Cass. Sez. IV Pen., sent. del 20 ottobre 2000, n. 10767, pres. Battisti, est. Mazza, in Lavoro e prev. oggi, pag. 1550]. In sostanza il datore di lavoro non può trarre alcun beneficio da errori od omissioni degli organi di vigilanza, atteso che la legge lo rende direttamente responsabile, quale primo soggetto obbligato, a garantire e attuare tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza di tutte le persone comunque presenti nel corso dell’attività lavorativa svolta dall’azienda o dall’ente.
L’insegnamento è di lunga data: “i doveri cui sono tenuti i datori di lavoro ad approntare tutte le misure di sicurezza degli impianti, onde evitare gli infortuni sul lavoro, prescindono dalle attività prescrittive o di controllo degli ispettorati del lavoro, in quanto trovano origine direttamente nella legge che, avendo carattere penale, non può essere ignorata.” [Cass. Sez. IV Pen., sent. del 30 gennaio 1987, Boni). Nella specie é stato ritenuto che la mancata osservanza delle prescrizioni (della legge vigente) da parte del datore di lavoro era sufficiente a determinare la responsabilità dell’incidente a carico dell’imputato, senza che sull’elemento soggettivo del reato commesso potesse aver rilevanza il mancato intervento dell’ispettorato del lavoro, sollecitato dal datore di lavoro, di ulteriore verifica della sicurezza dell’impianto].
Fonti: Puntosicuro.it