Il nuovo decreto-legge 146/2021 si può considerare una fondamentale riforma del testo unico di sicurezza sul lavoro? Qual è il ruolo dello Stato riguardo alla sicurezza? Pubblichiamo un contributo sul tema dell’avvocato Rolando Dubini.

Quando abbiamo iniziato a occuparci nelle settimane passate delle novità, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 – il “decreto fiscale recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili” – ci siamo resi conto che per comprenderne l’impatto sulla prevenzione di infortuni e malattie professionali non era sufficiente evidenziare le modifiche operate al D.Lgs. 81/2008.

 

Abbiamo allora cercato di raccogliere pareri, opinioni, abbiamo fatto domande a diverse persone che da svariati anni si occupano, a diverso titolo, di salute e sicurezza. Ad esempio all’avvocato Lorenzo Fantini, a Cinzia Frascheri (Cisl), a Zoello Forni (Anmil). Abbiamo anche raccolto alcuni pareri, critici rispetto ad alcune scelte del legislatore, raccolti in una lettera aperta – redatta da diverse persone, in buon parte operatori o ex operatori all’interno delle Aziende sanitarie regionali – pubblicata nell’articolo “ SSL e Decreto fiscale: le proposte di modifiche in fase di conversione”.

 

Continuiamo oggi con la raccolta di pareri e opinioni sul DL 146/2021 pubblicando un altro parere autorevole, espresso dall’avvocato Rolando Dubini, e raccolto nel contributo dal titolo esplicativo “Una fondamentale Riforma del Testo Unico di Sicurezza sul lavoro (decreto-legge 146/2021)”. Un documento che riprende e risponde anche a diverse argomentazioni presentate nella lettera aperta.

Una fondamentale Riforma del Testo Unico di Sicurezza sul lavoro (decreto-legge 146/2021)

Con il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 il Governo ha apportato non solo e non tanto alcune significative modifiche del Decreto Legislativo n. 81/2008, cosiddetto Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, ma una vera e propria riforma strutturale, che riorganizza e amplia i sistemi di controllo e vigilanza, estendendo la possibilità di azione dell’Ispettorato del lavoro dai soli cantieri a tutti i settori di attività (nuovo articolo 13 del D.Lgs. n. 81/2008 così come modificato dall’art. 13 del D.L. 146/2021) e rivitalizzando lo strumento della sospensione della singola attività imprenditoriale pericolosa per motivi di salute e sicurezza del lavoro, in precedenza del tutto inutilizzato (nuovo articolo 14 del D.Lgs. n. 81/2008).

Un decreto emesso in una situazione di vera emergenza prevenzionistica, attestata dalla recrudescenza di infortuni mortali e gravissimi, che ha suscitato grave allarme sociale, in una società civile, quella italiana, già provata dall’emergenza pandemica.

Si è perciò lavorato in modo convincente su idee di innovazione normativa già da tempo in discussione.

Vista la difficoltà dimostrata in questi anni dal sistema di vigilanza monopolizzato dalle Asl nel far fronte in tutta Italia in maniera effettiva, efficace e omogenea ai compiti previsti dall’articolo 13 del D. Lgs. n. 81/2008, anche per evidenti carenze d’organico a tutti note, è stato giocoforza estendere la competenza di intervento, di vigilanza e controllo per tutti i settori di attività anche all’Ispettorato Nazionale del lavoro, raddoppiando per l’effetto la capacità istituzionale di intervento e controllo.

Il sistema sanitario su base regionale, in aggiunta messo a dura prova dalla Pandemia, non è da anni in grado di permettere ai servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro delle aziende sanitarie di essere adeguatamente operativo in termini di personale ispettivo e di presenza sul territorio nazionale.

Il raddoppio, quanto meno, delle forze in campo, grazie alla Riforma, rappresenta un deciso rafforzamento della capacità di azione istituzionale di contrasto alla violazione delle norme di prevenzione e protezione, ed è quindi quanto moltissimi auspicavano da tempo.

Chi ipotizza artatamente conflitti di competenze e/o interventi duplicati dimentica intenzionalmente le miriadi di protocolli d’intesa Ispettorati-ASL stipulati in relazione alla vigilanza nei cantieri, i documenti comuni sottoscritti ovunque, le task force realizzate con altre forze dell’ordine, dove le istituzioni in campo erano quattro o cinque … Preoccupa poi il rischio istituzionale di chi paventa il conflitto tra istituzioni, dimenticando il fermo e ripetuto richiamo della Corte Costituzionale allo spirito di leale collaborazione istituzionale tra le diverse istituzioni statali desumibile dalla Costituzione, nel rispetto dei limiti delle reciproche attribuzioni (ordinanza n. 132/2020 della Corte costituzionale).

IL RUOLO DELLO STATO E LA SICUREZZA DEL LAVORO

E’ sicuramente vero che moltissimi incidenti mortali sono simili a quelli di cinquanta e più anni fa, ed è vero che possono essere evitati o quantomeno ridotti a termini minimi organizzando correttamente le mansioni, del lavoro, valutando in modo corretto e completo tutti i rischi, elaborando istruzioni operative adeguate, aggiornate, consegnate e illustrate accuratamente, e in modo perfino pedante, insegna la Cassazione, agli operatori che svolgono le mansioni più pericolose, curando in modo particolare formazione e addestramento sui rischi specifici connessi alla mansione.

La prevenzione, va detto chiaramente, è compito fondamentale delle imprese. Che sono obbligate ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008 e pure del D.Lgs. n. 231/2001 (che non è obbligatorio, ma…) ad organizzarsi nel migliore dei modi e a gestire adeguatamente tutti i rischi, con la partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti.

Ma la vigilanza da parte dello Stato, in tutte le sue articolazioni in grado di svolgere tali compiti, non può in alcun modo essere sminuita e/o sottovalutata. Rappresenta una difesa della società dalla cosiddetta “criminalità dei colletti bianchi”, ovvero di quella parte, ultraminoritaria, ma presente in modo persistente, di imprenditori che di sicurezza e salute sul lavoro non vogliono sentirne proprio parlare.

Confondere l’assoluta necessità di una vigilanza istituzionale nei luoghi di lavoro capillare con le cause degli infortuni sul lavoro è un grave errore di prospettiva, che confonde due piani che vanno entrambi costantemente affrontati in termini adeguati: 1) la capacità di azione istituzionale, non solo di repressione, ma anche di persuasione morale nelle aziende, esercitata in modo eccellente da molti ispettori del lavoro e dei servizi delle Asl da decenni, 2) il contrasto alla precarietà del rapporto di lavoro (che pure richiede interventi statali), le carenze di formazione e addestramento, la gestione degli appalti e dei subappalti, l’idoneità e adeguatezza tecnica professionale delle imprese (che pure va affrontata a livello istituzionale con la patente e a punti prevista dal testo unico di sicurezza sul lavoro),

In questo contesto il decreto-legge 146/2021 rappresenta una Riforma preziosa e finanche entusiasmante, una forte innovazione legislativa e culturale che costringe tutti gli attori, privati e istituzionali del sistema sicurezza Italia a ripensare a fondo il proprio ruolo e le proprie modalità di azione in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori.

Come correttamente sottolinea Raffaele Guariniello, la riorganizzazione della vigilanza sui luoghi di lavoro ad opera del decreto fiscale ha ridisegnato gli asset originari, attribuendo un nuovo ruolo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, chiamato a vigilare sulla generalità dei luoghi di lavoro al pari delle ASL. Un ruolo che ricomprende anche un’attività di prevenzione. C’era da aspettarselo. Da anni, denunciavamo la carenza dei controlli affidati agli organi di vigilanza sulla sicurezza negli ambienti di lavoro , e, dunque, per forza di cose, in via primaria, alle ASL. E da anni si sperava in concrete azioni normative e amministrative volte ad arricchirne gli organici e le professionalità. E tuttavia era facile immaginare che la riorganizzazione della vigilanza sui luoghi di lavoro ad opera del D.L. n. 146/2021 avrebbe prodotto “turbamenti”, visto il nuovo ruolo n attribuito all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, chiamato a vigilare sulla generalità dei luoghi di lavoro al pari delle ASL.

Un ruolo – è bene precisarlo a scanso di equivoci pur diffusi – che non si limita a una attività di mera repressione, ma che ricomprende anche un’attività di prevenzione, disvelata dagli stessi strumenti forniti alle ASL dall’art. 20 D.Lgs. n. 758/1994: la prescrizione e il potere di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”.

Dunque chi afferma che il decreto è sostanzialmente orientato alla mera repressione ed opera uno strappo nell’ordinamento giuridico vigente dice qualcosa che non corrisponde alla norma, che riforma il sistema apportando forze nuove e strumenti operativi preziosi come la sospensione nell’esangue campo degli organi di vigilanza che hanno sito le Asl con carenze di organico talmente vistose da apparire incredibili in alcuni contesti (ad esempio Reggio Calabria).

Chi lamenta che “per la prima volta dall’entrata in vigore della riforma sanitaria (legge 833/1978) si mette in crisi quella che è stata una delle innovazioni più importanti della riforma stessa, che consisteva nell’assegnare le competenze relative alla salute dei lavoratori al Servizio sanitario nazionale come una delle funzioni comprese nella promozione della salute del cittadino” dimentica che la pandemia ha messo alle corde il Sistema Sanitario, che necessita di un ripensamento e di un riorientamento, e certo risulta non semplice ipotizzare e spiegare alla collettività il rafforzamento di servizi non direttamente connessi con l’emergenza sanitaria permanente cui siamo soggetti da quasi due anni.

Il tempo passa, lascia i segni, e la nuova riforma si è imposta anche in questo nuovo contesto come una necessità improrogabile.

La sanità regionale è di competenza regionale, e se è vero che “le regioni hanno tenuto gli organi delle aziende sanitarie incaricati della prevenzione e della vigilanza, lasciando che gli addetti in dieci anni diminuissero del 50%, senza provvedere alle necessarie nuove assunzioni”, gli strali vanno rivolti innanzitutto contro le Regioni, che quando vogliono alzano la voce con lo stato trascinandolo spesso e volentieri avanti la corte costituzionale, ma sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non hanno mai dato vistosi segni di vita.

Viceversa va apprezzato il necessario incremento del personale dell’Ispettorato finalizzato al controllo del lavoro nero e rapporti di lavoro irregolari ma anche, finalmente, della salute e sicurezza che spesso è un problema direttamente intrecciato al lavoro irregolare, ed era francamente assurdo che in tali casi, fino a prima della riforma, l’INL doveva trasmettere le verifiche effettuate in prima persona alla ASL, realizzando così in questi casi inutili duplicazione di attività.

L’indebolimento degli organici dei servizi territoriali di prevenzioni ne ha sicuramente indebolito la capacità complessiva di intervento sulle condizioni di lavoro e proprio sui temi che ne dovevano rappresentare il valore aggiunto: salute, disagio psicosociale, stress correlato al lavoro, malattie da lavoro.

Ricordiamo però che le metodologie per la valutazione dello stress lavoro correlato maggiormente utilizzate nelle aziende sono state sviluppate e aggiornate dall’Inail, che è certamente già affine all’INL che alle ASL.

Non esiste in verità alcun rischio di scivolamento burocratico verso un ruolo pressoché esclusivo di «ispettore» e non anche di «tecnico della produzione di salute»: la Asl viceversa potrà dedicare maggiore attenzione ai temi della salute, mentre ovviamente l’Ispettorato si muoverà con maggior disinvoltura sugli aspetti più affini alle capacità professionali dei propri ispettori, che da decenni presidiano i controlli di sicurezza nei cantieri, non sono certo dei neofiti come alcune critiche ingiustificate hanno paventato. Il disprezzo del dettato normativo è un valore assoluto e un imperativo categorico, innanzitutto per le istituzioni.

Se è vero che l’efficacia della prevenzione non è completamente corrispondente a quella del “numero di unità locali controllate” è pure vero che se in una città ho un solo ufficiale di polizia giudiziaria addetto alla verifica nei luoghi di lavoro significa dare ai garanti della sicurezza nelle aziende il messaggio catastrofico del liberi tutti, viva il Far West.

E’ una affermazione demagogica e pure falsa affermare che “nell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) non esistono oggi le competenze specifiche per esercitare le nuove funzioni che richiedono elevata e specifica professionalità, requisiti presenti negli operatori dei servizi delle ASL (Tecnici della Prevenzione, Medici del lavoro, Ingegneri, Assistenti sanitari, Chimici, Biologi, Psicologi del Lavoro,…) acquisiti attraverso specifica formazione universitaria”: i tecnici dell’INL che vanno nei cantieri, da decenni, hanno titoli di studio e competenze che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi delle ASL, anzi la presenza di nuclei specializzati di carabinieri consente in alcune situazioni limite una migliore efficacia e sicurezza, va detto, dell’azione di controllo.

E poi l’ispettorato non si sostituisce certo alle Asl, che ripeto potranno svolgere meglio i compiti in materia di salute dei lavoratori, spesso trascurati per far fronte ad aspetti giuridici che possono essere tranquillamente affrontati in modo adeguato, se non migliore, dall’INL.

Si è adottato un provvedimento ‘con urgenza’ i cui effetti in realtà si stanno già vedendo, i provvedimenti di sospensione delle attività imprenditoriali pericolose, mai applicati dalle ASL e non solo per motivi burocratici, oggi iniziano ad essere adottati esclusivamente grazie all’azione degli ispettori del lavoro, e già sono stati immessi in servizio nuovi assunti, anche carabinieri dei nuclei che intervengono nei luoghi di lavoro,

Leale collaborazione e coordinamento

La capacità di coordinamento e di leale collaborazione tra istituzioni è da sempre una necessità nota e praticata, ad esempio in Lombardia da tempo esistono dei protocolli d’Intesa ASL Polizia municipale per le ispezioni nei cantieri, figuriamo se non ci può essere una intesa con gli ispettorati.

LE COSE NECESSARIE

Penso che in ogni caso tutti siamo d’accordo su un punto fondamentale: è inderogabile e va perseguito a tappe forzate, la realizzazione definitiva di “un coordinamento e un indirizzo nazionale del tema salute e sicurezza sul lavoro, di un controllo della coerenza tra principi e modelli organizzativi regionali”.

Gli addetti ai Servizi di Prevenzione delle ASL sono passati da 5.060 operatori nel 2008 a 3.246 nel 2018, le Regioni e lo Stato devono trovare il modo di iniziare a invertire tale tendenza perniciosa.

Il Comitato art. 5 D.Lgs. 81/08 potrebbe essere dotato di poteri decisionali e di adeguate risorse.

Oggi più che mail il Piano Nazionale della Prevenzione deve diventare uno strumento effettivo per la prevenzione delle malattie da lavoro, per quelle di tipo cronico-degenerative, pensando interventi di igiene industriale mirati alla riduzione dell’esposizione ad agenti chimici, cancerogeni e mutageni.

Assolutamente irrimandabile è, infine, l’efficace coordinamento delle strategie e attività tra INL e Regioni/ASL e a livello regionale e provinciale.

E da qui si deve partire per un futuro più sicuro nei luoghi di lavoro, dall’avvio ovunque di questi coordinamenti per ripartire al meglio l’attività di vigilanza e controllo, nel reciproco rispetto.

Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista

Scarica la normativa di riferimento:

Decreto-Legge 21 ottobre 2021, n. 146 – Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili.

 Fonti: Puntosicuro.it, Cliclavoro.gov.it