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Chi deve provvedere alla manutenzione ed all’igiene dei DPI? Quando gli indumenti di lavoro sono considerati DPI?

Pubblichiamo l’articolo “L’obbligo per i datori di lavoro di provvedere alla manutenzione ed all’igiene dei DPI: il caso dei calzaturifici” a cura della Dott.ssa Lisanna Billeri e del Dott. Gianfranco Bianucci – Tecnici della prevenzione – Unità Funzionale Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, Az. USL 3 Pistoia.
L’obbligo per i datori di lavoro di provvedere alla manutenzione ed all’igiene dei DPI: il caso dei calzaturifici
L’industria calzaturiera è stata associata al rischio cancerogeno da molto tempo e nel volume n 25 (1983) delle monografie IARC è riportato come l’incidenza del tumore nasale sia maggiore negli addetti dell’industria calzaturiera rispetto alla popolazione generale. Da studi epidemiologici eseguiti nell’ultimo trentennio è emerso che le polveri di cuoio sono responsabili dell’insorgenza di manifestazioni tumorali delle fosse nasali e dei seni paranasali, e quindi da considerarsi agenti cancerogeni. Molti studi hanno evidenziato infatti che questi tumori maligni di origine epiteliale, relativamente rari in assoluto, compaiono con maggiore frequenza negli addetti all’industria calzaturiera, in particolare agli addetti alle operazioni più polverose in riferimento alle polveri di cuoio, quali scarnitura, smerigliatura, cardatura, fresatura, levigatura, carteggiatura di calzature finite o di altri manufatti in cuoio. Non è stato dimostrato in quali momenti del ciclo di lavoro fosse evidente una sostanza cui attribuire l’aumento del rischio cancerogeno, con l’eccezione di un’evidente correlazione tra aumento della polverosità e conseguente aumento dei casi di tumore naso sinusale.

Agenti sospettati di cancerogenicità sono: una o più frazioni dei componenti organici dei pellami, virus o altri agenti biologici che possono contaminare i pellami, il cromo esavalente residuato dalle operazioni di concia o derivato da pigmenti usati per la colorazione dei pellami, una o più frazioni di tannini vegetali residuati dalle operazioni di concia, i componenti triazonici donatori di formaldeide e/o la formaldeide tal quale residuata da trattamenti conservativi. Altri studi, analizzando il rischio di tumore vescicale e di tumore polmonare, hanno evidenziato un rischio aumentato per i lavoratori del settore.

I coloranti organici a base azoica presenti in numerosi materiali utilizzati per la produzione calzaturiera, o presenti nei prodotti di finissaggio e guarnitura, così come le ammine aromatiche impiegate come antiossidanti nella gomma, sono tra i prodotti ipotizzati come responsabili di casi di tumore vescicale. Lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) nel 1987, ha inserito “la lavorazione e la riparazione di scarpe e stivali” nel Gruppo 1 (circostanza di esposizione considerata cancerogena per l’uomo). (dati ripresi da Piero Emanuele Cirla “Polveri di cuoio ed effetti cancerogeni” ) – [Med Lav Erg 2012; 34:1, 19-23]

In relazione alle disposizioni specifiche contenute nel Titolo IX “Sostanze pericolose” del D.Lgs 81/2008, il riferimento attuale per le polveri di cuoio è il Capo I “Protezione da agenti chimici”. Infatti, le polveri di cuoio non sono classificate e non rispondono ai criteri di classificazione quali categorie cancerogene 1 o 2 dell’Unione Europea, né l’attività calzaturiera è ricompresa nell’allegato XLII.
Tuttavia, i tumori delle cavità nasali ed i tumori dei seni paranasali in lavoratori addetti alla “Fabbricazione e riparazione delle calzature” sono malattie la cui denuncia è obbligatoria ai sensi e per gli effetti dell’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965 e successive modificazioni ed integrazioni: infatti nel D.M. 14 gennaio 2008 sono compresi nella Lista I “Malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità” (Gruppo 6 – punto 28). Nel D.M. 9 aprile 2008 “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura”, gli stessi tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali sono inseriti alla voce 68 “Malattie neoplastiche causate da polveri di cuoio” – “Lavori che espongono a polveri di cuoio”, attribuendo un ruolo causale netto alle polveri di cuoio. Ciò detto in applicazione dell’art. 225 comma 1 lettera c) del D.Lgs 81/08 e s.m.i.

Articolo 225 – Misure specifiche di protezione e di prevenzione
1. Il datore di lavoro, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo 223, provvede affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione, qualora la natura dell’attività lo consenta, con altri agenti o processi che, nelle condizioni di uso, non sono o sono meno pericolosi per la salute dei lavoratori. Quando la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione il datore di lavoro garantisce che il rischio sia ridotto mediante l’applicazione delle seguenti misure da adottarsi nel seguente ordine di priorità:
a) progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature e materiali
adeguati;
b) appropriate misure organizzative e di protezione collettive alla fonte del rischio;
c) misure di protezione individuali, compresi i dispositivi di protezione individuali, qualora non si riesca a
prevenire con altri mezzi l’esposizione;
d) sorveglianza sanitaria dei lavoratori a norma degli articoli 229 e 230.

Essendo, secondo le attuali evidenze scientifiche, il rischio elevato e non potendo ridurre mediante la sostituzione, o eliminare l’esposizione a polveri di cuoio, devono essere applicate le misure di protezione personale.

Dalla giurisprudenza

Ministero del lavoro e della previdenza sociale
Circolare n.34 del 29 aprile 1999

Oggetto: Indumenti di lavoro e dispositivi di protezione individuale.

Considerati alcuni dubbi sorti in merito agli indumenti di lavoro quando sono destinati ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, si ritiene opportuno richiamare l’attenzione sul complesso della pertinente legislazione prevenzionistica ai fini della sua corretta e puntuale applicazione.

Gli indumenti di lavoro, possono assolvere a varie funzioni:

a) elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divisa;
b) mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’espletamento della attività lavorativa;
c) protezione da rischi per la salute e la sicurezza.

In tale ultimo caso, tali indumenti, rientrano tra i dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi dell’art.40 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626. Rientrano, ad esempio, tra i dispositivi di protezione individuale (DPI) gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc.

Normali abiti da lavoro non sono scelti in funzione di rischi specifici e misurabili, ed hanno meramente una funzione di immagine (divise). Laddove la loro funzione è protettiva rispetto all’esposizione a residui di lavorazione, polvere, microscorie che potrebbero accompagnare l’abito per un periodo di tempo indeterminato, finendo probabilmente nelle lavatrici domestiche e creando, così, situazioni di contatto, accumulo o contaminazione crociata indesiderabili, gli indumenti sono da considerarsi DPI e i datori di lavoro hanno l’obbligo di farsi carico della loro pulizia.

[da “linee guida per la prevenzione degli specifici rischi derivanti da non idonea manutenzione e lavaggio degli indumenti DPI, al fine di garantirne nel tempo i requisiti tecnici di protezione per i lavoratori” (art. 1, Decreto dirigenziale Ministero della Salute – Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, 5 febbraio 2007)].

Tale comportamento di tipo precauzionale vale a maggior ragione nel caso delle polveri di cuoio, dove sussiste evidenza scientifica di cancerogenicità.

Cassazione 5 novembre 1998, n. 11139
“L’idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, é quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni”.
“Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo di protezione”.
La giurisprudenza successiva di merito e di legittimità si è uniformata a questo principio.
L’obbligo riguarda soltanto i DPI in quanto finalizzati alla protezione della salute/sicurezza del lavoratore che li indossa.

Sempre dalla Circolare 34/1999

Ciò vale ovviamente anche per gli indumenti di lavoro che assumano la caratteristica di dispositivi personali di protezione. A tale scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone la periodicità. Detta pulizia può essere effettuata sia direttamente all’interno dell’azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate; la scelta ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro.

In via generale, qualora gli indumenti sono o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che si provveda alla loro pulizia all’interno dell’azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione e il trattamento di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo; se viceversa, si sceglie un’impresa esterna, il datore di lavoro, come già ricordato, responsabile delle buone condizioni igieniche e dell’efficienza di tali D.P.I., efficienza che un’errata pulizia potrebbe pregiudicare, deve preventivamente assicurarsi che l’impresa stessa abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione esterna.

Il datore di lavoro inoltre, dal momento che è tenuto, ai sensi dell’art.4, comma 5, lett. n del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626, ad assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate (uso dei DPI) possono causare rischi per la salute della popolazione, fra cui rientra, a questi fini, il lavoratore esterno, deve provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla loro entità.

Dai dati di vigilanza nel territorio dell’Az. USL 3 Pistoia è emerso che nessun datore di lavoro di nessuna ditta del comparto calzaturiero si occupava, prima della contestazione della violazione dell’art. 77 comma 4 lettera a) del D.Lgs 81/08 e s.m.i., dell’igienizzazione dei DPI (camici, grembiuli ecc..).

Fonti: Az Usl 3 Pistoia, Puntosicuro.it