L’Ispettorato nazionale del lavoro ha pubblicato la Nota n. 694/2024 del 24 gennaio 2024 che si sofferma sul tema della certificazione dei contratti negli ambienti confinati. Riflessioni e commenti a cura di Adriano Paolo Bacchetta.
Riguardo al delicato tema della certificazione dei contratti ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003, per il personale impiegato in servizi resi in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) ha recentemente pubblicato la Nota prot. n. 694 del 24 gennaio 2024, a cura della Direzione Centrale vigilanza e sicurezza del lavoro.
Per parlarne, e per indicare anche alcune possibili criticità, riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo – dal titolo “Ma perché, nel caso del DPR 177/2011, le cose devono essere sempre così difficili?” – a cura di Adriano Paolo Bacchetta che i nostri lettori, dopo le tante interviste e contributi pubblicati in questi anni, conoscono come uno dei principali esperti per tutto quanto riguarda gli “ ambienti sospetti di inquinamento o confinati”.
Ma perché, nel caso del DPR 177/2011, le cose devono essere sempre così difficili?
È di questi giorni un documento INL (INL-DCVIG.REGISTRO UFFICIALE.U.0000694.24-01-2024) avente a oggetto “D.P.R. n. 177/2011 problematiche sui luoghi confinati e ambienti sospetti di inquinamento”, nel quale la Direzione generale fornisce chiarimenti a seguito di specifiche richieste da parte degli Uffici territoriali. Questo, facendo anche seguito alla nota del MLPS n. 37/0011649 del 27/06/2013.
Il tema specifico, trattato dal nuovo documento INL, riguarda le problematiche concernenti l’obbligatorietà della certificazione dei contratti ai sensi del Titolo VIII, capo I, del D.Lgs. n. 276/2003 per il personale impiegato in servizi resi in ambienti sospetti di inquinamento o confinati in regime di appalto o subappalto.
Prima di proseguire il presente testo, per avere un quadro generale del tema, è opportuno evidenziare fin d’ora l’importanza di attuare qualsiasi iniziativa in grado di garantire un adeguato livello di sicurezza nelle attività previste in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Tuttavia, sarebbe anche opportuno valutare quali sia il reale impatto di alcune disposizioni introdotte con il D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 (nel seguito solo Decreto) in termini di applicabilità e di reale efficacia.
Infatti, come noto, in queste attività (ma non solo in queste), è necessario garantire sia una corretta programmazione e pianificazione di tutte le fasi operative (con particolare riferimento agli interventi in caso di emergenza), sia assicurare un’adeguata attività d’informazione e formazione di tutto il personale (compreso il datore di lavoro) e il possesso d’idonei dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro adeguati alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati oltre a garantire il necessario addestramento al loro corretto utilizzo. Detto questo, resta da capire se il ricorso alla certificazione dei contratti possa realmente essere funzionale all’elevazione del livello di sicurezza ipotizzato dal Legislatore.
Tutto ciò premesso, il documento dell’INL riporta osservazioni condivise con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali precisando che, in via preliminare, occorre evidenziare che il Decreto ha dato attuazione all’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 81/2008 e ha introdotto alcune disposizioni finalizzate a qualificare le imprese ed i lavoratori operanti in “in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo” (art. 1, comma 2). L’art. 2 del Decreto prevede che qualsiasi attività lavorativa, nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, possa essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi che siano in possesso dei requisiti previsti dallo stesso articolo.
Proseguendo nell’analisi del contesto, il documento INL evidenzia come le lettere a) e b), dell’art. 2 citato Decreto evidenziano un’applicazione rigorosa ed integrale delle norme di sicurezza in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e adozione delle misure di gestione delle emergenze, obbligo esteso a tutte le tipologie di azienda e quindi anche per i lavoratori autonomi, soprattutto in termini di sorveglianza sanitaria.
In relazione alle previsioni di cui al comma 1, lett. c), dell’art. 2 del medesimo Decreto, l’analisi di INL sottolinea il requisito obbligatorio ivi previsto, ovvero l’obbligo di “presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30 per cento della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Tale esperienza deve essere necessariamente in possesso dei lavoratori che svolgono le funzioni di preposto”.
Finora, nulla da eccepire e, anzi, la precisazione che la misura del 30% deve intendersi riferita al personale impiegato sulla specifica attività, indipendentemente dal numero complessivo della forza lavoro della stessa azienda chiarisce un punto controverso del Decreto ove il riferimento alla “forza lavoro” (ovvero il numero di persone che occupano una posizione in una determinata azienda n.d.r.) da subito ha dimostrato l’evidente errore concettuale (ad esempio si pensi a una azienda con cento dipendenti che opera in ambienti sospetti di inquinamento o confinati con una squadra di sole 10 persone).
Proseguendo, il documento INL evidenzia che il Decreto impone alle imprese l‘obbligo di utilizzo di personale qualificato, stabilendone i requisiti minimi – esperienza almeno triennale – e la tipologia contrattuale, la quale deve essere generalmente di tipo subordinato a tempo indeterminato. E nel caso in cui l’impresa decida di utilizzare personale con altre tipologie contrattuali, solo allora dovrà procedere alla certificazione del contratto di lavoro ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del D.Lgs. n. 276/2003.
E fino a qua, continua tutto ad andare bene.
Quello che, invece, non è comprensibile, è il ragionamento sotteso a quanto precisato nel documento INL nella parte in cui è scritto: Inoltre, nel caso in cui l’impiego del personale in questione avvenga in forza di un contratto di appalto, occorrerà certificare i relativi contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore – ancorché siano contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato – ma non certificare anche il contratto “commerciale” di appalto.
Come dire, non si certifica il contratto “commerciale” di appalto tra committente e appaltatore ma, se una azienda svolge attività in appalto in ambienti sospetti di inquinamento o confinati presso terzi, è tenuta a certificare il contratto di lavoro di tutti i suoi dipendenti che svolgono tale attività anche se assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
L’incredibile posizione interpretativa, completamente difforme da quanto – in realtà – è esplicitamente richiesto dal Decreto si baserebbe, per quanto si deduce dal documento INL, sulla disamina dell’art. 2, comma 2 – secondo il quale “in relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati (…)” – che subordina il ricorso al subappalto ai casi in cui questo sia espressamente autorizzato dal committente e certificato ai sensi del titolo VII, capo I del D.Lgs. n. 276/2003. Rispetto a questo, siamo tutti d’accordo che il Decreto richiede espressamente la certificazione sia del contratto “commerciale” di subappalto sia del contratto di lavoro dei dipendenti dell’appaltatore ma solo se assunti con altre tipologie contrattuali (ovvero non assunti a tempo indeterminato).
Proseguendo nella lettura, però si legge: Se dunque l’intento del legislatore era quello di rendere obbligatoria la certificazione dei contratti di lavoro in tutte le ipotesi di esternalizzazione dell’attività produttiva – ivi compresi i contratti di appalto e non solo di subappalto – lo avrebbe previsto in maniera esplicita. Peraltro, il comma 1, lett. c), dell’art. 2 sopra menzionato definisce i requisiti che devono avere i lavoratori addetti alle lavorazioni in ambienti confinati e sospetti di inquinamento e non si rivolge ai rapporti intercorrenti tra il committente e l’appaltatore.
Sembrerebbe quindi che questo, nei fatti, contraddica quanto affermato nel periodo precedente. Ovvero, a parte la questione della non necessaria certificazione del contratto “commerciale” di appalto (su cui siamo tutti d’accordo in quanto adempimento mai previsto dal Decreto ma scaturito da una libera interpretazione dell’INL), come si può prima affermare che tutti i contratti di lavoro dei dipendenti delle ditte che svolgono attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati presso terzi devono essere certificati e poi scrivere che: Se dunque l’intento del legislatore era quello di rendere obbligatoria la certificazione dei contratti di lavoro in tutte le ipotesi di esternalizzazione dell’attività produttiva – ivi compresi i contratti di appalto e non solo di subappalto – lo avrebbe previsto in maniera esplicita? Appare quindi più che evidente l’incongruenza e l’illogicità della interpretazione date da INL. E che la questione dell’”ancorchè” di cui sopra non sia una svista, come qualcuno potrebbe ipotizzare, è data dal successivo periodo ove, sempre l’INL, precisa che: In secondo luogo, prevedere la certificazione dei contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore (ma non anche del contratto “commerciale” di appalto) è già di per sé una garanzia in ordine sia ai requisiti di esperienza richiesti dalla norma, sia per quanto concerne i trattamenti retributivi e normativi riservati a tale personale che, evidentemente, costituiscono anch’essi un indice di regolarità dell’appalto. Ma, nei fatti, quale effettiva garanzia fornisce la certificazione del contratto di lavoro ai fini della sicurezza? Come si può affermare che la certificazione dei contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore … è già di per sé una garanzia in ordine sia ai requisiti di esperienza richiesti dalla norma … ? Questa affermazione apodittica non è per nulla condivisibile. Anzi!
Inoltre, l’ulteriore precisazione che … tali certificazioni (quelle dei contratti di lavoro n.d.r.), potranno essere utilizzate dall’appaltatore per tutta la durata dei rapporti di lavoro cui si riferiscono, a prescindere dalla circostanza che la certificazione sia stata effettuata in occasione di uno specifico appalto … risulta pleonastica considerato che si tratta di certificazioni del rapporto di lavoro che, quindi, già oggi hanno validità in vigenza del rapporto di lavoro.
Il Documento INL prevede anche alcune indicazioni di tipo amministrativo rispetto all’Organo di certificazione cui fare riferimento, precisando che la sua individuazione discende dal luogo in cui è svolta l’attività, qualora ci si rivolga ad un soggetto che ha una competenza territoriale (Ispettorato del lavoro, Province, Consigli provinciali dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Enti bilaterali regionali o provinciali) mentre, nel caso in cui ci si rivolga alle Università o alle Fondazioni Universitarie, non c’è un problema di competenza territoriale, potendo tali organi certificare in ambito nazionale. Dopodiché, entra nel merito dell’attività che l’Organo di certificazione deve svolgere evidenziando che, in fase istruttoria, la Commissione di certificazione non può limitarsi a verificare la mera sussistenza dei requisiti organizzativi, ma dovrà approfondire altri temi, quali le tipologie contrattuali dei lavoratori impiegati, la loro esperienza professionale, il possesso del DURC in capo alle imprese, l’applicazione integrale del CCNL e gli adempimenti compiuti dal committente in relazione alla verifica dell’idoneità tecnico-professionale. Nei fatti, quindi, si ridisegna la procedura di certificazione di cui al Titolo VIII del D.Lgs. n. 276/2003 aggiungendo adempimenti – non previsti – a carico dei soggetti di cui all’art. 76 del medesimo D.Lgs. che, generalmente, non hanno le competenze per effettuare una verifica tecnica sui documenti presentati rispetto ai quali, comunque, ad oggi non esiste uno standard unico che indichi quali debbano essere e come questi debbano essere valutati.
Conclusioni
A distanza di dodici anni dalla sua entrata in vigore, il Decreto continua a fare discutere ed è oggetto di continue interpretazioni che certamente non ne favoriscono l’applicazione. Inoltre, non ci sono dati ufficiali sul numero di certificazioni effettuate e studi sulla loro reale efficacia.
Personalmente, come ho subito evidenziato, al posto della certificazione dei contratti di subappalto sarebbe stato meglio identificare un’altra modalità più semplice e già sperimentato quale, ad esempio, l’obbligatorietà della segnalazione preliminare per via informatica dell’avvio di attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Si sarebbe, infatti, potuto estendere quanto già oggi previsto dall’art. 99 comma 1 del D.Lgs. 81/08, come modificato dal D.Lgs. 106/09. Tra l’altro questo avrebbe anche avuto il vantaggio di poter monitorare le operazioni effettuate, avviare l’identificazione e il censimento delle aziende che operano nel settore e quindi consentire una migliore e più efficiente pianificazione delle attività di controllo potendo rendere noti e immediatamente conoscibili i dati concernenti i cantieri agli Organi di Vigilanza, che, in questo modo, potrebbero programmare gli interventi di controllo.
Affermata sia l’importanza dell’attività di cooperazione, coordinamento e informazione reciproca delle imprese coinvolte, sia la necessità di verificare che la catena degli appalti e subappalti non porti aziende o lavoratori autonomi a eseguire attività per le quali non sono né preparati né attrezzati, la questione è una sola: bisogna eseguire un’approfondita e corretta valutazione dei rischi, un addestramento efficace, prevedere l’impiego di attrezzature idonee e pianificare sia le attività ordinarie sia gli scenari di emergenza, codificando le operazioni da porre in essere. Inoltre, appare più che mai necessario e urgente rivedere il quadro normativo di riferimento inserendo nel D.Lgs. 81/08 un Titolo specifico per normare tali attività (in modo da poter finalmente abrogare il DPR 177/2011).
Scarica il documento presentato nell’articolo:
Nota dell’ispettorato del lavoro numero 694/2024
fonti: Puntosicuro.it, Lavorosi.it, Ispettorato del lavoro, Adriano Paolo Bacchetta