Cosa contiene la nuova norma UNI? Che effetti avrà sulla prevenzione? Cosa manca nella norma? Quali sono le criticità relative alla formazione? Come migliorare la prevenzione? Ne parliamo con l’ingegnere Adriano Paolo Bacchetta.
In relazione ai tanti infortuni gravi che ancora avvengono nel nostro Pease negli ambienti confinati – uno dei più recenti e gravi è quello avvenuto nel 2024 a Casteldaccia – e alla lentezza del legislatore nel trovare soluzioni in grado di migliorare efficacemente le strategie di prevenzione, siamo tornati ad Ambiente Lavoro di Bologna a parlare di spazi confinati.
Lo abbiamo fatto, in questo caso, focalizzandoci su una novità importante, la nuova norma UNI EN ISO 11958che stabilisce i criteri per l’identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi negli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento. Norma che è stata presentata, proprio ad Ambiente Lavoro 2024, al convegno “ Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento – L’identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi”.
Per affrontare questo tema il 21 novembre scorso, a Bologna, abbiamo intervistato l’ingegnere Adriano Paolo Bacchetta che non solo è uno dei più importanti e riconosciuti esperti in tema di ambienti confinati, ma che ha lavorato per molto tempo nella Commissione UNI che ha elaborato la nuova norma.
Con lui non abbiamo parlato solo di norma UNI, ma anche della sua relazione al convegno sul ruolo degli “operatori addetti”, sulla formazione, sul futuro Accordo Stato-Regioni (“ DPR 177/2011: la formazione degli addetti nel prossimo accordo Stato-Regioni”) e su quanto servirebbe in Italia per migliorare la prevenzione dei tanti infortuni che ancora avvengono negli ambienti confinati.
Queste le domande poste ad Adriano Paolo Bacchetta:
- La norma UNI è disponibile? Perché si è arrivati a questa norma? E cosa contiene?
- Perché, pur in presenza di diverse norme internazionali sul tema, è importante avere una norma tecnica italiana?
- Quali sono gli effetti che questa norma potrà avere sulla prevenzione degli infortuni?
- Quali sono le eventuali criticità o le cose che mancano nella norma?
- Al convegno lei ha parlato dei compiti e del ruolo degli operatori addetti. Cosa si intende per operatori addetti e quali sono le novità principali?
- Quali sono le criticità relative al contenuto dell’attuale bozza definitiva del futuro Accordo Stato-Regioni riguardo alla formazione del personale che lavora negli spazi confinati?
- Cosa fare per ridurre gli infortuni in questi ambienti di lavoro?
- È sempre convinto che si debba abrogare il DPR 177/2011 e introdurre nel decreto 81/2008 un titolo specifico?
L’intervista si sofferma su vari argomenti:
- Gli spazi confinati e la nuova norma UNI: contenuti e applicazione
- Gli spazi confinati e la nuova norma UNI: criticità e operatori addetti
- Gli spazi confinati: prevenzione, DPR 177/2011 e d.lgs. 81/2008
Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di visualizzare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.
L’intervista di PuntoSicuro ad Adriano Paolo Bacchetta
Gli spazi confinati e la nuova norma UNI: contenuti e applicazione
Parliamo innanzitutto della norma UNI. E’ già disponibile? Perché si è arrivati a questa norma? E cosa contiene?
Adriano Paolo Bacchetta: Innanzitutto la nuova norma è disponibile dal 14 novembre 2024 (…).
La norma fondamentalmente era necessaria, secondo noi, già da diverso tempo, tanto è vero che il gruppo di lavoro ha lavorato parecchio, credo almeno due anni, due anni e mezzo, all’incirca, per elaborarla. Anche perché poi una norma tecnica specifica su questo tipo di tematica in Italia non c’era. C’erano e ci sono le norme internazionali (…), però una norma nazionale che trattasse specificatamente di questo tema non c’era.
Cosa contiene? Contiene fondamentalmente l’applicazione pratica delle regole progettuali e delle regole per la valutazione dei rischi, letta da un punto di vista tecnico. E quindi mentre il DPR 177/2011 sostanzialmente introduce una serie di adempimenti amministrativi, in particolar modo tutto quello che attiene alla certificazione dei contratti e cose di questo genere, la norma tecnica entra, invece, proprio nello specifico di vari aspetti. La norma dà delle indicazioni su come deve essere affrontato un processo di analisi dei luoghi, a partire dal censimento, dall’identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi, definizione delle procedure operative, compresa anche la definizione delle procedure di emergenza, tralasciando alcune parti che sono rimaste in capo al decreto, tipo la certificazione dei contratti, che non se ne parla della norma. Ma come anche non si parla, ad esempio, del rappresentante del datore di lavoro committente. Mentre invece vengono specificati ruoli, posizioni e competenze dei soggetti che fisicamente sono direttamente impiegati e che, in qualche modo, sono richiamati anche nell’accordo Stato Regioni nella bozza che prima o poi sarà approvata.
Qualcuno potrebbe obiettare che c’erano già delle norme internazionali. Perché, a suo parere, è importante avere una norma tecnica italiana?
Adriano Paolo Bacchetta: Innanzitutto perché (…) la standardizzazione internazionale è frutto della logica dell’applicazione delle norme internazionali. Cioè, se io vado a prendere una norma OSHA, la norma dipende dalla regolamentazione OSHA, l’Health and Safety Executive fa ovviamente riferimento alle normative del Regno Unito.
Quindi è vero, tecnicamente io posso fare riferimento alla miglior tecnologia disponibile, e quindi fare riferimento anche alle norme internazionali. Però, come sempre accade, una norma nazionale ovviamente diventa di più facile consultazione, perché purtroppo non tutti ancora riescono a leggere perfettamente l’inglese tecnico. Magari mi sbaglio, però questo è uno dei limiti. Tant’è vero che, quando le norme UNI, in particolar modo, vengono applicate, o quantomeno entrano nel catalogo UNI solo con la copertina in italiano e la norma tecnica in inglese, qualche problema di applicazione qualche volta si vede ancora.
E poi comunque ovviamente lo standard tecnico della norma UNI è legato alla normativa nazionale. E quindi era per forza di cose necessario trasporre i concetti organizzativi, presenti negli standard internazionali e renderli applicabili e coerenti con la legislazione nazionale (…).
Questa norma riuscirà ad avere effetti concreti sulla prevenzione degli incidenti, degli infortuni che avvengono continuamente negli spazi confinati?
Adriano Paolo Bacchetta: Il problema è l’applicazione di qualsiasi norma tecnica.
Cioè, la norma c’è, ci dà delle indicazioni, dà una modalità con la quale uno può affrontare il problema. Però se uno non è competente e preparato, io posso avere tutte le norme tecniche di questo mondo, ma poi alla fine il risultato che ne verrà, sarà un risultato assolutamente poco performante ai fini della sicurezza.
Quindi il grosso problema adesso è quello di andare a identificare, o quantomeno cercare di spingere il più possibile, i tecnici ad assolvere a quel compito di istruzione, a quel compito di acquisizione di conoscenze e competenze che, ad esempio, all’estero vengono riconosciute alla cosiddetta competent person. Cioè una persona competente, in funzione di qualità, di conoscenze e di capacità di applicare i principi della miglior tecnologia disponibile a qualsiasi tipo di applicazione. Nel caso specifico, negli spazi confinati o nei confined spaces, così come vengono identificati all’estero, esiste proprio questa figura che da noi non esiste. Da noi chiunque si occupi di sicurezza può alzarsi la mattina e dire: “OK, ti faccio la valutazione dei rischi” (…). Addirittura, posso comprare valutazioni già fatte.
Sul mercato ci sono alcuni che vendono dei prodotti che fanno già la valutazione dei rischi negli spazi confinati. In realtà questo è un problema annoso, perché ogni spazio confinato è a se stesso, nel senso che ce ne possono essere di simili, ma non esisteranno mai due spazi confinati uguali ai quali posso applicare le stesse regole, le stesse modalità operative. Quindi, necessitano, comunque, una valutazione volta per volta.
Gli spazi confinati e la nuova norma UNI: criticità e operatori addetti
Al di là degli aspetti positivi, quali sono, a suo parere, le eventuali criticità o le cose che mancano nella norma?
Adriano Paolo Bacchetta: (…) La norma tecnica, di fatto, al momento dà una traccia sufficiente per chi ha una adeguata conoscenza e competenza per poter comunque interpretare al meglio l’attività di progettazione degli interventi. Certo, come tutte le norme può essere migliorabile.
Diciamo che, in inchiesta pubblica, abbiamo ricevuto diversi commenti che sono stati valutati. E quindi, ad oggi, dovrei dire che dovrebbe essere la rappresentazione dello stato dell’arte; cioè, di quello che dovrebbe essere richiesto in qualsiasi valutazione e progettazione di un intervento.
Poi, che cosa si può fare ancora? Sicuramente alcuni temi non li abbiamo trattati, tipo la formazione, anche perché poi c’è l’accordo Stato Regioni che incombe…
Però, ecco, quella è una parte assolutamente di interesse, dove probabilmente sarebbe utile una maggiore identificazione dei requisiti o quantomeno delle possibilità per poter fare una attività efficace di informazione e formazione e addestramento che vada oltre al solo focalizzarsi sull’attività di soccorso.
Il problema è evitare che si verifichino le condizioni che possano portare eventualmente alla necessità di un intervento di soccorso. Quindi il problema – io continuo a dirlo e lo dico nei corsi, nei convegni e ovunque – il 99% del problema è la scarsa o errata progettazione iniziale. Poi esiste l’1% che va comunque considerato e che prevede una particolare attenzione alla gestione dell’emergenza.
Però finiamola di focalizzarsi solo sulla gestione dell’emergenza (…)
Lei nel suo intervento ha parlato in particolare dei compiti e del ruolo degli operatori addetti. Cosa si intende per operatori addetti e quali sono le novità principali?
Adriano Paolo Bacchetta: In realtà si è seguita la strada classica che deriva anche dalla normativa internazionale. Quindi l’operatore che entra, l’operatore che sta sul passo d’uomo, quindi sul punto di ingresso. Poi abbiamo il supervisore, quindi quello che può essere preposto, e poi i componenti della squadra di soccorso.
Io nell’intervento ieri ho sottolineato fondamentalmente il ruolo dell’attendente. Questo perché, se andiamo a leggere ad esempio la norma ANSI/ASSP Z117.1 edizione 2022 – e tra l’altro ho grande piacere di far parte del comitato tecnico ANSI/ASSP che la elabora – l’attendente è una figura non marginale.
Anzi, addirittura, nello standard ANSI/ASSP, l’attendente, insieme a colui che fa le rilevazioni dell’atmosfera interna, riceve una formazione aggiuntiva particolare. Quindi io lo formo, come addetto agli spazi confinati e in più lo forma a fare l’attendente, oppure lo formo a fare colui che fa le misurazioni all’interno dell’ambiente. (…)
L’attendente è una persona di una importanza incredibile, perché deve poter capire al volo se si stanno generando delle situazioni di pericolo. Ad esempio, situazioni anche esterne, perché in realtà, spesso e volentieri, gli ambienti confinati vedono i progettisti focalizzarsi sull’intervento all’interno e perdono di vista il problema del contesto. (…) Oppure succede qualcosa all’interno, perché vede qualcosa che non è coerente con la procedura operativa, avvisa ed eventualmente interviene per far fermare la lavorazione e fare uscire le persone.
Quindi è uno che ne sa e ne deve sapere.
Ecco, da noi questo non è ancora arrivato. E se volessimo ritornare al discorso di prima, cioè al concetto della formazione, un passo successivo potrebbe essere quello di andare a meglio definire i ruoli, le competenze di questi soggetti, perché effettivamente questi necessitano di una particolare attenzione proprio per rendere efficace la loro azione.
(…)
Gli spazi confinati: prevenzione, DPR 177/2011 e d.lgs. 81/2008
Cosa deve cambiare affinché si riducano gli infortuni negli spazi confinati? Lei mi pare che abbia auspicato addirittura l’abrogazione del DPR 177 e l’introduzione nel decreto 81 di un titolo specifico…
Adriano Paolo Bacchetta: Esatto. L’unica soluzione che io vedo da un punto di vista legislativo è quella di cancellare il DPR 177/2011, abrogando, tra l’altro, alcune cose.
Ad esempio, io contesto formalmente, da sempre, la certificazione dei contratti.
Ad oggi io devo ancora vedere qualcuno che mi dà dei dati. E c’è qualcuno che ce l’ha le informazioni, perché in realtà ogni Commissione di certificazione quando avvia un processo di certificazione deve dare comunicazione all’Ispettorato territoriale. Quindi vuol dire che l’Ispettorato ha i dati. E io vorrei sapere (…) quanti contratti sono stati certificati dal settembre del 2011. Perché, se salta fuori che i numeri sono assolutamente, diciamo, non coerenti con quello che ragionevolmente è il numero di ingressi che è possibile prevedere, questo vuol dire che la maggior parte delle attività non sono state fatte seguendo la certificazione. Quindi vorrei capire lo strumento di certificazione che cosa ha portato in più.
Se ne è scritto, c’è stato qualcuno che pubblicò all’epoca anche degli articoli molto lunghi, difendendo la certificazione giustificandola con il fatto che bisognava controllare. Perché senza la certificazione non sarebbe stato possibile intercettare alcuni errori.
Ma il problema non è la certificazione, il problema è che chi ha fatto la progettazione non sapeva cosa faceva. E quindi il problema non è quello di andare a mettere una pezza dopo e andare a vedere se poi la progettazione è stata fatta bene o male.
Proviamo a andare a intercettare prima chi fa le attività e fare in modo che facciano delle attività adeguate.
La seconda cosa è obiettivamente uscire da questa logica per cui un regolamento che doveva essere solo di qualificazione dell’impresa poi è entrato nel campo operativo.
Perché l’articolo 3 fisicamente esce dai requisiti di qualificazione ed entra nell’attività operativa (la nomina del rappresentante, la procedura di emergenza, la formazione preliminare di almeno un giorno…).
(…) Ad esempio, la formazione di un giorno comincia a diventare complessa se si vuole farla su interventi di pronta emergenza, quando obiettivamente devo fare un intervento di fronte ad una rottura. Se gli interventi sono programmati possiamo ragionare, ma la maggior parte degli interventi che vengono fatti in spazi confinati sono conseguenze di una rottura, una pompa immersa, un qualcosa che non funziona all’interno di un processo produttivo e che non posso saperlo il giorno prima. (…)
Quelli sono sicuramente due punti che da sempre mi trovano non d’accordo.
Certamente un titolo specifico nel decreto 81 gli spazi confinati lo meriterebbero.
C’è in tutte le regolamentazioni internazionali e l’Italia è l’unica che non ha mai considerato questo discorso.
Fermo restando questo, ricordo che una vecchia rivista, dell’ENPI, nel 1974, aveva un bellissimo articolo di circa 20/24 pagine che parlava di spazi confinati e c’era tutto, tutto quello che poi ha “stupito” il mondo nel 2011 (con gli incidenti di lavoro che hanno portato all’emanazione del DPR 177/2011, NdR). Tutto era scritto a chiare lettere su quella bellissima rivista del 1974, poi passate nel dimenticatoio. E ci siamo svegliati nel 2011 parlando di spazi confinati.
(…)
Il problema è che da una parte le imprese sono un po’ in ritardo nella consapevolezza e nell’educazione degli appaltatori o comunque del personale che deve comunque svolgere questa attività. Dall’altra parte il legislatore è lì che non si muove. (…)
Ecco. In questo, secondo me, la norma tecnica aiuta. Perché rendere più chiari gli ambiti applicativi da un punto di vista tecnico non meramente giuridico, potrebbe essere veramente un punto a favore per la corretta applicazione e la diffusione di questo standard tecnico presentato ieri (20 novembre 2024, NdR).
Scarica la normativa citata nell’intervista:
Fonti: Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto, Puntosicuro.it, gazzettaufficiale.it