Un volume dedicato alle PMI e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza. Focus sui rischi del lavoro in esterno con particolare riferimento alle radiazioni solari: normativa, DPI e misure di prevenzione.
Arrivati alla stagione estiva e alle temperature che la caratterizzano, riprendiamo a parlare, come abbiamo fatto anche in un recente articolo, del caldo negli ambienti di lavoro. Con particolare riferimento, in questo caso, ai lavoratori che svolgono la loro attività all’aria aperta (i cosiddetti “lavoratori outdoor”) e partendo dalla constatazione che il rischio da radiazione UV solare nel mondo del lavoro non è ancora sufficientemente conosciuto.
Per affrontare il tema del lavoro in esterni facciamo riferimento al contenuto del volume “ Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia ( OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA).
Nel capitolo dedicato ai “rischi del lavoro in esterno” si segnala che “pur essendo la ‘radiazione solare’ classificata dalla IARC nel gruppo 1 di cancerogenesi (sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo) e pur costituendo un fattore di rischio per tutte le attività all’aperto, essa non è stata inserita nell’elenco degli Agenti cancerogeni e mutageni del D.Lgs. 81/2008”.
Tuttavia benché le radiazioni UV solari siano escluse dal campo di applicazione del Decreto legislativo 81/2008, l’art. 181 del Testo Unico specifica che la valutazione del rischio di tutti gli agenti fisici deve essere tale da ‘identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica e alle buone prassi’ (art. 181, comma 1, D.Lgs. 81/2008).
Nel volume dedicato al mondo dell’artigianato si indica che il principio di fondo “è dato dall’assunto che il lavoratore deve essere protetto da tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori ragionevolmente prevedibili e quindi valutabili. Il Datore di Lavoro deve sempre considerare l’effetto del rischio sulla salute dei lavoratori tenendo conto dell’evoluzione tecnica in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro, e dato che le buone prassi sono per definizione documenti di natura applicativa sviluppati in coerenza con le norme tecniche, è consigliabile utilizzarle come riferimenti primari ogni qualvolta ve ne sia disponibilità”. E si ricorda che tali aspetti “vanno riguardati anche considerando che:
– il Decreto del 27 Aprile 2004 del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale inserisce i tumori cutanei nella lista delle malattie professionali con obbligo di denuncia;
– il D.M. 9 aprile 2008 “Nuove Tabelle delle Malattie Professionali nell’Industria e nell’Agricoltura” contempla tra le malattie professionali le malattie causate dalle radiazioni UV, tra le quali le radiazioni solari, chiarendo anche che sono lavorazioni che espongono alle radiazioni UV, quelle che espongono alle radiazioni solari presso stabilimenti balneari, a bordo di navi, in cantieri di edilizia stradale, in cave e miniere a cielo aperto”.
Il documento risponde poi a vari quesiti sulla gestione della sicurezza dei lavoratori outdoor.
Quali sono i rischi per la salute del lavoratore che svolge la propria attività in esterno?
Secondo il documento i rischi possono essere molteplici. Infatti durante le lavorazioni in esterno, “il lavoratore può essere esposto alla radiazione solare ultravioletta che può provocare:
– colpo di calore;
– disidratazione del corpo;
– eritemi e/o ustioni;
– insorgenza di malattie della pelle;
– invecchiamento cutaneo;
– insorgenza di melanomi”.
Non dimentichiamo tuttavia che il lavoratore in esterni può essere esposto anche a temperature fredde. E una temperatura eccessivamente bassa “può provocare, per esposizioni prolungate nel tempo, congelamenti in specie delle estremità, ma anche, in soggetti predisposti, accidenti cardiovascolari”.
Inoltre si sottolinea che anche gli sbalzi repentini della temperatura “possono essere dannosi (per es. entrando in una cella frigorifera d’estate)”.
Accantonando momentaneamente il rischio correlato alle temperature e alle radiazioni solari, un altro fattore di rischio per i lavoratori in esterno “può essere l’esposizione al contatto con agenti biologici, in grado di provocare infezioni, allergie o intossicazioni. Il contatto con tali agenti può avvenire per interazione con il terreno, gli animali selvatici o randagi, i loro parassiti (zecche e pulci), gli insetti e i rettili. Rappresentano un pericolo anche i depositi di letame e liquame e tutte le lavorazioni di concimazione che prevedono il loro uso”.
Rimandiamo ad una lettura integrale del documento, che si sofferma ulteriormente sui rischi biologici – con riferimento alle patologie e alle principali vie di trasmissione – e anche sui rischi di cadute, distorsioni, inciampi e scivolamenti, “dati dalla possibile irregolarità del terreno o nel caso, dalla presenza di neve o ghiaccio nella stagione invernale”.
In riferimento al tema delle radiazioni solari, il documento indica anche i Dispositivi di Protezione Individuale che è bene adottare…
Si indica che durante l’esposizione ai raggi solari “è necessario indossare un cappello in tessuto anti UV, a tesa larga e circolare per proteggere capo e viso. Quando si lavora al sole, anche se fa caldo non bisogna scoprirsi, vanno usati invece abiti leggeri e larghi, maniche e pantaloni lunghi (è importante non lasciare scoperte parti del corpo) e tessuti che proteggano dai raggi UV. Non va dimenticato infine di proteggere gli occhi con occhiali da sole”.
E, infine, cosa si può fare per migliorare le condizioni di sicurezza?
Il documento indica che in relazione alle diverse condizioni microclimatiche presenti “è opportuno prevedere tempi di lavoro il più possibile contenuti e intervallati da pause o cambio di mansioni. Nei casi di temperature ambientali elevate e/o di umidità eccessiva occorre garantire in azienda adeguati servizi igienici, comprensivi di docce, spogliatoi, luoghi di riposo”. Inoltre si deve cercare di attuare, per quanto possibile, schermature con teli e con coperture, per proteggere i lavoratori che lavorano all’aperto. Per creare zone d’ombra esistono anche delle strutture portatili (simili ad ombrelloni) che il lavoratore sposta secondo le proprie esigenze (importante è che vi sia lo spazio sufficiente per utilizzarle)”.
Si deve poi organizzare adeguatamente, ove possibile, l’orario di lavoro “in maniera tale che durante le ore della giornata in cui gli UV sono più intensi (ore 11,00 – 15,00 oppure 12,00 – 16,00 con l’ora legale) si privilegino i compiti lavorativi che si svolgono all’interno, riservando i compiti all’esterno per gli orari mattutini e serali in cui l’esposizione agli UV è minore”.
Chiaramente si può anche cercare di “sfruttare le zone di ombra prodotte da alberi o costruzioni vicine”, fornendo così il lavoratore “di un luogo ombreggiato dove consumare i pasti e sostare durante le pause”. E non ultimo tra gli interventi applicabili, “si può fare ricorso a prodotti antisolari”.
Ricordiamo, per concludere, che nel volume è presente anche una breve check list per la verifica della sicurezza dei lavoratori che svolgono lavori all’aperto.
Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia, “ Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, 2014
Fonti: Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia, Puntosicuro.it