Il rischio rapina e la tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori. A cura di Massimo Servadio.
Pur in mancanza di espliciti riferimenti o di una specifica norma, il rischio rapina deve essere valutato e devono essere stabilite e messe in atto le conseguenti misure di prevenzione e protezione a tutela della sicurezza e salute dei lavoratori potenzialmente coinvolti. Tale affermazione trova ulteriore conferma in diverse sentenze.
Con la Sentenza 15 dicembre 2015, n. 3306 la Suprema Corte afferma che “cade sul datore di lavoro l’obbligo di tutela dell’integrità fisiopsichica dei dipendenti all’adozione e al mantenimento, non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad attività anche non collegate direttamente allo stesso come le aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi, non essendo detti eventi coperti dalla tutela antinfortunistica”.
Con la Sentenza 22 febbraio 2016, n. 3424 la Suprema Corte afferma che “ l’art. 2087 del Codice Civile rende necessario l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell’attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale”.
Per poter intraprendere un’efficace gestione del rischio rapina, il datore di lavoro deve innanzitutto essere consapevole che la propria attività lavorativa può comportare l’esposizione a tale rischio.
Seguendo il criterio fornito dalla Sentenza 22 febbraio 2016, n. 3424 citata sopra, è opportuno considerare prevedibili episodi di aggressione a scopo di lucro (rapine) ogniqualvolta nell’attività lavorativa esercitata sia insita la presenza di somme di denaro e/o di oggetti preziosi e/o appetibili per i potenziali rapinatori, anche se in quantità contenute.
I settori che, nell’immaginario comune, sono più colpiti dagli eventi rapina sono gli esercizi commerciali, le banche e gli uffici postali. Tale considerazione è in parte confermata dagli ultimi dati forniti dal Ministero degli Interni (Le statistiche ufficiali del Ministero dell’Interno Ed. 2016), da cui risulta che nell’anno 2015 sono state registrate complessivamente 35.068 rapine. Tali eventi sono così distinti: 5.337 in esercizi commerciali, 790 in banca, 321 in uffici postali, 75 di automezzi pesanti trasportanti merci, 29 a rappresentanti di preziosi, 7 a trasportatori di valori postali e 6 a trasportatori di valori bancari. Escludendo i 21.530 casi riferiti a rapine in pubblica via e in abitazione restano ben 6.973 casi di cui non è riportato il settore di attività. I fatti di cronaca attuali permettono di ipotizzare che tale dato possa includere le rapine avvenute a carico di farmacie, tabaccherie, gioiellerie, caselli autostradali, aree di sosta e ristoro, sale giochi.
Complici anche gli interessi economici e di immagine in gioco, i datori di lavoro di aziende operanti nei settori storicamente più colpiti da rapine (es. esercizi commerciali, banche e uffici postali), si sono attivati per gestire il rischio rapina, agendo sia sugli aspetti tecnici che su quelli organizzativi. Uno degli approcci di gestione del rischio rapina adottabili consiste nel tentare di ridurre notevolmente il livello di interesse del possibile obiettivo agli occhi dei potenziali rapinatori. Ciò si può ottenere aumentando il livello di difficoltà della rapina (es. controllo degli accessi, difficoltà di fuga, visibilità dall’esterno, sistemi di videosorveglianza, presenza di guardie giurate ecc) e/o riducendo il valore del bottino ottenibile (es. quantità del contante/merce ridotto, sistemi che rendano il bottino inutilizzabile/difficilmente piazzabile ecc). In tal modo è possibile che il potenziale rapinatore, che agisce soprattutto in base a una propria analisi sulla difficoltà e redditività della rapina, desista.
È possibile quindi ipotizzare che, in un prossimo futuro, possano essere interessati da eventi rapina anche, e forse soprattutto, settori di attività alternativi, caratterizzati da un rapporto difficoltà/redditività più favorevole.
Senza voler sminuire l’importanza degli aspetti tecnici; è infatti noto e indiscusso che l’installazione di sistemi di videosorveglianza, il controllo degli accessi, la presenza di sistemi per l’attivazione delle forze di polizia e di sistemi di protezione dei valori sono solo alcuni degli interventi tecnici che possono concretamente scoraggiare chi intende delinquere fino a farlo desistere, riducendo così il livello di rischio; è importante concentrarsi anche sui risvolti psicologici e sugli interventi organizzativi e formativi utili alla prevenzione e alla gestione delle conseguenze parafisiche a carico dei lavoratori esposti a rapina. Seppure ben individuato e valutato, il rischio rapina mantiene infatti un livello di imprevedibilità molto elevato, andando così a toccare la sensibilità delle persone e a scatenare reazioni emotive difficili da gestire e da superare, sia prima sia dopo l’evento.
Ci soffermeremo quindi sull’importanza della preparazione delle persone nell’affrontare il rischio rapina e quindi sulla formazione/addestramento dei lavoratori, che ancora una volta si rivela un valido ausilio per gestire con maggiore consapevolezza l’evento rapina.
La formazione/addestramento delle persone dovrebbe riguardare gli aspetti di preparazione all’evento, fornendo ai lavoratori indicazioni pratiche sull’adozione di comportamenti quotidiani che contribuiscano alla riduzione del rischio. L’intervento formativo dovrebbe fornire strumenti/soluzioni/accorgimenti che permettano ai lavoratori di lavorare e quindi di convivere con il rischio di subire una rapina. L’attività di formazione dovrebbe spronare ciascuna persona a migliorare la propria conoscenza di sé stessa e delle proprie possibili reazioni in caso di rapina.
Pur essendo impossibile individuare un set di comportamenti prestabiliti che possano essere applicati in occasione di un evento rapina, la formazione/addestramento dovrebbe assicurare l’attivazione di comportamenti individuali e collettivi corretti in fase di emergenza, in modo da trasformare i lavoratori da una sommatoria di unicità in un gruppo funzionante come un sistema in grado di autoproteggersi. La conoscenza di sé e delle proprie possibili reazioni si concretizza quindi in comportamenti strategici da adottare con l’obiettivo di evitare in ogni modo di innescare un’escalation di violenza da parte del rapinatore.
La formazione/addestramento dovrebbe infine riguardare gli accorgimenti per il post-rapina, fornendo ai lavoratori le procedure da attuare per la gestione delle conseguenze immediate, facendo loro comprendere quali stati d’animo negativi siano una risposta fisiologica all’evento e promuovendo atteggiamenti resilienti che aiutino a migliorare il “benessere” personale e a superare l’evento senza conseguenze residue/permanenti.
La formazione/addestramento dei lavoratori dovrebbe, quindi, fornire ai lavoratori un supporto a 360° oltre che uno spunto di discussione riguardo tale rischio.
A tal proposito un ulteriore e utile strumento di gestione del rischio rapina è l’organizzazione di focus group che permettano ai diretti interessati, i lavoratori e le altre funzioni aziendali coinvolte, la possibilità di esprimere le proprie idee, raccontare le proprie esperienze e i propri stati d’animo.
In conclusione il rischio rapina rappresenta un chiaro esempio di rischio la cui gestione necessita un approccio multidisciplinare, con una forte collaborazione le figure chiaramente citate nel D.Lgs. 81/08 e altre figure competenti nello specifico tema (es. Security, psicologi), in modo che possa essere raggiunto il duplice obiettivo di riduzione dei danni fisici e psicologici sui lavoratori e sia in questo modo garantita l’integrità psicofisica degli stessi.
Massimo Servadio
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni.
Corte di Cassazione – Civile Sezione Lavoro – Sentenza n. 3424 del 22 febbraio 2016 (u.p. 15 dicembre 2015) – Pres. Macioce – Rel. Amendola – Ricor. V.T.. – E’ dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili per impedire eventi criminosi a danno dei lavoratori che, se pure non in grado di impedire il loro verificarsi, possano svolgere un’azione dissuasiva.
Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it