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Il ricorso ex art. 700 c.p. volto a far accertare e dichiarare l’impossibilità per i ricorrenti ultracinquantenni di osservare l’obbligo di vaccinazione anti Covid è inammissibile, da un lato, perché non è possibile prestare la tutela cautelare atipica con contenuto meramente dichiarativo;

dall’altro, perché i ricorrenti difettano di interesse: essi dovrebbero, prima, porsi nella prospettiva di subire le conseguenze sanzionatorie previste dal D.L. n. 1/2022 per chi intende sottrarsi alla vaccinazione obbligatoria e contestare poi in sede giudiziale i provvedimenti sanzionatori che fossero adottati nei loro confronti. È quanto stabilito dal Tribunale di Verona con ordinanza del 21 febbraio 2022.

di seguito il link per poter scaricare la sentenza del Tribunale di Verona del 21 febbraio 2022.

I ricorrenti, sul presupposto di essere tutti i cittadini italiani ultracinquantenni, ed in quanto tali soggetti all’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV2, introdotto dall’art. 1, D.L. n. 1/2022, hanno promosso il ricorso in esame al fine di far accertare e dichiarare la loro impossibilità di osservare il predetto obbligo.

Tale conclusione discenderebbe, secondo i ricorrenti, dalle seguenti concorrenti ragioni:

a) i vaccini attualmente autorizzati in Italia (Spikevax, Comirnaty, Janssen, Vaxzevria) sono destinati a prevenire la malattia causata dal virus Sars CoV-2 mentre il requisito essenziale per poter adempiere legittimamente e correttamente all’obbligo vaccinale è che il vaccino sia efficace nella prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2;
b) l’art. 32 della Costituzione, e anche i principi generali dell’ordinamento, richiedono necessariamente che ogni trattamento sanitario obbligatorio sia determinato mentre l’obbligo vaccinale introdotto con la normativa sopra citata è assolutamente indeterminato sia quantitativamente, perché ancora oggi non è dato sapere con precisione a quante dosi bisognerebbe sottoporsi, che temporalmente, atteso che non è stato individuato con precisione il periodo di tempo che deve intercorrere tra la somministrazione di una dose e quella delle altre;
c) la somministrazione dei vaccini anti Covid in Italia sta avvenendo con modalità che violano palesemente le disposizioni di legge in materia di prescrizione medica: infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, la somministrazione non avviene in ambiente ospedaliero e nemmeno sotto il controllo di specialisti e, inoltre, il modulo di consenso che il vaccinando viene costretto a sottoscrivere contiene in realtà non solo il suo consenso informato ma anche l’anamnesi del soggetto nonché l’autorizzazione alla somministrazione del vaccino.

L’avvocatura distrettuale si è costituita in giudizio contestando la fondatezza nel merito del ricorso. Il ricorso in esame presenta almeno due distinti profili di inammissibilità.

Il Tribunale scaligero rilevano due profili di inammissibilità del ricorso.

Il primo profilo attiene alla questione, nota e dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza, dell’ammissibilità della tutela cautelare atipica di mero accertamento.

Ad avviso del giudice veronese sono molteplici le ragioni che conducono a risolverla in senso negativo. Infatti, un provvedimento cautelare con contenuto dichiarativo sarebbe, da un lato, insuscettibile di esecuzione forzata e, dall’altro lato, sarebbe privo del requisito imprescindibile della strumentalità, sia pure solo funzionale dopo la riforma del 2005, e perderebbe pertanto il carattere di misura assicurativa per assumere quello di misura satisfattiva in contrasto con il principio secondo cui la misura cautelare non può dare più di quello che darebbe il merito.

Quale ulteriore e distinto profilo di inammissibilità del ricorso, viene in rilievo il difetto di interesse dei ricorrenti ad ottenere la pronuncia da loro richiesta. Essi infatti hanno agito, a ben vedere, al fine di ottenere una pronuncia che legittimi il loro rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria.

Lo si desume dalla parte del ricorso dedicata alla illustrazione del periculum in mora.

In essa, infatti, i ricorrenti hanno sostenuto che subirebbero un pregiudizio irreparabile se fossero costretti a sottoporsi ad una vaccinazione obbligatoria che fosse successivamente dichiarata illegittima con una decisione che sarebbe, a quel punto, del tutto inutile.

Se invece non adempissero all’obbligo vaccinale i ricorrenti, stando sempre al loro assunto, sarebbero considerati assenti ingiustificati dal lavoro e verrebbero privati dell’unica fonte di reddito di cui dispongono.

Deve, però, ricordarsi che, come già osservato dal Tribunale di Verona in casi analoghi, la domanda giudiziale volta ad ottenere la positiva delibazione della liceità di una futura condotta, ha il fine surrettizio di confiscare alla controparte il diritto di (re)azione giudiziaria, attraverso la sottrazione preventiva dell’autore all’eventuale giudizio di responsabilità ed è pertanto inammissibile per difetto di interesse.

Per non incorrere in tale assorbente rilievo i ricorrenti dovrebbero allora porsi nella prospettiva di subire le conseguenze sanzionatorie previste dal d.l. 1/2022 per chi non intende sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria e contestare poi in sede giudiziale i provvedimenti sanzionatori che fossero adottati nei loro confronti, sulla falsariga di quello che è stato già fatto, davanti ad altra giurisdizione, da altri soggetti, dipendenti pubblici.

In quella sede i ricorrenti potrebbero poi eventualmente prospettare la questione di legittimità costituzionale della disciplina in esame, in riferimento al parametro, invocato nel caso di specie, dell’art. 32 Cost., questione che nel caso di specie, per le ragioni anzi dette, risulta invece del tutto irrilevante.

Il provvedimento in esame risolve la controversia in rito nel senso dell’inammissibilità della tutela cautelare.

Al diniego dell’invocata tutela – finalizzata ad ottenere, in buna sostanza, l’esonero dall’obbligo vaccinale – si sarebbe potuti comunque addivenire anche ravvisando l’insussistenza del fumus boni iuris.

Dalla lettura dell’ordinanza in rassegna emerge che i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità della normativa speciale, ritenuta in contrasto con la previsione dell’art. 32 Cost., in quanto l’obbligo vaccinale sarebbe privo di limitazioni “quantitative” e “temporali”.

L’art. 4-quater (Estensione dell’obbligo di vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 agli ultra cinquantenni) – aggiunto al decreto-legge 1.4.2021, n. 44 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28.5.2021, n. 76) dal d.l. 7.1.2022, n. 1: “Dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e fino al 15 giugno 2022, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, di cui all’articolo 3 ter, si applica ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonche’ ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25.7.1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta’, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4, 4-bis e 4-ter.”.

Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, la prescrizione appare sufficientemente determinata nella parte in cui richiama all’art. 3 ter d.l. 1.4.2021, n. 44, secondo cui “L’adempimento dell’obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021, la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute”.

La fattispecie da cui origina il provvedimento in rassegna consente di svolgere alcune considerazioni sul tema dei trattamenti sanitari obbligatori e delle vaccinazioni obbligatorie

I trattamenti imposti per legge non possono comportare conseguenze negative per la salute di chi vi è assoggettato, salvo il limite delle conseguenze tollerabili in ragione della loro “temporaneità e scarsa entità”.

Inoltre, la limitazione cui viene sottoposta la libertà di autodeterminazione sulla propria salute varierà per intensità e proporzione rispetto al soddisfacimento delle esigenze della salute altrui, secondo un rapporto di proporzionalità che si risolve in un giudizio di bilanciamento tra valori.

Per l’imposizione di un trattamento sanitario occorrerà sempre una legge condizionata dal rispetto della persona umana.

Sulla definizione della natura della riserva di legge dell’art. 32 la dottrina appare divisa.

Secondo alcuni autori si tratterebbe di una classica riserva relativa, come altre nella Costituzione che presentano la stessa formulazione.

Secondo altri invece sarebbe non solo assoluta – occorrendo una legge specifica per ogni trattamento – ma anche rinforzata dal “rispetto della persona”.

In ogni caso, ogni trattamento dovrà essere “determinato“, non essendo ammissibile ai sensi del secondo comma dell’art. 32 Cost. l’indicazione di fattispecie “troppo generiche” o “indeterminate“, e dovrà essere previsto da una norma di legge statale al fine di evitare inammissibili differenziazioni tra gli individui dinanzi alla loro imposizione .

Resta da verificare un’ultima questione: la relazione tra l’art. 32, comma 2e l’art. 13 Cost.

In dottrina, infatti, è stata ipotizzata una distinzione tra “trattamenti sanitari obbligatori” e “trattamenti sanitari coattivi“, secondo questi autori ogni qual volta la legge attribuisse alla pubblica autorità poteri coercitivi sulla salute individuale, le misure prese ricadrebbero nella disciplina delle restrizioni della libertà personale dettata dall’art. 13 Cost. Il che varrebbe dire che tali trattamenti sarebbero costituzionalmente legittimi solo nei casi e nei modi previsti dalla legge e se disposti con atto motivato dell’autorità giudiziaria.

A questo orientamento, va contrapposto quello che ritiene applicabile l’art. 13 Cost., solo alle misure c.d. “afflittive e degradanti”, non estendendolo ai casi evocati dall’art. 32.

La legge distingue due tipi fondamentali di vaccinazioni obbligatorie:, le vaccinazioni “generali”, cioè rivolte a tutta la popolazione residente nel territorio italiano (normalmente nell’infanzia), e le vaccinazioni “speciali”, il cui obbligo ricade su alcune categorie di soggetti in ragione dell’attività svolta o in relazione a particolari circostanze.

Come è stato detto in precedenza, l’imposizione di un trattamento oltre ad essere legittimata dalla sussistenza di un interesse della collettività alla salute, richiede il miglioramento o il mantenimento della salute del singolo che vi è sottoposto, salvo quelle conseguenze negative minime che non vanno oltre un limite tollerabile. Ove questo confine venisse superato – e il danno fosse di maggiore entità – il rilievo della salute come interesse della collettività, non sarebbe sufficiente – da solo – a giustificare il sacrificio della salute individuale, occorrendo il “riconoscimento di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento”.

La vaccinazione obbligatoria costituisce una peculiare forma di trattamento sanitario obbligatorio – da intendersi come il complesso delle attività diagnostiche e terapeutiche volte a prevenire o a curare una malattia, a prescindere dalla durata, dalla tipologia e dalla effettiva incidenza sul paziente – che incide autoritativamente sul fondamentale diritto alla salute dell’individuo. La sua pratica non può invece essere ricompresa tra i trattamenti sanitari coercitivi, mancando qualsivoglia forma di coercibilità del trattamento in caso di rifiuto alla somministrazione del vaccino da parte del soggetto gravato dall’obbligo.

In sintesi, l’obbligo vaccinale pone il legislatore dinanzi al difficile bilanciamento tra interessi costituzionali intrinsecamente in conflitto, posto che l’interesse collettivo alla tutela della salute pubblica deve integrarsi con il diritto all’autodeterminazione, nella sua particolare declinazione della libertà di cura, e con la tutela della salute individuale.

Si è affermato in dottrina che le questioni dell’obbligo vaccinale e delle sue modalità di attuazione sono una importante cartina di tornasole non solo dei rapporti tra cittadino e collettività, ma ancor prima della concezione stessa di legalità e di Stato di diritto.

Al riguardo non pare fuor di luogo ricordare che, nella risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (ris. 27.1.2021, n. 2361, in https://pace. coe.int/en/files/29004/html., si sollecitano gli Stati membri ad assicurare che “citizens are informed that the [Covid-19, N.d.R.] vaccination is NOT mandatory and that no one is politically, socially, or otherwise pressured to get themselves vaccinated, if they do not wish to do so themselves“; e che “no one is discriminated against for not having been vaccinated, due to possible health risks or not wanting to be vaccinated“.

Tali affermazioni, certo non direttamente trasponibili nell’ordinamento interno, potrebbero, però, essere utilizzate per guidare l’interprete nella lettura della Costituzione e degli “obblighi internazionali” dello Stato, al cui rispetto il legislatore ordinario è tenuto ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.

Esito

Inammissibile

Riferimenti normativi

Art. 1, D.L. n. 1/2022,

Art. 32 Cost.

Fonti: Tribunale di Verona, quotidianogiuridico.it