Uno studente in un liceo cade in un lucernario precipitando per oltre 7 metri. Quali sono le responsabilità di dirigente scolastico e RSPP? Il commento e i principi di diritto della sentenza della Cassazione n. 37766 del 12 settembre 2019.
Quando l’infortunio dell’alunno è dovuto a una carenza dell’edificio, anche il Preside è responsabile penalmente. Sul dirigente scolastico, infatti, grava l’obbligo di vigilare sulla messa in sicurezza della struttura. E sul responsabile del Servizio Prevenzione e protezione grava la responsabilità di individuare il rischio, valutarlo e segnalare al dirigente scolastico i possibili interventi preventivi e protettivi su una struttura pericolosa e non a norma con le leggi sulla sicurezza degli edifici scolastici.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione Penale con la sentenza della Sez. 4, 12 settembre 2019, n. 37766: infatti anche se il «Preside» della scuola non è proprietario dell’immobile e non ha poteri di spesa o decisionali in merito alla manutenzione dell’edificio, che tra l’altro è di solito proprietà dell’ente comunale o provinciale, comunque viene considerato ex lege “datore di lavoro”. Come tale, il dirigente sarà responsabile del rispetto delle norme antinfortunistiche e, dati i suoi limiti, sarà esente da responsabilità penali e civili se segnalerà alle autorità competenti gli interventi strutturali necessari.
Alla base di questa decisione c’è il presupposto dettato dal D. Lgs. n. 81/2008: il dirigente scolastico è considerato un “datore di lavoro”, anche se con alcune dovute peculiarità.
Difatti, non essendo proprietario dell’edificio non ha potere di spesa o decisionali per quanto concerne la messa in sicurezza della Scuola.
Tuttavia, la Cassazione ha evidenziato che il Preside ha potere di gestione dell’Istituto (come stabilito nella sentenza n. 23012 del 2001) e pertanto su di lui grava l’obbligo d’informare prontamente chi di dovere per intervenire nel più breve tempo possibile per eliminare le fonti di pericolo.
Quindi, in caso d’infortunio dell’alunno causato da strutture scolastiche non a norma, il dirigente scolastico sarà penalmente responsabile per non essere intervenuto prontamente a segnalare il mancato rispetto delle leggi a tutela della sicurezza scolastica agli enti che hanno il potere di intervenire. Il Rspp è corresponsabile per non avere evidenziato questa esigenza (in violazione dell’art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008).
Il Dirigente scolastico, dunque, ha il dovere d’informare e segnalare le fonti di pericolo alle autorità competenti, che sono il Comune e la Provincia. Tale segnalazione deve essere tempestiva e sarà responsabile dei danni se dalla sua inerzia derivano dei danni agli alunni o al personale docente. In ciò affiancato dal Rspp.
Se chi di dovere non interviene in tempi brevi, il Preside è tenuto a prendere tutte le misure necessarie a scongiurare gli infortuni, nell’ipotesi più grave sospendere le lezioni e tutte le attività scolastiche.
La sentenza che si commenta riguarda un fatto accaduto nell’estate del 2011 in un liceo di Sapri: un grave incidente occorso a un ragazzo che, qualche giorno dopo aver terminato le prove di maturità, si era recato a scuola per assistere all’esame orale di un compagno.
La Suprema Corte ha confermato la condanna – a un mese di reclusione (condizionalmente sospesa) e al pagamento di una provvisionale a titolo di anticipazione del risarcimento dei danni dovuto per effetto dell’illecito penale – di una dirigente scolastica e dell’ingegnere responsabile esterno del servizio di prevenzione e protezione dell’istituto, imputati per lesioni colpose gravi con violazione della disciplina antinfortunistica.
Il giovane, inciampando, era caduto su un lucernario precipitando per oltre 7 metri e riportando ferite gravi. Il solaio-lucernario era accessibile attraverso una porta finestra solitamente chiusa con un piccolo lucchetto, ma che talvolta veniva aperta, come accadde quella mattina, a causa del gran caldo. La quarta sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza di condanna dei due imputati della Corte d’appello di Potenza, che aveva ritenuto i due imputati responsabili dell’infortunio.
Per i giudici la preside “avrebbe potuto e, soprattutto, dovuto segnalare alla Provincia le problematiche dell’istituto alla stessa affidato” – come “l’insicurezza del solaio in questione”, cosa che invece non avvenne. Gli accertamenti compiuti nel corso del dibattimento hanno appurato che “le richieste, pur in effetti inoltrate all’ente territoriale e ad altri soggetti pubblici, non contenevano però alcuna menzione della problematica in questione“.
Secondo la Corte si preferì una “soluzione artigianale” insufficiente però a eliminare il pericolo.
Testualmente la Suprema Corte ha affermato i seguenti principi che seguono.
«La posizione di garanzia in capo agli addetti al servizio scolastico nei confronti dei soggetti affidati alla scuola si configura diversamente a seconda, da un lato, dell’età e del grado di maturazione raggiunto dagli allievi oltre che delle circostanze del caso concreto, e, dall’altro, degli specifici compiti di ciascun addetto, ma si caratterizza in generale per l’esistenza di un obbligo di vigilanza nei confronti degli alunni, al fine di evitare che gli stessi possano recare danno a terzi o a sé medesimi, o che possano essere esposti a prevedibili fonti di rischio o a situazioni di pericolo. (Fattispecie relativa all’investimento mortale di un alunno di prima media accaduto all’uscita dall’istituto scolastico ad opera di un autobus transitante sulla pubblica via, in cui la preside e l’insegnante dell’ultima ora di lezione erano state assolte in grado di appello dal reato di omicidio colposo, perché ritenute non sussistenti le rispettive posizioni di garanzia. La Corte ha annullato con rinvio la sentenza)» (Sez. 4, n. 17574 del 23/02/2010, P.G., P.C., Ciabatti e altri, Rv. 247522: v. spec. in motivazione, p. 11-13)”.
«Nelle pubbliche amministrazioni, ai fini della normativa sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano poteri gestionali, decisionali e di spesa» (così Sez. 4, n. 34804 del 02/07/2010, Maniago, Rv. 248349; in conformità, v., già in precedenza, Sez. 3, n. 47249 del 30/11/2005, Maniscalco, Rv. 233017; Sez. 3, n. 19634 del 04/03/2003, Fortunato, Rv. 224874; recentemente, nello stesso senso, Sez. 4, n. 43829 del 20/04/2018, Cesini Sergio, Rv. 274263) e che la ricorrente era priva dei poteri di spesa.
Nondimeno, non può trascurarsi che «In tema di prevenzione infortuni nelle istituzioni scolastiche, soggetto destinatario dell’obbligo di sicurezza è il dirigente che abbia poteri di gestione» (Sez. 3, n. 23012 del 17/05/2001, Altamore G., Rv. 218940).
«In tema di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale non può ritenersi escluso solo perché il soggetto colpito da tale evento non sia un lavoratore dipendente (o soggetto equiparato) dell’impresa obbligata al rispetto di dette norme, ma ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 cod. pen.. Ne consegue che deve ravvisarsi l’aggravante di cui agli articoli 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod.pen., nonché il requisito della perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590, ultimo comma, cod.pen., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell’infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui al comma terzo dell’articolo 590 cod.pen., con conseguente procedibilità d’ufficio del reato ai sensi dell’ultimo comma dello stesso articolo, in relazione ad un infortunio che aveva riguardato uno studente presente in una palestra scolastica per partecipare ad una lezione di educazione motoria)» (Sez. 4, n. 11360 del 10/11/2005, dep. 2006, P.M. in proc. Sartori ed altri; già in precedenza, v. Sez. 4, n. 6025 del 06/02/1989, Terranova, Rv. 181105; nello stesso senso, successivamente, tra le altre cfr. Sez. 4, n. 10842 del 07/02/2008, Caturano e altro; Sez. 4, n. 43168 del 17/06/2014, Cinque; Sez. Sez. 4, n. 38200 del 12/05/2016, Marano).
Leggendo i seguenti casi presi in esame dalla Corte di Cassazione la tipologia di rischio che porta all’evento incidentale che incardina il procedimento penale varia da caso a caso e riguarda la sicurezza elettrica, il rischio di esplosione, quello di caduta o altri ancora. La previsione normativa che pone l’obbligo di valutare tutti i rischi richiede quindi una preparazione tecnica molto ampia da parte di chi supporta il datore di lavoro come Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.
In tal senso il legislatore non solo impone al datore di lavoro la costituzione di un servizio di prevenzione e protezione e la nomina, nella maggior parte dei casi, del medico competente, ma mette in evidenza che qualora la complessità dell’attività richieda ulteriori capacità tecniche, il datore di lavoro è obbligato ad avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle necessarie conoscenze professionali, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio.
È dunque chiaro che l’unico limite alla valutazione del rischio è rappresentato dalla prevedibilità dell’evento. Tale concetto include tutto ciò che rientra nelle esperienze di settore,ma il campo è molto vasto e abbraccia le scienze ingegneristiche, naturali, sociali, ecc. ed è in continua evoluzione.
Parlando di prevedibilità di un evento, si deve ricordare il prezioso insegnamento che la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul disastro di Stava, nella Sentenza 6 dicembre 1990 n. 4793 scriveva: “ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione“.
In relazione al rapporto tra il ruolo di RSPP e il concetto di prevedibilità è lapidaria la Sentenza n. 25647 dell’11 giugno 2013 della IV Sezione della Corte di Cassazione:
“La prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto “modello d’agente”, il modello dell’ “homo eiusdem condicionis et professionis”, ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l’assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l’operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta. Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di non essere in grado d’incidere sul rischio, l’abbandono della funzione, previa adeguata segnalazione al datore di lavoro”.
È chiaro che l’assunzione del ruolo di RSPP non rappresenta un compito semplice, ne privo di responsabilità. La semplice assunzione del ruolo vincola all’assolvimento diligente e col massimo di perizia professionale di tutti i compiti indicati dall’articolo 33 del D.Lgs 81/08.
Tanto la dottrina che la giurisprudenza (si veda Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 18568 del 24 aprile 2013) riconoscono ad esempio la cd. colpa per assunzione, ravvisabile allorquando si cagiona un evento dannoso per aver assunto un compito che non si è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all’agente modello di riferimento.
La Cassazione Penale, Sez.IV, 13 maggio 2016 n. 20051 conferma la condanna della dirigente scolastica di un Istituto scolastico statale, comprensivo del plesso scolastico scuola elementare …, per aver “omesso di provvedere, in qualità di datore di lavoro, […] affinché il cancello a due ante dell’istituto, cancello in evidente stato di degrado, potesse essere utilizzato in piena sicurezza”, oltre che del reato di “lesioni colpose lievi in danno di uno studente di otto anni, e di un genitore di un altro studente della scuola, lesioni procurate in conseguenza della improvvisa caduta dell’anta sinistra del cancello di cui si è detto”.
L’RSPP era stato assolto in primo grado dall’accusa di avere, “omesso di individuare il rischio connesso allo stato di ammaloramento del cancello a due ante […] e di prevedere, tra gli interventi da effettuare, la manutenzione del predetto cancello e, in particolare, la sostituzione dei cardini, visibilmente corrosi”, oltre che dal reato di “lesioni colpose”.
La Corte d’Appello ha invece poi riconosciuto l’RSPP responsabile, ai soli effetti civili, del fatto illecito di lesioni colpose e lo ha condannato a risarcire, in solido con l’imputata, il danno.
Con riferimento all’RSPP, la sentenza ricorda che “l’imputato, nel segnalare nel suo scritto del 15 ottobre 2008 (documento di valutazione dei rischi) vaghi problemi alla ‘recinzione esterna dell’edificio’, evidentemente comprensiva di muri, cancelli, ringhiere e quant’altro, recinzione esterna descritta come connotata da ‘diffuso ammaloramento’, peraltro visibile ad occhio nudo, con particolare riferimento proprio al cardine inferiore sinistro (quello che aveva ceduto), non poteva certo specificamente riferirsi al cancello in questione, anche perché l’imputato, volendo riferirsi ad un altro cancello dell’immobile, sito in un altro punto, lo aveva in altra parte del documento specificamente individuato. Inoltre, che la verifica sulla stabilità del cancello in questione era stata superficialmente svolta dall’RSPP soltanto mediante l’impiego, in un’occasione, di un cacciavite, a mo’ di ‘sonda’, su di un ferro del cancello, con una tecnica, cioè, all’evidenza, troppo grossolanamente approssimativa per potere avere una qualche validità tecnica ed una qualche affidabilità dal punto di vista predittivo”.
La Cassazione infine sottolinea “l’importanza del ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione” cui la legge affida il compito di coadiuvare il “datore di lavoro normalmente a digiuno (come peraltro nel caso di specie) di conoscenze tecniche”.
Infatti “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori.”
La responsabilità penale personale della dirigente scolastica e del Rspp di cui alla sentenza che si annota, è stata incardinata sui seguenti articoli di legge:
DLGS 81/2008 TESTO UNICO SICUREZZA LAVOROARTICOLO 18 C. 33. Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente Decreto Legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente Decreto Legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.Articolo 33 – Compiti del servizio di prevenzione e protezione1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per lasicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunioneperiodica di cui all’articolo 35;f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36. |
In tal senso “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo” (Sezione 4, 15 luglio 2010, Scagliarini).
Ciò perché, in tale evenienza, l’omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l’attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe rectius, dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell’art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell’evento dannoso derivatone.
Infondato è anche il motivo con il quale si sostiene l’inapplicabilità della normativa antinfortunistica alla parte offesa in quanto non compresa tra i soggetti dalla stessa tutelati (Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2013, n. 11492).
La censura tralascia di considerare che in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui all’art. 589 c.p., comma 2, e art. 590 c.p., comma 3, nonché la perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi, tutte condizioni sussistenti nel caso in esame ( v. da ultimo in tal senso Sez. 4, 17 aprile 2012, De Lucchi, rv. 253322).
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Fonti: Olympus.uniurb.it, Rolando Dubini, avvocato in Milano, cassazionista, Puntosicuro.it