Qualora il datore di lavoro provveda alla formazione dei lavoratori sui rischi derivanti da un macchinario, ma ometta di farlo utilizzare in sicurezza, l’adempimento del primo obbligo non fa venire meno l’incidenza causale dell’inadempimento del secondo.
La sentenza della Corte di Cassazione in commento ha riguardato l’infortunio accaduto a un lavoratore presso un impianto di frantumazione in una cava a seguito del quale lo stesso ha subito delle gravi lesioni per essere venuto in contatto con un macchinario in movimento e per essere stato trascinato dallo stesso dopo essere inciampato mentre si trovava nelle sue immediate vicinanze. La macchina è risultata essere priva delle richieste protezioni delle sue parti in movimento e di un sistema di blocco che l’avrebbe dovuto fermare prima che il lavoratore si potesse avvicinare alle stesse.
Nel decidere sul ricorso avanzato dal datore di lavoro, che nello stesso aveva posto in evidenza il comportamento scorretto del lavoratore in quanto questi non avrebbe dovuto avvicinarsi al macchinario se non dopo averlo spento, la suprema Corte nel ritenere inammissibile il ricorso presentato ha sostenuto che in linea generale qualora il datore di lavoro ha provveduto alla formazione dei lavoratori sui rischi derivanti da un particolare macchinario ma ha omesso di mantenere il detto macchinario in condizione di essere utilizzato in sicurezza, non provvedendo quindi a corredarlo dei prescritti dispositivi di cautela, l’adempimento del primo obbligo non fa venire meno l’incidenza causale dell’inadempimento del secondo.
Affinché l’informazione e la formazione del lavoratore non si risolvano nella trasmissione di un sapere tecnico astratto, ha precisato infatti la Corte di Cassazione, occorre, in realtà, che esse si possano tradurre nell’utilizzazione di macchinari conformi all’uso in condizioni di sicurezza e nel ricorso a procedure effettivamente percorribili, rimanendo altrimenti le stesse confinate in un ambito teorico che, per la sua genericità, non consente di incidere in modo concreto sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza del lavoro.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza emanata dal Tribunale con la quale il legale rappresentante di una società è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 590, commi lA e 3A del codice penale per avere, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e in violazione della disciplina sulla prevenzione degli infortuni su lavoro ed in particolare dell’art. 70, comma 2 con riferimento all’allegato V punto 5.7.1 del D. Lgs. n. 81/2008, nonché degli artt., 29, 36 e 37 dello stesso Decreto, cagionato a un lavoratore delle lesioni personali gravissime, consistite nell’amputazione traumatica a livello III prossimale dell’avambraccio destro.
Il lavoratore, operaio palista incaricato di alimentare con una pala meccanica la tramoggia del ‘fresato’ nell’impianto di frantumazione, resosi conto che nell’estrattore a nastro, posto sotto la tramoggia, era finito del materiale ‘fresato’, era sceso dalla pala meccanica per accertarsene e, nel mentre scendeva, aveva perso l’equilibrio e, inciampando, aveva urtato con il braccio sul macchinario finendo con le dita nel nastro trasportatore, che gli aveva trascinato l’arto sotto il rullo.
Le sentenze di primo e secondo grado, non essendo stata contestata la modalità di accadimento dell’evento, avevano affermata la responsabilità del legale rappresentante, nella sua qualità di datore di lavoro, ritenendo che l’infortunio fosse derivato dalla violazione di norme cautelari imposte a tutela della sicurezza dei lavoratori. In particolare, l’impianto di frantumazione, come risultato dagli accertamenti disposti dalla A.S.L., si presentava privo di sistemi di blocco idonei a prevenire l’accesso incondizionato del personale, in violazione dell’art. 70, comma 2 con riferimento all’allegato V, punto 5.7.1 del D. Lgs. n. 81/2008. Il documento di valutazione dei rischi, inoltre, non conteneva la valutazione del rischio dovuto all’utilizzo ed alla manutenzione delle macchine di cui all’impianto di frantumazione, in violazione dell’art. 29 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008, e il personale alle dipendenze dell’impresa, non era risultato avere ricevuto una formazione sufficiente, in violazione degli artt. 36 e 37 del D. Lgs. n. 81/2008.
La Corte territoriale nel rigettare l’appello aveva messo in evidenza che la presenza delle barriere avrebbe impedito l’evento, dando atto che era stato accertato dagli ispettori del lavoro, che avevano proceduto al sequestro del macchinario, che detti sistemi protettivi non erano presenti al momento dell’infortunio, tanto che era stata impartita dagli ispettori stessi la prescrizione di provvedere alla loro adozione, non concretamente adempiuta a causa della rottamazione dell’impianto successiva al dissequestro a ciò finalizzato. La stessa Corte, inoltre, in merito all’adempimento all’obbligo formativo ed informativo di cui agli artt. 36 e 37 del D. Lgs. n. 81/2008, non aveva ritenuta dimostrata, sulla base delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione presentata, la partecipazione della persona offesa alle previste attività formative.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore. Nel ricorso lo stesso ha sostenuto che la Corte territoriale, nella propria decisione, aveva ritenuta la condotta del lavoratore esente da rimproveri e aveva omesso di valutarne l’incidenza causale esclusiva, posto che laddove la persona offesa avesse provveduto a spegnere l’impianto, prima di provvedere all’ispezione, il sinistro non si sarebbe verificato, tanto più che, come correttamente descritto nell’imputazione, il lavoratore era inciampato, perdendo l’equilibrio, nell’atto di recarsi sotto la tramoggia, cioè quando aveva già varcato l’accesso all’impianto delimitato dalle sbarre di protezione. Sicché, secondo il ricorrente, la contestata mancata adozione di sistemi di protezione andava ritenuta ininfluente in relazione al prodursi dell’evento.
Il ricorrente ha sostenuto, altresì, che la sentenza impugnata era risultata gravemente illogica nella parte in cui, dopo avere dato atto del fatto che il lavoratore era un esperto ‘palista’, svolgendo dette mansioni da oltre vent’anni ed essendo da sempre addetto all’utilizzo di quella tramoggia, lo stesso si è sottratto al confronto con la deposizione dell’ingegnere che aveva curata la sua formazione e informazione, proprio in relazione ai rischi dell’impianto semovente e che, escusso nel corso del giudizio di appello, aveva affermato di avere svolto corsi di formazione ai lavoratori fra i quali anche l’infortunato, aggiungendo altresì di avere proiettato nel corso delle sedute videoriprese di sinistri relativi proprio a quella tipologia di impianto. Cionondimeno, la Corte di Appello, pur non disconoscendo la genuinità della testimonianza, ne aveva omessa la valutazione. Quindi, secondo il ricorrente, per siffatte considerazioni era da ritenersi superata anche la contestazione inerente alla mancata valutazione del rischio relativo all’utilizzo ed alla manutenzione delle macchine ed era da escludere conseguentemente il nesso di causalità fra la contestata omissione e l’infortunio.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La motivazione del ricorso sopra descritta è stata ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di Cassazione e quindi rigettata. La stessa Cassazione ha messo in evidenza che la decisione della Corte territoriale era stata chiaramente basata sul mancato rispetto dell’obbligo di utilizzare macchinari conformi alle disposizioni nazionali e comunitarie vigenti o comunque conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all’Allegato V del D, Lgs. n. 81/2008, se antecedenti la loro approvazione o costruite in loro assenza. Secondo la previsione contenuta in tale Allegato V del D. Lgs. n. 81/2008 al punto 5.7., infatti, “gli organi lavoratori dei frantoi, dei disintegratori, dei polverizzatori e delle macchine simili, i quali non siano completamente chiusi nell’involucro esterno fisso della macchina e che presentino pericolo, debbono essere protetti mediante idonei ripari, che possono essere costituiti anche da robusti parapetti collocati a sufficiente distanza dagli organi da proteggere”. Si tratta di una normativa specifica di tutela minima, ha aggiunto la Sez. IV, volta ad impedire l’intervento dell’operatore a macchinario in moto, che implica la prevedibilità dell’evento allorquando inosservata, ma anche di una regola di generale prudenza, avuto riguardo alla prevedibilità della realizzazione del rischio connessa al moto non controllato delle apparecchiature, nel caso di contatto con l’operatore, finanche quando questo è accidentale.
Nel caso in esame, ha osservato altresì la Sez. IV, le barriere laterali che gli ispettori del lavoro avevano prescritto di adottare perché mancanti rivestivano proprio la funzione di impedire il contatto dell’operatore con le parti meccaniche in moto, interponendo un ostacolo fisico fra il corpo ed il movimento per cui la mancata predisposizione della specifica misura cautelare, normativamente prevista, rivolta alla riduzione del pericolo di una casuale o accidentale interazione uomo-macchina, ha integrata la condotta colposa contestata all’imputato.
Il ricorrente, ha precisato ancora la Sez. IV, si è limitato ad affermare nel ricorso che il contatto è dipeso esclusivamente dalla condotta dell’operatore, il quale non aveva provveduto ad azionare il comando manuale di fermo dell’apparecchiatura, prima di procedere all’ispezione. Si tratta di un’osservazione del tutto inidonea a scardinare gli argomenti su cui si fonda la motivazione dei giudici di merito, avuto riguardo al fatto che anche un comportamento gravemente imprudente del lavoratore non avrebbe avuto alcuna conseguenza, ove le cautele previste fossero state predisposte, soddisfacendo proprio quei requisiti generali di sicurezza, contenuti nell’allegato V, come richiamato dall’art. 70 del D. Lgs. n. 81/2008, e cioè assicurando sistemi protettivi rivolti ad escludere l’accesso alle zone pericolose e ad arrestare i movimenti pericolosi dei macchinari prima che fosse possibile accedere a dette zone, interponendo una barriera fisica non eludibile dal comportamento tenuto dal lavoratore, ancorché questi si rivelasse gravemente imprudente.
Quanto sopra ha consentito, secondo la suprema Corte, di escludere la consistenza dell’ulteriore profilo relativo all’adeguatezza della informazione e della formazione impartita dal datore di lavoro. La mancata apposizione delle barriere ha costituito, infatti, un addebito che ha superato anche l’eventuale assolvimento dell’obbligo formativo ed informativo. In merito va affermato, ha così concluso la suprema Corte, che “qualora il datore di lavoro provveda alla formazione dei lavoratori sui rischi derivanti da un particolare macchinario, ma ometta di mantenere il detto macchinario in condizione di essere utilizzato in sicurezza, non provvedendo a corredarlo dei prescritti dispositivi di cautela, l’adempimento del primo obbligo non fa venire meno l’incidenza causale dell’inadempimento del secondo”.
Affinché l’informazione e la formazione del lavoratore non si risolvano nella trasmissione di un sapere tecnico astratto, infatti, occorre in realtà che esse si possano tradurre nell’utilizzazione di macchinari conformi all’uso in condizioni di sicurezza e nel ricorso a procedure effettivamente percorribili, rimanendo altrimenti confinate in un ambito teorico che, per la sua genericità, non consente di incidere in modo concreto sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza del lavoro.
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it