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La normativa sulla formazione del RSPP e ASPP tra regole (troppo complicate?) e reale efficacia. Sei questioni interpretative sui corsi di formazione per responsabili e addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione. Di Lorenzo Fantini.

Ospitiamo un contributo dell’avvocato Lorenzo Fantini che interviene sul delicato tema della formazione RSPP e ASPP, a cui PuntoSicuro ha dedicato anche una recente intervista a Donato Lombardi, coordinatore del Gruppo di Lavoro che sta lavorando alla revisione dell’Accordo del 26 gennaio 2006. Nella sua disamina Lorenzo Fantini presenta sei diverse questioni interpretative in ordine alle modalità di svolgimento ed alla validità dei corsi di formazione per RSPP e ASPP.

La formazione del RSPP “esterno” tra legge e prassi

Il decreto legislativo n. 81/2008 prevede – sempre in relazione alla necessità di garantire che chiunque operi in azienda abbia usufruito di una formazione adeguata alle funzioni svolte nella organizzazione di lavoro – che il responsabile (di seguito RSPP) e gli addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione (di seguito ASPP) siano in possesso di una formazione particolarmente accurata, vista l’importanza delle relative funzioni. Il corrispondente percorso formativo è disciplinato dall’articolo 32 del “testo unico”, il quale non si discosta, se non marginalmente, rispetto alle previsioni introdotte dal decreto legislativo n. 195/2003 a seguito della sentenza di condanna comminata dalla Corte di Giustizia UE all’Italia [1] per non avere specificamente disciplinato i contenuti della formazione dei componenti del Servizio di Prevenzione e Protezione.

Innanzitutto, l’articolo 32 del d.lgs. n. 81/2008, riproducendo la previsione già introdotta dall’articolo 8-bis del decreto legislativo n. 626/1994, specifica che le capacità e i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione, interni o esterni all’azienda, devono essere “adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative”. Quindi, l’articolo 32 individua puntualmente i requisiti dei quali i componenti del SPP devono essere in possesso e, in particolare, i contenuti della formazione di tali soggetti statuendo innanzitutto che tutti i RSPP e ASPP devono possedere, per l’esercizio delle loro funzioni, un titolo di studio non inferiore al diploma di scuola secondaria superiore e frequentare – con relativa verifica dell’apprendimento – specifici corsi di formazione, adeguati alla natura dei rischi e alla attività lavorativa svolta (articolo 32, comma 2, d.lgs. n. 81/2008). I contenuti e le procedure di tali corsi sono stati individuati in un accordo in Conferenza Permanente Stato-Regioni, datato 26 gennaio 2006 [2].

Il comma 4 dell’articolo 32 individua i soggetti formatori ex lege [3], ai quali si possono affiancare i soggetti accreditati a livello regionale e gli“ulteriori soggetti formatori (…) individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”, mentre il successivo comma 5 identifica quali lauree esonerino dalla frequenza dei corsi di cui al comma 2, primo periodo, dell’articolo in commento [4]. Il richiamo al solo “primo periodo” dell’articolo 2 induce a ritenere che l’esonero valga soltanto per i moduli “base” (A e B come qualificati dall’Accordo in Conferenza Stato-Regioni [5] e non anche per la frequenza del modulo C, ossia il modulo di “specializzazione” per RSPP, della durata di 24 ore [6].

L’articolo 32, per gli ulteriori aspetti della formazione di responsabili e addetti del servizio di prevenzione e protezione, opera un ampio rinvio a quanto stabilito nel già citato Accordo adottato nella Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, del 26 gennaio 2006 e successive integrazioni e modificazioni stabilendo che i relativi corsi di formazione devono “in ogni caso” (articolo 32, comma 2, ultimo capoverso) rispettare quanto previsto nell’Accordo. Viene, poi, confermata la periodicità quinquennale dei corsi di aggiornamento, già prevista nel decreto legislativo n. 195 del 2003, in ordine ai quali è possibile anche utilizzare la modalità della formazione a distanza. La durata dei corsi di aggiornamento è rapportata al macrosettore di attività per i RSPP, mentre per gli addetti del servizio di prevenzione e protezione è pari a 28 ore per tutti i macrosettori di attività (articolo 3 dell’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006). Nel caso di esercizio delle funzioni di RSPP in macrosettori appartenenti a ciascuno dei due raggruppamenti di macrosettori individuati nelle linee interpretative, l’aggiornamento deve essere pari a 100 ore complessive.

L’accordo di riferimento – del quale da anni si attende invano una rivisitazione, che viene ormai data per imminente – ha una struttura particolarmente complessa, di difficile lettura e che non pare, come il trascorrere degli anni ha dimostrato, avere davvero risolto i problemi relativi alla preparazione dei “professionisti” della salute e sicurezza sul lavoro, ai quali viene chiesta la frequenza di un numero di ore elevatissimo di formazione (rispetto alla quale nessuna reale verifica di efficacia è davvero prevista), spesso in materie ripetitive tra loro. C’è da chiedersi, quindi, se tale scelta di Stato e Regioni sia davvero stata corretta, soprattutto ove si consideri la necessità che il RSPP sia soggetto davvero in grado di svolgere con competenza le proprie funzioni, anche per non andare incontro a profili di responsabilità civile e penale che, ultimamente, emergono sempre più di frequente nelle aule di Giustizia.

A tale proposito va detto che l’apparato sanzionatorio del d.lgs. n. 81/2008 non contempla il responsabile del servizio (né, ovviamente, degli addetti) tra i destinatari delle sanzioni penali. Ciò in quanto solo il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze, sono titolari di una posizione di garanzia (articolo 299 del d.lgs. n. 81/2008) che impone l’obbligo di agire per attuare i precetti contenuti nella normativa sulla sicurezza sotto il profilo della programmazione, dell’esecuzione e della vigilanza sulla loro corretta applicazione. Ne deriva che delle proprie attività il RSPP risponde civilmente nei confronti del datore di lavoro e/o dei terzi danneggiati unicamente quando siano stata svolte in maniera errata o incompleta [7] mentre, a livello penale, potrà configurarsi una sua responsabilità solo ove la condotta imprudente, negligente o imperita del responsabile abbia provocato, eventualmente in concorso con altri, eventi dai quali dipenda l’esistenza di reati (articoli 43 e 113 c.p.). Dunque, la responsabilità penale del medesimo può derivare da fatto doloso o colposo che integri il concorso di colpa nel reato proprio del datore di lavoro o del dirigente, soggetti obbligati ex lege. In ordine alla ampiezza della responsabilità penale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione va però segnalato un orientamento giurisprudenziale – in via di diffusione – per il quale, quasi a mettere in discussione il ruolo eminentemente ausiliario e del servizio di prevenzione e protezione – si configurerebbe la responsabilità penale del responsabile o degli addetti al servizio medesimo in ogni caso in cui risulti in concreto che la causa dell’infortunio sia da identificare nel comportamento colposo del responsabile o degli addetti del servizio che abbia portato il datore di lavoro ad omettere o predisporre in modo inadeguato le cautele antinfortunistiche [8]. In altre parole, la giurisprudenza considera assolutamente essenziale che il RSPP sia in grado di svolgere le proprie funzioni (quelle specificamente descritte all’articolo 33 del d.lgs. n. 81/2008) in modo adeguato, quale professionista, senza indurre l’organizzazione del lavoro per la quale svolge le proprie funzioni in errore; errore il quale potrebbe determinare, in tutto o in parte, l’infortunio o concorrere a concretizzare le condizioni per l’insorgere di una malattia professionale.

Sei questioni interpretative

A fronte di un simile quadro giurisprudenziale – evidentemente diretto a privilegiare l’aspetto sostanziale (le competenze esercitate in concreto) rispetto a quello meramente formale, continuano ad essere discusse questioni legate, invece, a profili formali relativi alla interpretazione dell’accordo sulla formazione di RSPP e ASPP. Ciò anche in ragione della differenza – troppo frequente e marcata – degli orientamenti degli organi di vigilanza in ordine alla interpretazione della normativa applicabile.

Al fine di evidenziare che tipo di discussione sia frequente in materia riporterò di seguito sei domande – alle quali fornirò altrettante proposte di risposta – che mi sono state recentemente poste in ordine alle modalità di svolgimento ed alla validità dei corsi di formazione per RSPP e ASPP.

Domanda 1: L’ Accordo nell’allegato A2 (pag 16-17) e nei prospetti 1 e 2 elenca i contenuti previsti per i corsi. Per più moduli alcuni contenuti sono gli stessi poiché i rischi su cui occorre formare il RSPP sono i medesimi. Tanto premesso, se un rischio è comune a più moduli B la lezione che affronta questo argomento può essere seguita da tutti gli iscritti ai moduli B in cui essa è prevista secondo i programmi conformi all’accordo?

Risposta 1: va premesso, come principio generale, che quando un corso di formazione ha contenuto equivalente o superiore ad altro corso di formazione esso genera un credito formativo che può essere fatto valere dal soggetto interessato, a condizione che abbia la documentazione che almeno tale equivalenza dimostri. Si consideri, al riguardo, che il c.d. “ decreto del fare” ha specificamente espresso tale principio – non solo di buonsenso ma anche rilevante giuridicamente in termini generali – riferendolo ai corsi di formazione e ai percorsi di aggiornamento per dirigenti, preposti, lavoratori e RLS, inserendo all’articolo 37 il comma 14-bis che, appunto, esplicita tale principio.
Di conseguenza, se il rischio da trattare è il medesimo, se il numero di ore è quello di cui all’accordo, se i programmi sono coerenti con quelli dell’accordo, è possibile che il formatore nella stessa aula eroghi una lezione utile per tutti i moduli nei quali quella lezione è contemplata.

Domanda 2: se un RSPP si iscrive a 2 o più moduli B e svolge la lezione inerente un rischio che è presente in tutti i programmi dei moduli a cui è iscritto la fruizione di quella lezione gli può valere per ciascun modulo a cui è iscritto seguendola una sola volta? Oppure deve seguirla tante volte quanti sono i moduli a cui è iscritto?

Risposta 2: fermo restando che la prova di aver seguito la lezione che “si ripete” nei diversi percorsi formativi deve essere fornita per ciascun modulo (vale a dire, deve risultare dai relativi registri), per le ragioni già esposte in relazione alla risposta n. 1, non si vede la ragione per avallare una ripetizione di attività formativa di contenuto analogo. Ad esempio, se mi iscrivo nella stessa edizione sia al B6 che al B8, la lezione sul rischio incendio presente in entrambe, fruita una sola volta, varrà per entrambi i moduli.

Domanda 3: è possibile che un argomento già svolto in una edizione precedente di un corso per RSPP/ASPP valga come credito formativo per una edizione successiva?

Risposta 3: per le ragioni già esposte, è possibile. Riprendendo l’esempio già fatto, se un discente a Maggio segue un modulo B6 e a Settembre si iscrive ad un modulo B8 che nel suo programma affronta 4 ore sul rischio incendio già seguito nel B6 a Maggio, potrebbe essere esentato dal frequentare le ore già svolte con profitto. Tale conclusione, del tutto normale nei percorsi universitari (nei quali, infatti, si fa largo uso dei crediti formativi), va comunque condivisa con il soggetto organizzatore del corso e si giustifica, come già esposto, unicamente in presenza di evidenza documentale inoppugnabile nel senso della frequenza con profitto del corso che costituisce credito formativo.

Domanda 4: è possibile che il RSPP svolga una lezione che è compresa nel monte ore del corso RSPP e che tale lezione possa essere considerata ai fini dell’aggiornamento come RSPP? Ad esempio, un professionista ha svolto il corso RSPP Modulo B6 quattro anni fa e sta completando le 40 ore di aggiornamento quinquennale previste per legge; egli, per necessità professionali, segue un corso di 4 ore sulla valutazione del rischio incendio. Visto che questa lezione è prevista dal modulo B6 già fruito quattro anni fa è possibile che il professionista si veda riconosciuto – per la parte corrispondente – un credito formativo?

Risposta 4: il punto 3 dell’accordo del 26 gennaio 2006 sulla formazione del RSPP e dell’ASPP prevede espressamente che: “i corsi di aggiornamento (…) dovranno comunque far riferimento ai contenuti dei moduli del rispettivo percorso formativo, con particolare riguardo: a) al settore produttivo di riferimento; b) alle novità normative eventualmente intervenute in materia; c) alle innovazioni nel campo delle misure di prevenzione”. Tale lettera depone a favore della possibilità di “ripetere” argomenti già trattati nel corso di formazione, a condizione che tale ripetizione giunga all’estremo di escludere del tutto il perseguimento degli obiettivi prioritari (ma non esclusivi) indicati nelle lettere da a) a c), appena riportate. Quindi, una parte dei crediti formativi acquisiti come nell’esempio possono, a mio parere, essere riconosciuti.

Domanda 5: in considerazione della circostanza che il RSPP ha un obbligo di aggiornamento quinquennale dal momento del conseguimento del modulo B, un professionista può scegliere di ripetere la frequenza del modulo B di riferimento senza provvedere all’aggiornamento? Ad esempio, il professionista svolge il modulo B6 che ha una durata di 24 ore e prevede un aggiornamento di 40 ore; all’approssimarsi della scadenza del quinquennio egli decide di frequentare nuovamente il modulo B6. In tal caso tale scelta equivale all’aggiornamento?

Risposta 5: l’obbligo di aggiornamento è chiaramente distinto (v. la previsione sopra riportata alla risposta n. 4) nell’accordo del 2006 da quello di formazione, per cui non è da ritenersi consentito al professionista di “scegliere” indistintamente di frequentare il corso nuovamente invece che procedere all’aggiornamento. Tale conclusione si impone anche in considerazione della circostanza che l’aggiornamento non riguarda il solo percorso “coperto” dal modulo B ma l’intera gamma di materie che compongono la formazione del RSPP e dell’ASPP.

Domanda 6: nell’ipotesi in cui un RSPP che è già in possesso di alcuni moduli B ed ha esigenza di svolgere la formazione per un ulteriore macrosettore Ateco, la fruizione di tale modulo può valere come aggiornamento in tutto o in parte per gli altri macrosettori già in suo possesso ? Ad esempio, un professionista in possesso del modulo B7 ha necessità di svolgere il percorso formativo B4. In tale circostanza al discente non interessa fruire in termini di credito formativo delle lezioni comuni tra B4 e B7 già svolte nel B4 (risposta al quesito 3), ma svolgere l’intero percorso e vedersi riconosciuti come credito formativo d’aggiornamento RSPP per il modulo B7 le lezioni che all’interno del modulo B4 possono costituire materia d’aggiornamento per il macrosettore Ateco 7. In questa circostanza il professionista perfezionerà una iscrizione al modulo B4 ed una seconda iscrizione all’aggiornamento R.S.P.P. per il numero di ore del percorso che costituiscono credito formativo per l’Ateco 7. Al momento della fruizione entrambi i percorsi avranno il proprio fascicolo corso completo.

Risposta 6: per le stesse ragioni già esposte in precedenza, per quanto del punto di vista sostanziale possa accadere che tra le materie dei corsi e quelle dell’aggiornamento vi possa essere corrispondenza, il dato normativo di riferimento (vale a dire il pertinente accordo del 2006, più volte citato) non consente che un credito formativo per i corsi possa essere fatto valere per l’aggiornamento e viceversa.

Come appare evidente, le questioni qui discusse e le relative risposte (si consideri, ad esempio, l’ultima appena fornita, basata su un elemento meramente formale), hanno la loro ragione d’essere in un contesto di regolamentazione sin troppo puntuale e, ciò nonostante, comunque suscettibile di porre dubbi interpretativi notevoli. A ciò si aggiunga che gli organi di vigilanza troppo spesso nella pratica hanno “visioni” differenti sulla medesima questione, per cui non è consentito all’interprete neppure fare affidamento in materia su un orientamento condiviso degli ispettori.

C’è, quindi, da auspicare una reale semplificazione della disciplina esistente, che si muova nel senso della valorizzazione degli aspetti sostanziali della preparazione di RSPP e ASPP, in quanto gli unici davvero utili a fini di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.

Avv. Lorenzo Fantini
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([1]) Corte di Giustizia UE, 15 novembre 2001, in causa C-49/00. Il decreto legislativo n. 626/1994, infatti, nel qualificare le attitudini e le capacità dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (si seguito anche RSPP) e degli addetti al servizio di prevenzione e protezione (di seguito anche ASPP), si limitava a prevedere che capacità e requisiti fossero semplicemente “adeguati”.
([2]) In Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 2006, n. 37.
([3]) In particolare si confermano le abilitazioni di: Regioni e Province autonome, Università, INAIL, ISPESL, Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, amministrazione della difesa, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e altre Scuole Superiori delle singole amministrazioni, associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, organismi paritetici. Viene altresì abilitato allo svolgimento dei corsi di formazione l’IPSEMA, dopo il d.l. n. 78/2010 “accorpato” (come anche l’ISPESL) all’INAIL, per la parte di sua competenza.
([4]) Il decreto legislativo n. 106/2009 ha inciso in modo particolare nella parte in cui ha previsto l’esonero dalla frequenza dei corsi di formazione di cui al comma 2, prima parte, anche di coloro che sono in possesso della laurea magistrale L26. È stato, inoltre, aggiunto anche un “generale” rinvio alle altre lauree ritenute corrispondenti ai sensi della normativa vigente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su parere conforme del Consiglio universitario nazionale.
([5]) Il modulo A è il corso di base per ASPP e RSPP, della durata di 28 ore, e il modulo B è il modulo di specializzazione, adeguato alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative di settore.
([6]) In questo senso espressamente l’Accordo del 5 ottobre 2006, in Gazzetta Ufficiale 7 dicembre 2006, n. 285, contenente linee guida interpretative dell’accordo del 26 gennaio 2006, al punto 2.3 relativo alla articolazione dei percorsi formativi.
([7]) Si rinvia, per tutti, a P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, 100.
([8]) Così, tra le tante, Cass. pen., Sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 49031; Cass. pen., Sez. IV, 27 Settembre 2012, n. 37334; Id., 15 maggio 2008, n. 19523; Cass. pen., sez. IV, 26 ottobre 2007, in Amb. Sic. Lav., 2008, 2, 129; Cass. pen., 17 luglio 2007, n. 15226; Cass. pen., sez. IV, 21 dicembre 2006, n. 41947.

 

Fonti: Puntosicuro.it