Addebitata al datore di lavoro di diritto e a un datore di lavoro di fatto, intervenuto nella dinamica dell’accaduto, la responsabilità per il ribaltamento di un cestello su carro e per la mancata formazione dell’operatore. Di Gerardo Porreca.
Gli obblighi di garanzia dei lavoratori sono a carico oltre che del datore di lavoro di diritto, dal quale gli stessi dipendono direttamente, anche di chi, intervenuto concretamente a dare delle disposizioni nella dinamica di un infortunio sul lavoro, ha assunto nella circostanza un ruolo di datore di lavoro di fatto. E’ quello che emerge dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione penale che nel caso particolare si è occupata del ribaltamento di una piattaforma a cestello dovuto all’inidonea stabilizzazione del mezzo sul quale la stessa era installata nonché al comportamento dell’operatore dell’attrezzatura non adeguatamente formato e addestrato.
Il fatto
Due imputati sono stati tratti a giudizio, davanti al Tribunale per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 590 c.p. (in relazione all’art. 583 comma 1 numero 1 c.p.), per avere, in cooperazione tra loro e nella qualità di datori di lavoro, cagionato colpevolmente a un lavoratore delle lesioni personali gravi (e precisamente un traumatismo contusivo succussivo da precipitazione con frattura della I vertebra lombare, lesione giudicata guarita in circa 90 giorni e comunque determinante incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni). Era accaduto che presso un cantiere edile l’operatore di una piattaforma a cestello (ponte sviluppabile montato su autocarro), noleggiata a caldo da un lavoratore autonomo incaricato da un condominio di svolgere dei lavori di rimozione dell’intonaco e di tinteggiatura sulla facciata dell’edificio condominiale a 3 piani fuori terra, dopo aver posto sotto gli stabilizzatori tavole di ripartizione di spessore inferiore a 50 mm (e, quindi, non rispettanti le indicazioni minime previste dal libretto di istruzioni relative all’uso della piattaforma mobile), era salito, unitamente al lavoratore autonomo, sulla piattaforma stessa, dotati di imbracature dì sicurezza ma senza cordini di vincolo, per comandare il movimento della citata piattaforma. Nel manovrare l’apparecchiatura ne aveva determinato lo sviluppo in altezza sino a circa 12 metri da terra e lo sbracciamento necessario a raggiungere il posto di lavoro (il cornicione dell’edificio), raggiungendo il punto massimo di sbracciamento segnalato pure dall’accensione di apposita spia luminosa nel quadro comandi, così determinando la conseguente progressiva inclinazione della piattaforma che finiva per impattare contro il terreno.
L’operatore della piattaforma assieme al proprietario della stessa erano stati accusati di aver cagionato colposamente le gravi lesioni personali al lavoratore autonomo per colpa generica (consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia) e per violazione delle seguenti disposizioni di legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro:
– a) art. 9 del D. Lgs. n. 494/96, per aver omesso di redigere prima dell’esecuzione dei lavori un piano operativo di sicurezza che avrebbe dovuto evidenziare, tra l’altro, il rischio di ribaltamento del mezzo e, conseguentemente, i metodi, gli strumenti per misurare e valutare la velocità del vento e la resistenza del terreno al fine di verificarne la congruenza con i limiti imposti dal costruttore;
– b) art. 35 comma primo del D. Lgs. n. 626/94 per avere omesso di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere, e nello specifico piastre o assitti di opportuno spessore da sistemare al di sotto degli stabilizzatori;
– c) arti. 21, 22, 37 comma 1 lett. a), 38 comma 1 (lett. a) del D. Lgs. 626/94, per aver omesso di fornire al lavoratore adeguata informazione ed istruzione d’impiego necessaria in rapporto alla sicurezza ed alle condizioni d’uso della piattaforma mobile sopra indicata nonché per aver omesso di fornire al lavoratore una formazione adeguata sull’uso delle attrezzature di lavoro, ed in particolare per aver omesso di fornire al lavoratore una formazione ed un addestramento adeguati e corretti sulle modalità di utilizzo della piattaforma mobile, anche in relazione alle corrette indicazioni sull’uso delle tavole di ripartizione e sulla resistenza del terreno agli stabilizzatori.
Il Tribunale ha dichiarato entrambi gli imputati responsabili del reato loro ascritto e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ha condannato entrambi alla pena di euro 280 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile, danni da liquidarsi in separato giudizio, disponendo a carico degli stessi una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 25.000,00. Successivamente la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha ridotto la somma liquidata alla parte civile a titolo provvisionale a euro 10.000,00, confermando nel resto la sentenza appellata.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione il proprietario della piattaforma lamentandosi del fatto che la Corte di Appello aveva condiviso il ragionamento del giudice di primo grado, senza indicarne le ragioni. In particolare, sotto un primo profilo si è lamentato del fatto che la Corte di Appello aveva ritenuto l’infortunato suo lavoratore dipendente, mentre in realtà questi era (a suo dire) un lavoratore autonomo che aveva ricevuto incarico dal condominio di eseguire le opere di rimozione dell’intonaco e di tinteggiatura sulla facciata dell’edificio e che, per eseguire tale opere, aveva da lui noleggiato a caldo la piattaforma indicata in imputazione, della quale era proprietario, per cui, secondo lui, non essendo il danneggiato un suo dipendente, non era suo compito fare rispettare allo stesso le misure di sicurezza. Lo stesso ha anche evidenziato che peraltro la piattaforma era risultata dotata di ogni sistema di sicurezza e di imbracatura, come riferito dallo stesso danneggiato in sede di sommarie informazioni testimoniali.
Sotto altro profilo il ricorrente si è lamentato del fatto che la Corte territoriale, al pari del giudice di primo grado, non aveva indicato per quali ragioni il cedimento del terreno non dovesse essere considerato un evento imprevedibile e interruttivo del nesso causale.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione manifestamente infondato e pertanto dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione ha fatto notare che dalle dichiarazioni rese dall’operatore della piattaforma era risultato che quest’ultimo era dipendente di uno dei due imputati, quindi suo datore di lavoro, ma che prendeva ordini e direttive dal proprietario della piattaforma. Il giorno dell’infortunio l’operatore della piattaforma, all’inizio dei lavori, aveva posizionato il mezzo di lavoro sulla strada privata posta di fronte all’edificio, mentre il lavoratore autonomo aveva preparato i materiali. Sulle cause del sinistro il Giudice di primo grado aveva rilevato che gli accertamenti esperiti nell’immediatezza dallo SPRESAL avevano consentito di appurare che la progressiva inclinazione del mezzo era stata dovuta al cedimento del terreno su cui il mezzo era poggiato. Dalla documentazione fotografica risultava che il terreno posto al di sotto dello stabilizzatore posteriore sinistro aveva ceduto ed era sprofondato per una ventina di centimetri e che sotto il piede erano posizionate tavole in legno (di sezione 250×50 mm.) inadeguate e che, non avendo retto il peso del mezzo, si erano rotte. Il tecnico dello SPRESAL aveva sostenuto che nel caso in esame si doveva fare una verifica delle caratteristiche del terreno e utilizzare delle piastre, o comunque degli spessori adeguati, per distribuire su una superficie più ampia il carico che derivava dall’azione dello stabilizzatore.
In punto di addebito al ricorrente, ha ricordato la suprema Corte, il Tribunale ha sostenuto che “l’inadeguatezza del posizionamento della macchina operatrice doveva essere imputata a titolo colposo ai datori di lavoro (di fatto e di diritto) di colui che aveva azionato il mezzo in esame, sotto il profilo della carenza di formazione ed informazione del lavoratore”. Erano assenti inoltre i piani operativi di sicurezza il che portava a ritenere che una valutazione specifica di quel rischio che ha portato all’infortunio non fosse stata condotta. Gli organi delegati al controllo avevano contestato ad entrambi i datori di lavoro oltre alla violazione dell’obbligo di valutazione dei rischi anche quella del dovere di formazione ed informazione del lavoratore. In definitiva quindi, secondo la suprema Corte, le omissioni dei datori di lavoro sotto il profilo della formazione ed informazione e della mancata predisposizione del piano di valutazione dei rischi avevano avuto efficacia causale diretta nella determinazione del grave infortunio che aveva cagionato al lavoratore autonomo le lesioni descritte in imputazione.
La Corte di Cassazione ha in definitiva condiviso le conclusioni alle quali erano pervenuti i giudici di merito secondo le quali:
– la qualifica datoriale era stata correttamente attribuita a entrambi gli imputati appellanti, in quanto, nei rispettivi ambiti, ritenuti inscindibilmente legati a loro posizioni di garanzia sulla obbligazione di sicurezza verso l’infortunato;
– la verifica della stabilità della piattaforma avrebbe dovuto essere incombente assolutamente prioritario (e da effettuare con il massimo rigore) alla luce della inadeguata solidità (e comunque scarsa consistenza) del terreno su cui gli stabilizzatori erano poggiati;
– le provate omissioni dei datori di lavoro – sul piano della formazione e informazione, e della mancata, adeguata predisposizione del piano di valutazione dei rischi – erano state, quindi, causalmente incidenti nella determinazione del grave infortunio, che, solo per circostanze fortunose, non aveva avuto conseguenze ancora più gravi.
Alla luce di quanto sopra indicato, in conclusione, la suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it